Avviso ai naviganti: l’articolo è molto lungo, ma il complesso argomento richiede una trattazione profonda. Se avrete la pazienza di leggerlo integralmente sono sicura che troverete molto su cui pensare o ripensare a proposito dell’estetica quotidiana. Si prega di fare attenzione alle doppie virgolette, che introducono esclusivamente delle citazioni, in caso contrario si sono usate le virgolette semplici.
Il Kitsch è l’arte che segue delle regole stabilite, proprio in un’epoca in cui tutte le regole artistiche sono messe in dubbio da ogni artista
Harold Rosenberg
La tradizione del nuovo
Introduzione
Il Kitsch è un fenomeno a cui da qualche anno a questa parte si dedica molta attenzione da parte di artisti, critica e pubblico (a dire il vero ‘troppa attenzione’ secondo molti). Spesso considerato come semplice espressione di cattivo gusto e per anni archiviato come fenomeno marginale nella storia del design e delle arti, ha nel tempo acquisito un interesse via via crescente e sempre più centrale all’interno delle manifestazioni artistiche. Non c’è a dire il vero da stupirsene, come non c’è da stupirsi dell’accresciuto interesse per questo fenomeno che in verità attualmente coinvolge tutte le arti, mettendone in discussione i principi fondanti.
E’ infatti per questa sua inattesa ‘qualità’ che il Kitsch è oggi materia di studi molto dibattuta, proprio per comprendere non tanto il fenomeno in se stesso, ma ciò che comporta per le arti e la società in cui esse esistono.
Generalmente si attribuisce al Kitsch lo status di processo di inflazione della qualità delle arti, ciò è senza dubbio vero, e il Kitsch di epoca romantica era diverso dall’attuale, come quello del futuro sarà diverso dal nostro, e l’attuale Kitsch è diverso da quello ormai considerato ‘classico’ (anni ’80). Ma il tempo ha dimostrato che il Kitsch ha acquisito dei caratteri precisi, tipici degli stili artistici, degli stilemi, quindi, perfettamente riconoscibili e catalogabili.
Dunque se da un lato il Kitsch è un processo, dall’altro è anche uno stile o per meglio chiarire, diremmo uno stile polimorfo e in mutamento.
E’ questa capacità mutante che affascina di più i designer, stimola i critici, preoccupa il pubblico. Buona parte di quello che ieri era Kitsch oggi è storicizzato e quindi riconoscibile e innocuo. Ma mentre io scrivo e voi leggete, il Kitsch, come processo, sta mutando insieme a noi, il che lo rende sfuggente e pericoloso perché più difficile da riconoscere. A questo punto è ragionevole che la critica desideri analizzarlo e che il pubblico se ne senta preoccupato: sarà Kitsch questa cosa che ho comprato? E se non lo fosse oggi e lo fosse domani? Come verrò giudicato dai miei pari?
‘L’imparaticcio della nostra figlia più grande sarà venduto come “arazzo vittoriano”, il cane di porcellana, pur avendo perso coda e orecchia, sarà motivo di interesse per gli uomini del Duemila che si interrogheranno sulle virtù estetiche della coda mancante. I notabili giapponesi compreranno calici di vetro usciti male, con una sottile rete di incrinature, per portarli a Jedo e bervi prelibati liquori, i prodotti della grande industria come i servizi da tè bianchi ed azzurri saranno considerate “preziose porcellane di Margate”, come se questo fosse un suggello di qualità’.
Ebbene, è tutto vero, perlomeno per l’Inghilterra a cui si riferisce l’autore. Noi ci affanniamo dietro all’antiquariato come api intente a costruire un alveare. Raccogliamo antiche porcellane del tempo di Jerome (già molto difficili da trovare) e dei tempi successivi, incorniciamo gli imparaticci e gli accostiamo un vaso di giacinti forzati. L’effetto incrinato (craquelé) , quando non è disponibile lo ricreiamo noi stessi tramite vernici e vernicette.
Ogni paese ha un suo vintage a cui è molto attaccato.
‘Quel’ vintage era un tempo considerato robaccia, roba di scarto. La domanda legittima è: era robaccia allora e lo è anche adesso, oppure la patina del tempo ha cancellato tutte le impronte di bruttezza, lasciando solo il bello? Sarà anche la nostra roba di scarto ‘vintage’ per l’umanità del futuro, come in Wall-e? Wall-e era solo un maniaco pazzo o un raccoglitore di bellezza?
Politica, economia e società
In realtà la questione del Kitsch e del deterioramento della qualità delle forme artistiche ha origine, come era prevedibile, nel sostrato economico e politico della nostra società, con buona pace di chi crede –ahimè nella sua miopia- che politica e giardinaggio siano due cose disgiungibili, spesso opposte.
Come è spiegato audacemente nel piccolo saggio Masscult e Midcult di Dwight MacDonald sembra proprio che le conquiste della società (nella fattispecie della società democratica di tipo occidentale) si debbano scontare sul piano dell’arte. Come ribadito da Bauman (La società sotto assedio) le masse non sono gruppi di individui, ma organismi sociali legati di volta in volta da un luogo (un parco giochi, un punto di ristoro, un supermercato) o da un’attività (andare allo stadio, guardare la televisione, far la spesa). MacDonald chiarisce che nella società contemporanea gli individui sono uniti gli uni agli altri solo da alcuni astratti principi organizzativi e sono in un continuo stato di esaurimento psicologico, poiché è naturale star male quando non si hanno contatti umani.
