Il ciliegio è albero sacro per i nipponici, che loro chiamano affettuosamente “Sakura”, e di cui hanno ricoperto le falde del monte Yoshino, poco distante da Tokio. Ne piantano centinaia di miglia lungo viali, nei parchi e nei giardini imperiali. Molti sono ciliegi selvatici, ma la maggior parte sono varietà orticole da fiore, dunque sterili.
La fioritura è spettacolare , ma dura poco più di una settimana. Ogni fiore è perfetto, ma è cadùco, impermanente. Per questo motivo il fiore e l’albero di ciliegio hanno preso a simboleggiare la Perfezione, la Virtù, la Cortesia, ma anche la fragilità della Bellezza e della Vita. Addirittura ai fiori del ciliegio erano paragonati gli antichi guerrieri samurai.
Al telegiornale si danno i bollettini sull’avanzare del “fronte della fioritura” e si danno consigli su quale posto scegliere per godersi appieno lo spettacolo. Tutti fanno festa quanto i ciliegi sono in fiore, comprese le “hana office” e i “sararimen” (“fiori di ufficio” e “uomini del salario”, un delicato gioco di parole per descrivere elegantemente la classe impiegatizia). Negozi ed uffici chiudono, la gente si riversa nei parchi, stende la sua stuoia e tira fuori le cibarie dai cestini da pic-nic, gli “o-bento”, di forma cilindrica ed a scomparti, solitamente di legno e vimini, ma anche di lacca pregiata o di legno istoriato, preziosissimi e molto costosi. All’interno della stuoia ci si leva le scarpe come se si fosse in casa e si mangia e si chiacchiera in modo insolitamente informale per un popolo estremamente rigido come i giapponesi. Si beve anche molto sakè, il liquore di riso, e spesso ci si ubriaca, alla faccia dell’etichetta.
La gente è chiassosa, disordinata, fa ressa e spinge. Lo “Hanami” viene festeggiato in quel modo superficiale e consumistico che anche noi abbiamo sotto gli occhi ad ogni festa comandata. E pensare che già nel 1320 il poeta buddista Kenko si lamentava della grossolanità dei gitanti!
Ma la maggior parte osserva i ciliegi con uno sguardo intenso, velato di malinconia, poiché sanno che tutto questo finirà molto presto.
Gli esteti si dedicano all’osservazione di un solo ramo, addirittura c’è chi segue lo sbocciare di un singolo fiore, massima espressione della perfezione. Al ciliegio sono state dedicate poesie, i celebri “haiku”, i brevissimi componimenti che ispirarono tanta parte della poesia italiana ed in particolare segnarono Giuseppe Ungaretti.
I nomi delle varietà sono spesso molto evocativi, portano nomi di principesse o di divinità, altri sono un po’ buffi (come d’altronde anche i nomi delle peonie cinesi). Ce n’è uno che si chiama ‘Kuruma-gaeshi’, cioè “mandare indietro i carri”, e che voleva sottolineare come fosse necessario fermarsi ad ammirare la bellezza dell’albero in fiore per tutta la giornata, e che quindi fosse necessario mandare indietro il carro.
Da noi il ciliegio da fiore non è molto conosciuto, ed è un peccato, poiché è veramente un bell’albero, specie la varietà di Prunus x subhirtella ‘Pendula Rosea Plena’. Purtroppo è una varietà non semplice da trovare anche in zone meno primitive di noi, e il più delle volte è necessario prenotarla. Il massimo che si può sperare di trovare qui è l’orribile ‘Amanogawa’, un ciliegio da fiore ideato per i piccoli giardini, a portamento affusolato e colonnare, come un cimiteriale cipresso.