“Così il Masscult tenta di fornire distrazioni allo stanco uomo d’affari –o allo stanco proletario. Questo genere d’arte è necessariamente distaccato dall’individuo, dato che è espressamente studiato non già per influire su ciò che lo differenzia da chiunque altro- vale a dire ciò che è di più vitale interesse ai suoi occhi- bensì per operare sui riflessi ch’egli condivide con chiunque altro. In tal modo l’individuo è isolato”.
Il pubblico, secondo Kierkegaard- non sarebbe potuto esistere in tempi antichi perché ognuno in corpore partecipava alla politica, alla discussione sopra la città (credo che Kierkegaard omettesse i problemi di sovrappopolazione del globo, di certo all’epoca meno pressanti). Solo con la stampa si creò quell’astrazione di individui irreali che non potranno mai essere uniti realmente, astrazione moltiplicata e rafforzata da mezzi di comunicazione di massa più veloci come la televisione e internet. L’individuo, ancora secondo Kierkegaard, vede se stesso riflesso come pubblico e tende a identificarsi in esso.
La cultura di massa, insomma, è un prodotto del benessere economico, un prezzo da pagare se vogliamo, alla seppur poca eguaglianza conquistata negli ultimi 60 anni.
“Oggi –scrive MacDonald- danaro, tempo libero e conoscenza, i prerequisiti della cultura, sono più abbondanti e distribuiti che mai”.
Anche Lyotard e Hosbawm sono fondamentalmente di questo avviso.
Analizziamo un po’ di storia e geografia:
Il Kitsch è un fenomeno che riguarda le arti e le arti applicate che si è imposto con vivacità sempre crescente dagli anni ’50 in poi, fino ad avere proprie connotazioni formali di stile o genere, esattamente come le hanno guadagnate due stili affini e per certi versi sovrapponibili come il Trash e il Camp
Probabilmente considerare il Kitsch un’aberrazione del buon gusto è pratica usuale in Germania, dove la parola è nata (Umberto Eco, in Elogio della Bruttezza, riporta la versione secondo cui i turisti inglesi in Germania chiedessero uno schizzo (sketch) per pagarlo meno caro di un quadro). Secondo altri è da ricondurre al verbo tedesco etwas verkitschen= etwas billig losschlagen cioè “trasformare qualcosa in Kitsch = vendere qualcosa a poco prezzo, specie se ne hai in gran quantità”. Secondo il Knaursche Konversations Lexicon il Kitsch è : “scheinkunstlische Gestaltung ersetzt mangelnde Formkraft durch inhaltliche (erotische, politische, religiose, sentimentale) Phantasiereize”, cioè una “pseudo arte o un design (oggi diremmo uno ‘styling’)che sostituisce ad una carenza di creatività con una stimolazione artificiosa della fantasia mediante un contenuto standardizzato (erotico, politico, religioso, sentimentale)”.
La traduzione non è univoca, ma una buona approssimazione è ‘far del vecchio con nuovo, spazzatura artistica, paccottiglia artistica’.
Questo per quanto riguarda il nome e la parentela. Ma per la data di nascita?
Ci sono varie correnti distinte che possiamo sintetizzare nei due estremi:
1) il Kitsch è sempre esistito come espressione di cattivo gusto o di gusto deteriore rispetto alla norma codificata da quell’epoca o quella società
2) il Kitsch nasce alla metà dell’Ottocento dopo la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte e la nascita della società di massa, la volgarizzazione dello stile romantico e l’emancipazione della piccola borghesia.
3)Vi sono teorie intermedie, che personalmente trovo meno che soddisfacenti, che vedono il Kitsch nascere in periodo post-Barocco, decadentista, che qui non saranno neanche considerate.
Lo studioso tedesco Ludwig Giesz è a favore della prima ipotesi, portando dalla sua l’asserzione che le società di massa sono sempre esistite a partire dall’epoca alessandrina, passando per l’ellenismo romano, gli ozi di Capua, fino ad arrivare all’uomo magrittiano ad una sola dimensione del XX secolo.
Nei suoi studi sul Kitsch, Ludwig Giesz si rifà all’analisi di Freud sulla psicologia dell’artista, visto come uomo che non riesce a placare i suoi stimoli (erotici e di ambizione) nella realtà, ma nella fantasia. L’artista quindi crea una nuova realtà che lo ricollega alla realtà concreta. In tal modo egli diventa l’eroe (e qui ci scappa un ‘oh Wagner! oh Germania!’), ma forse potremmo meglio definirlo demiurgo, cioè esattamente ciò che desiderava essere, ma senza dover seguire tutta la normativa sociale, morale e politica che una vera modifica della realtà avrebbe comportato (Freud, Ges. Schriften, IV, 19).
Vi starete chiedendo: se così è, cosa distingue un buon artista da un cattivo artista o da un non-artista? La luce e la preziosità che gli altri vedono nelle loro opere, come riflessi della realtà vera.
Giesz quindi è convinto: la radice del Kitsch è l’uomo stesso. Il Kitsch lo ha sempre accompagnato e lo accompagnerà sempre. Vedremo più avanti che anche Abraham Moles è di questo avviso.
Gietz però trascura (o fa finta di trascurare?) un importante elemento: la riproducibilità dell’oggetto in un numero illimitato di copie. Senza questa ‘conquista’ definitiva del procedimento tecnico -avvenuta in tardo XIX sec., non è neanche ipotizzabile parlare di Kitsch senza prestare il fianco a mille e mille obiezioni valide e incontrovertibili, tra cui la funzione iniziatica, religiosa e sociale, etico-politica dell’oggetto d’arte, che in qualche modo lo rendeva immutabile ed eterno (nell’ambito di quella società/epoca storica). Per questi oggetti non si può parlare di ‘problema di gusto’, perchè di tale problema non si avvertiva neanche la vaga presenza.
Per quel che riguarda me, dirò che la tesi di Giesz affronta il problema del Kitsch da un lato del tutto errato, che è quello psicologico, rifacendosi peraltro alle tesi che proprio nel XIX secolo mettevano a nudo certi comportamenti delle masse. Inoltre non c’è traccia nella letteratura antica di saggi che trattassero in maniera così approfondita e monografica il problema del cattivo gusto. Ci sono accenni sparsi in tutta la letteratura latina, da Cicerone ad Alberti, a Marziale, ma lì rimangono.
Gli antichi non si posero mai questo problema.
Ciò che noi vediamo come cattivo gusto nelle opere del passato è solo presunto cattivo gusto in virtù del fatto che non ci sono congeniali, consanguinee.
Gillo Dorfles, come Hermann Broch, è del parere opposto. Le esigenze a cui l’arte è chiamata ad assolvere nella nostra società sono mutate, e questo mutamento inizia a metà del XIX secolo. Fermo restando che ogni epoca si caratterizza per un suo ‘standard of taste’, cioè ‘regola del gusto’ (cfr. Hume) che -per fortuna a differenza di quella morale- è fortemente connotata formalmente all’interno delle singole epoche e dei singoli paesi, il Kitsch non è solo ‘bruttezza’ o ‘cattivo gusto’ ma anche e soprattutto un’errata interpretazione delle costanti formali di un’epoca, quasi sempre per ragioni etiche, politiche, tecniche, non solo estetiche.
Il Kitsch quindi non è una caratteristica dell’arte in sé, ma un fenomeno che caratterizza l’arte di massa. Il Kitsch non viene scelto dal fruitore, ma viene in qualche modo proposto con una tale violenza che anche chi non ne fruisce vi è diventato insensibile.
Nel tempo si sono definite le caratteristiche dei fruitori abituali del Kitsch, chiamati Kitsch-menschen (‘uomini-Kitsch’). Si tratta non solo di persone che hanno poca dimestichezza con l’arte più elevata (è noto a tutti che le persone intelligenti, ancorché di bassa cultura, se hanno una sistematica frequentazione con le opere d’arte finiscono per comprenderle e amarle). L’uomo-kitsch è ben diverso: non si tratta solo di bassa cultura o di una generale ottusità verso l’arte, soprattutto quella moderna o contemporanea, più impegnativa, ma di persone che siano convinte che dall’arte si debbano trarre solo impressioni gradevoli, piacevoli e zuccherate, o addirittura che l’arte serva come ‘suggestiva cornice’ ad altre attività, come il turismo, il divertimento, il mangiare, il ballare, etc. o ancora che essa sia considerata un simbolo di uno status sociale (cfr. Thorstein B. Veblen, L’agiatezza vistosa, Pierre Bourdieu, Critica sociale del gusto, La moda di Norbert Elias) per fare bella figura in società, non certo come cosa seria, attività impegnata e critica.
Il giardinaggio -degradato nel corso di tre secoli da arte ad hobby- ne è un buon esempio: chi crede che debba solo ‘insufflare serenità’, invariabilmente sarà un garten-kitsch-mensch.
Ma quali sono le caratteristiche del Kitsch?
<caption id="attachment_4094" align="alignleft" width="150" caption="a tutto klimt"][/caption]-La prima, quella che più sensibilmente salta all’occhio, è l’imitazione degradata di altre forme d’arte più elevate. Klimt sull’accendino, tanto per rimanere sui temi più vicini a noi, le stampe degli Impressionisti nelle sale d’attesa dei dentisti e nei corridoi degli ospedali, le varie Pietà di Michelangelo come fermacarte, l’uso di versi danteschi per pubblicizzare un reggiseno, ecc.
-Lo slittamento di materiale e la combinazione di forme è forse la caratteristica più disgustosa del Kitsch. L’orologio a forma di chitarra, ma fatto in vetrino tipo Swarowski, il boccale da birra a forma di testa di Stalin, la radio a forma di automobile, l’accendino a forma di veliero, un accendino che sembra un rossetto, il rossetto che sembra la Torre di Pisa . C’è un camuffamento della funzione, o il contrasto tra la forma dell’oggetto e la sua struttura esteriore che si presenta sotto forma di un altro oggetto assolutamente ben distinguibile.
-Oltre a tutto ciò c’è una comicità non voluta dell’oggetto o della situazione, una bruttezza che non è solo brutta, ma anche ridicola. Difficilmente gli oggetti Kitsch possono sembrare tristi o squallidi, anche se sono brutti, perché il Kitsch, come sostiene Abraham A. Moles, è ‘l’arte del buonumore’. Questo è uno dei motivi principali per cui certe espressioni del Kitsch (come i nanetti) sono stati ripresi nel design moderno.
Tutti elementi che in architettura condurranno poi al Decostruttivismo.
Basti pensare alle copertine dei dischi anni Ottanta, i vari video musicali dell’epoca, italiani e stranieri, e alle strampalate mise dei cantanti come Boy George o Pete Burns, di Madonna, di David Bowie, dei Duran Duran. Cantanti che nei Novanta, anni del nero e del rigore minimalista, hanno poi rinnegato il loro fantasioso abbigliamento tornando al loro autentico colore d’occhi e di capelli e a vestiti morigerati.
Che il Kitsch sia sovrapponibile al Postmoderno è un incidente o una causalità? In parte è una causalità, poiché uno dei principi del Postmoderno è l’abolizione delle distinzioni tra arte d’élite e quella di massa (cioè del Masscult, inteso nel senso che gli ha dato Dwight McDondald).
Tuttavia esistono diverse teorie sul fatto che il Postmoderno sia uno stadio dell’arte, quindi una sua caratteristica intrinseca. La teorizzazione del Postmoderno nasce con Lyotard (La condizione postmoderna) alla fine dei Settanta (ma arrivò in Italia negli Ottanta), che considera il Postmoderno una caratteristica precipua dell’arte. Lyotard, pur non amando il marxismo, definendolo una “metanarrazione del mondo”, in realtà analizza non una fase artistica, ma una fase socio-economica che produce i suoi effetti sull’arte. Il Postmoderno trova il suo massimo sviluppo in USA, dove si sente maggiormente la disgregazione delle posizioni politiche di Destra e Sinistra, dovuta ad un forte avanzamento dei servizi, con il risultato di diminuire il peso della classe operaia. Eric Hobsbawm definisce il XX secolo come ‘il secolo breve’ e lo colloca tra lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e la fine del regime russo. Ed è proprio alla fine del ‘secolo breve’ che il Posmoderno ha il suo apice. Insomma, il Postmoderno, per dirla con parole molto povere, nascerebbe semplicemente dalla globalizzazione e dalla rapidità di comunicazione delle forme artistiche dai vari gruppi culturali.
Questo è il paradigma del Kitsch moderno e in buona parte contemporaneo, poiché nonostante varie opinioni, il Postmoderno non accenna ad esaurire le sue energie, perlomeno a livello di figurazione pubblicitaria.
Queste forme di Kitsch sono state ampiamente rivalutate come espressioni di un ‘gusto sociale’ (non necessariamente felice, ma spesso ‘vitale’ da un punto di vista culturale, come -ad esempio- le riviste erotiche come Frigidaire o il genere fumettistico ‘Underground’) e dello stile di un’epoca (quella dello ‘styling’, cioè il camuffamento della funzione di un oggetto con una maggiore quantità di elementi decorativi inutili, in buona sostanza una sorta di ‘plastica’) che è poi, in fondo, quella del boom economico, degli anni Cinquanta, della ‘Gloriosa Trentina’.
Il deperimento e la rinascita di nuove forme si alternano a ritmi velocissimi, grazie alla rapidità di comunicazione e di passaggio tra i vari ‘brow’ culturali, tanto che non è difficile che nel giro di un decennio o un ventennio oggetti considerati privi di valore vengano rivalutati. Se questo avvenne per il Liberty, considerato in epoca razionalista “orribile Ottocento”, non accadrà mai con la statuaria da giardino, a meno che un violento disastro globale non si porti via almeno due terzi del prodotto internazionale lordo di Eoli e Gongoli (possiamo a questo punto rispondere che Wall-e non è un maniaco pazzo, ma un raccoglitore se non altro di storia che simbolicamente diventa bellezza). La rivalutazione del Liberty è dovuta al fatto che quegli oggetti passati di moda erano effettivamente pregevoli. Lo stesso non si applica per le copie del Liberty che impazzano nelle fiere di paese.
Questo è per ciò che riguarda la morfologia del Kitsch classico, divenuto da fenomeno di massa a vero e proprio genere.
Fenomeno di risalita e oscillazioni del gusto
C’è un concetto che bisogna avere assai chiaro per comprendere tutto questo ‘sistema’, (perché di un sistema si tratta). Gillo Dorfles l’ha chiarito bene nel suo libro Le oscillazioni del gusto e anche Mac Donald lo spiega nel suo Masscult e Midcult.
Finché l’arte è stata solo di due tipologie, arte accademica e arte popolare, senza nessuna via di mezzo, non si è posto il problema del Kitsch. Il fenomeno del Kitsch si presenta solo dopo la Rivoluzione Industriale e l’invasione dei mercati di oggetti e arte per la massa. Non che le masse non esistessero, ma erano solo i committenti con una certa facoltà di acquisto a potersi permettere arte di buona qualità. D’altronde MacDonald, come Bourdieu, nega recisamente che le masse possano essere produttrici d’arte, mentre ne sono grandi consumatrici. Quindi il Kitsch è non solo un fenomeno artistico, ma anche e soprattutto sociologico ed economico.
Dorfles spiega che dalla Pop Art in poi si è instaurato un rapporto vivacissimo tra l’arte e i suoi consumatori. Prima erano sempre state le élite a dettare modi e mode, mentre con la Pop Art avviene il contrario. Da quel momento in poi questa oscillazione si è mantenuta nel tempo: periodicamente e in maniera sistematica qualcosa che è finita nel cassettone dei ricordi viene tirata fuori e spolverata, viene messa sul mercato delle élite e poi introdotta in quello delle masse, dove viene di nuovo consumata e infine archiviata. La si lascia un altro paio di decenni, e poi la si tira fuori di nuovo per ricominciare un ciclo ogni volta diverso, ogni volta uguale. Questo accade soprattutto quando si hanno poche idee, come in questo momento (noi tendiamo a conservare o ripetere oggetti d’arte vecchi piuttosto che produrre oggetti d’arte nuovi) e quando il meccanismo della citazione –sempre esistito- diventa via via più veloce con le moderne tecniche di comunicazione.
Se guardiamo la cosa dal nostro punto di vista potremmo dire: -E’ un bel casino.
Ricordo un mio collega di illustrazione che quando inserì dei personaggi felliniani fu accusato dal professore di avere copiato. Lui rispose seccamente: -Oh bella, quando lo fate voi la chiamate ‘citazione colta’!
Il Kitsch secondo Abraham A. Moles
Se avete la vecchia ma incredibilmente precisa Enciclopedia del Novecento della Treccani, sapendo come solo le voci più sensibili siano contemplate, sareste forse sorpresi di trovarvi la voce ‘Kitsch’, trattata da un inflessibile Abraham A. Moles, autore anche del bel libro Psycologie du Kitsch, l’art du bonnheur. Il pensiero di Moles è estremamente illuminante perché mette a nudo tutte le nostre debolezze. Esattamente come da Masscult e Midcult di MacDonald capiamo di vivere all’interno del Midcult, leggendo Moles comprendiamo che il Kitsch è ovunque intorno a noi, come un blob, un fluido che uccide (citazione non casuale).
Secondo Moles il Kitsch è
“un processo sociale di inflazione dell’attività estetica nella società dei consumi di massa; esso comporta una ‘degradazione’ attraverso la ripetizione multipla e dà luogo a forme artistiche secondarie, prive di autenticità, ma che soddisfano tuttavia un bisogno umano”
.
Il termine è bavarese e ha fatto la sua comparsa a Monaco verso il 1860 ed era principalmente applicato al mobilio, tra il 1920 e il 1940 si diffonde come termine dispregiativo in tutta la critica artistica tedesca. Il Kitsch è connesso secondo Moles ad una sorta di “patologia estetica” delle masse, onnivore divoratrici di prodotti che il mercato mette in circolo, per soddisfare un innato bisogno umano, quello di quiete e serenità.
Il problema estetico sollevato dal Kitsch è il seguente: è concepibile un’arte a buon mercato? Laddove buon mercato non è reso solo in senso economico (anche i fautori delle Arts&Crafts volevano fare buon design a buon mercato, con risultati mai più raggiunti) ma
“nel senso più generale adottato dagli psicologi motivazionali[…]il prezzo di uno sforzo culturale, di un dispendio di materiale e di tempo, di una volontà, di un minimo d’impegno intellettuale, la cui entità, assai più del prezzo in unità monetarie, costituisce il ‘costo d’accesso’ all’arte” .
Dunque il Kitsch si configura non tanto come uno stile ma come un atteggiamento mentale (quello del Kitsch-mensch). Vi è un Kitsch per ogni cosa, per ogni pensiero, per ogni azione, c’è sempre un succedaneo a buon mercato. Moles fa l’esempio di un bellissimo tramonto trapunto stelle. Un fotografo ne fa uno splendido scatto e poi la sua fotografia diventa una cartolina. Ecco il Kitsch. Non importa chi l’abbia mandata, cosa ci sia scritto, chi l’abbia ricevuta e dove. L’arte si dissolve nella quotidianità, si svaluta e “perde forza, importanza e valore”.
Se ne deduce che il Kitsch è universale.
Il Kitsch si presenta spesso sotto forma di neo-qualcosa e d’altra parte un neo-non importa cosa.
Il Kitsch non è mai puro e se vi è un pizzico di Kitsch in ogni arte (Broch), v’è un pizzico d’arte in ogni Kitsch.
Tracciare delle frontiere nette dunque è impossibile, per il fatto che esso coesiste con l’arte nello stesso territorio. Il Kitsch è permanente (Eggenter).
Caratteri oggettivabili del Kitsch.
3) La mancata rinunzia alla funzione. Gli oggetti Kitsch sono spesso sovradimensionati o iperlavorati, come ad esempio un lampadario troppo fragile per reggere delle lampadine, o un piatto troppo decorato per poterlo lavare. Eppure a questi oggetti non si nega la funzione per la quale in teoria sono nati.
4) Sinestesia. Il Kitsch vuole coinvolgere tutti i sensi, ad esempio la rosa finta che suona un’aria di Mozart se si preme un bottone, e che se se ne preme un altro, emana profumo di gelsomino.
5) Uso di materiali poco pregiati. Negli oggetti Kitsch i materiali non sono mai pregiati, l’argento viene sostituito dall’alluminio, la pietra con il cemento, i fiori veri con i fiori finti.
Cenni storici.
Anche Moles, come Gietz sostiene che il Kitsch è correlato alla società umana e che è sempre esistito sin dalle prime società di massa dell’Impero Romano. Tuttavia –ammettendo che mancano analisi storiche in merito- Moles più prudentemente colloca l’inizio del Kitsch nel periodo tardo-romantico e alla nascita della manifattura, dapprima artigianale e poi industriale, destinata ai grandi magazzini. Il Kitsch pertanto si sovrappone inevitabilmente ai movimenti artistici nati in periodo romantico:
“Se Angelus di Millet è stato un’opera d’arte (e certamente lo è ancora per qualche amatore o per qualche studioso che vi individuano una autenticità profonda e un’emozione genuina e irripetibile), riprodotto sugli almanacchi, ripetuto in infinite riproduzioni cromolitografiche e perfino nei ricami delle ragazze, è diventato uno dei pilastri dell’atteggiamento Kitsch nelle campagne di tutta Europa”.

Non sorprende che Moles arrivi a attribuire velatamente l’epiteto di Kitsch anche ad uno degli architetti più amati del Mondo, Hector Guimard.
La degradazione delle forme romantiche porta –come abbiamo già visto- ad un Kitsch molto produttivo a cui si porrà un forte stop con l’ascetismo estetico della Bauhaus.
“Il Kitsch prende coscienza della propria colpa e la borghesia quasi si vergogna della sua esistenza. Era infatti la borghesia che aveva inventato un’arte del vivere, imposto da un modello complicato e rigido risultante dall’ibrida combinazione di modelli ereditati dall’aristocrazia, dai costumi vittoriani, dagli atteggiamenti appresi nelle colonie conquistate: erano riti inderogabili, diffusi dai manuali del ‘saper vivere’, dai romanzi a buon mercato, dai grandi magazzini, dalla pubblicità. Ogni cittadino, ai diversi livelli della piramide sociale, si faceva di quel rituale, un compendio compatibile con le proprie risorse”.
La comparsa del neo-Kitsch: come Moles ha già avvertito, il Kitsch perseguita qualsiasi fenomeno artistico, anzi, è insito in ogni artista, in ogni uomo: nessuno al mondo è immune da questa malattia socio-estetica. Il neo-Kitsch, nato dopo gli anni ’50, si accaparra e reimpiega i principi estetici e funzionalisti della Bauhaus. Questo modello è accettato dai leader del comportamento e dagli arbiter elegantiarum, pertanto viene propagato a tutti i brows socio-culturali. Ovviamente però il mercato non ama l’ascetismo estetico e il minimalismo, per cui le istanze economiche mondiali mettono in campo tutta una serie di propensioni estetiche ed artistiche che anche oggi comunemente vengono scambiate per arte o per quella sorta di suo succedaneo, il design. Ed ecco lavatrici e frigoriferi all’avanguardia, iper-tecnologici, puliti, di linee scultoree, di design, insomma. Portacenere dai colori marcati, neri o rossi, pesanti, dagli angoli smussati. Si ha quindi l’impressione, acquistando oggetti ‘di design’ di pagare un tributo alla morale della buona estetica, del buon gusto da ‘conoscitore’, da colui che apprezza ‘le cose belle’.
Moles sottolinea che in questi casi si verifica una situazione psicologica e sociale già analizzata a fondo da Pierre Bourdieu (La distinzione. Critica sociale del gusto) e Jean Baudrillard (Il sistema degli oggetti), cioè l’identificazione del borghese con le cose che possiede. Si tratta di un momento sociologico di grande spessore e complessità al quale nessuna trattazione può sottrarsi e su cui invitiamo il lettore ad un attenta riflessione.
“esseri, fenomeni, situazioni che siano completamente estranei a questa tendenza generalizzata che è il Kitsch”.
Moles in questo caso rivela tutto il suo rigore di esteta e le sue risposte sono così dure e pesanti da porre il lettore in uno stato di quasi catatonia. Viste le premesse (“nessuno al mondo può considerarsi immune da questa malattia socio-estetica”), la fermezza di Moles non può meravigliarci.
Eventi che escludono il Kitsch sono anche quelli che escludono qualsiasi momento estetico. Moles fa l’esempio di un ufficiale che segua punto per punto una strategia bellica, in cui evidentemente la funzione estetica è presente solo a livello psicologico nella mente delle persone coinvolte, ma non nell’azione prodotta. Similarmente –mettendo per un momento da parte Moles e citando il grandissimo esteta polacco Jan Mukarovsky- la funzione estetica è in opposizione alla funzione teoretica. Anche qui l’estetica è presente a livello personale, di individui (nel senso che uno studioso di astronomia, nell’osservare una nube gassosa multicolore di una stella T-Tauri può essere rapito dalla sua bellezza), ma il dato estetico è confinato a livello personale e non ha alcuna rilevanza scientifica.
Per quel che concerne l’arte Moles non lascia scampo: il Kitsch NON è presente quando l’arte in oggetto non sia riconosciuta come tale da chi la produce e da chi la riceve, come in società poco avanzate tecnologicamente in cui NON esiste la riproducibilità tecnica degli oggetti in numeri illimitati di esemplari. In quel caso siamo ‘noi’, gli ‘evoluti’, a vedervi dentro un’arte pura e sincera.
Vi prego di prestare particolare attenzione al periodo seguente:
“[…]l’attività del calzolaio indiano che, nel suo villaggio primitivo, al di sotto del primo gradino dell’arte, e senza preoccupazione di arte e anti-arte, adempie al suo compito sociale secondo un comportamento in cui l’estetica è così profondamente incorporata alla funzione dalla quale è indissociabile, che tale attività non può emergere ad alcuna espressione cosciente e per essa, come nella formula enunciata da Gropius, “la bellezza è in sovrappiù”. La bellezza, in quel tipo di lavoro, è casuale, un residuo oltre l’adempimento del compito, che sarà percepito e individuato coscientemente solo ‘dall’esterno’, dall’etnologo o dall’artista di passaggio, il cui intervento introduce ad un tempo le categorie di arte e di anti-arte: la bellezza del fiasco di Chianti e il Kitsch del canestro di vimini realizzato in plastica”.
Tuttavia Moles lascia una scappatoia: il ‘Kitsch a rovescio’, o per meglio precisare, la capacità di introdurre ed esaltare elementi celebrati o tipici del Kitsch in un contesto tuttavia estremamente raffinato:
“Un vero atteggiamento anti-Kitsch, in un universo tuttavia estetico, sarà quello del surrealista, che nella sua ricerca autonoma, guidata da un’etica precisa, si approprierà degli elementi Kitsch di uno spettacolo, di una situazione, di un insieme, per ‘riorganizzarli’ attraverso il pensiero. In un impulso veramente ‘creativo’ saprà collocare un teschio messicano di zucchero rosa su un foglio di carta nera, con un’operazione creativa e raffinata che è agli antipodi del pensiero Kitsch”.
A chi scrive viene in mente l’opera teatrale Rumori fuori scena, o l’opera di Almodovar, la scena finale delle valige di White oleander, e naturalmente il celebre ‘Indietro tutta’ e molta altra produzione, anche musicale, di Renzo Arbore.
Infine c’è un altro anti-Kitsch:
“Possiamo infine considerare la ricerca ostinata, appassionata e riflessiva dell’ ‘estetologo’ o dell’ ‘antiquario’ che battono le campagne alla ricerca del ‘Kitsch degli altri’, del bell’oggetto Kitsch che potranno mettere nella loro collezione e valorizzare: essi studiano valori dei quali non partecipano in proprio e la loro stessa prossimità al fenomeno li immunizza necessariamente dal contagio”.
Possiamo presumere che Moles si senta collocato in questa ultima categoria. Chissà se il suo sistema di vaccinazione funziona davvero.
Kitsch e movimenti artistici:
“[…]il Kitsch è soprattutto divulgatore e ripetitore: riducendo la trascendenza accresce l’accessibilità”
. Pop Art e Surrealismo hanno utilizzato stilemi o soggetti tipici del Kitsch, in opere destinate al microambiente degli intellettuali. Come già spiegato da Dorfles in Le oscillazioni del Gusto, arte d’élite e Kitsch si trovano in uno stato di simbiosi, attingendo di volta in volta una dall’altro in un circolo vizioso.
Moles sostiene, concludendo il suo saggio, come sia di importanza capitale svincolarsi dal Kitsch, dalla pittura leccata e dalla precisione fotografica, per arrivare a proiettare sul mondo dei valori.
Secondo Moles- e non gli si potrebbe dar torto- il Kitsch è l’arte del buonumore, e come tale è anti-arte, poiché l’arte nasce non già dalla perfetta serenità, pace, felicità, ma dalla tensione, e dallo sforzo (in questo senso il nostro Moles è decisamente eracliteo).
Con una provocazione degna di un romanzo tra il fantascientifico e il tragi-comico, Moles si chiede se il Kitsch non possa diventare la nostra nuova forma di arte universale, epigona del pensiero unico e della globalizzazione più spietata. I rimedi sono “l’ascetismo o la volontà creativa”.

Affrontiamo dunque l’estetica del Kitsch nel giardino contemporaneo.
L’analisi formale dello stile Kitsch ci consente di affermare che alla base di ogni Kitsch c’è uno slittamento dal principio artistico-costruttivo all’effetto finale, una confusione tra valori psicologici e valori estetici, in cui il termine ‘psicologici’ indica sempre uno stato emotivo positivo, superficiale, edulcorato, fasullo (non quindi un autentico abbracciare la vita, ma solo una minima parte di essa).
Quando la psicologia del soggetto si identifica con i suoi beni –come sopra spiegato- ecco comparire infallibilmente il Kitsch-mensch. Quando il soggetto identifica la bellezza con il piacere che trae dai suoi beni, ecco comparire il Kitsch-mensch. Frasi tipiche che accompagnano questo atteggiamento sono ‘A me piace e questo mi basta’, ‘Io non ti dico cosa non mi piace del tuo giardino, perciò per favore sii altrettanto gentile con me’, ‘In questo giardino c’è tutta la sua personalità, e quindi dire che è brutto sarebbe un’offesa alla persona’ (con le parole di Wilde possiamo smentire chiarendo che l’arte deve svelare l’opera e celare l’autore ), o ancora ‘Ognuno dà un’impronta diversa alla sua vita, nessuno ha diritto di criticarla’.
La rinuncia alla critica –che è poi del tutto verbale e pro domo sua – a cui in privato seguono in genere maldicenze e vituperazioni in grande assortimento, è uno degli atteggiamenti più visibili del Kitsch-mensch. L’arte, quella vera, quella che proietta sul mondo i suoi valori, è letteralmente costruita dalla critica. Il detto ‘La bellezza è negli occhi di chi guarda’ dovrebbe mutare in ‘L’arte è negli occhi di chi guarda’. Siamo noi stessi a costruire l’arte, osservandola e giudicandola. Uno dei motivi per cui l’arte contemporanea è così poco compresa è proprio perché la ‘storicizzazione’ della critica è ancora molto giovane.
Questo slittamento tra principi psicologici ed emotivi e principi estetici è alla base del Kitsch ed è sempre vero per ogni sua manifestazione. Se il principio dell’arte è “fa’ un buon lavoro” quello del Kitsch è “fa’ un bel lavoro”.
L’industria edilizia ha approfittato di principi etici validissimi come quelli del ‘existenz minimum’ di Le Corbusier, o quello di Wright della ‘natura dei materiali’ o di Loos ‘ogni ornamento è delitto’, per costruire rispettivamente case più scomode e piccole, con materiali meno pregiati e duraturi e con aspetto squallido e senza spirito per risparmiare sulla manodopera. Questo non è Kitsch: questo è un crimine ai danni della società dell’Uomo.
Nel giardinaggio lo slittamento dal principio all’effetto è –come per ogni altra arte- multiforme.
Intanto chiariamo subito una cosa: quando un’opera d’arte è ‘fasulla’, lo si vede subito. Quando un giardino è costruito con il solo intento di stupire e di affascinare per le sue collezioni o rarità botaniche, accostamenti di colori, di catturare il visitatore in un viaggio che premia solo il lato psicologico, senza poi lasciargli nulla, si vede. Quando un giardino è fatto solo per ‘tirare su visite’, si vede. Quando di un giardino è raffazzonato, con poche zone curate e “fotografabili”, si vede. Quando un giardino è fatto da un ego ipertrofico che ha solo bisogno di sentirsi investito del titolo di ‘genio’, si vede.
Altrettanto bene si vede quando un giardino è concepito per imitazione pedissequa di altri modelli dovuta alla mancanza di inventiva e originalità.
Mara Miller in Garden as an Art sostiene che non esistono falsi in giardino. Quanto di più errato! Attualmente in circolazione ci sono più falsi che autentici.
Questi giardini finiscono per essere invariabilmente Kitsch, poiché chi li concepisce abdica al ragionamento con la propria testa. ‘Si fa ragionare il giardino’ da una rivista, magari estera, e lo riproduce a casa sua, in scala. Un giardino-Lego, un Colosseo ridotto a portacenere. Abbiamo qui uno degli elementi formali tipici del Kitsch: un camuffamento della funzione e delle forme, della destinazione d’uso, e –cosa che riguarda esclusivamente il giardino- della vocazione del luogo, altrimenti noto come genius loci.
Ne sono un perfetto esempio le villette a schiera che sembrano tutte uguali: la stessa casa ripetuta ossessivamente tra viali alberati e quartieri residenziali, come in un gioco di specchi.
Oltre essa, nelle sue numerose varianti più o meno cottagesche, oudolfeggianti o tropicaleggianti, sembra che il giardino non possa neanche essere concepito. Nel corso della sua lunga esistenza, la bordura inglese ha –con esiti a dire il vero molto altalenanti- posto l’accento su una pratica fine a se stessa, e soprattutto chiusa in se stessa, mero risultato da far osservare al proprio ‘pubblico’ da cui ricevere gli applausi per la nostra bravura.
‘Fa’ un bel lavoro (perché gli altri lo ammirino)’ è ciò che viene chiesto alla bordura inglese. La bellezza, la venustas, fine a se stessa, è equivalente al calendario dei Carabinieri: perfettamente disegnato e perfettamente inutile (come già ammonisce Moles). Anzi, non è più venustas ma un’altra cosa, superficialità priva di vero valore estetico proiettato nel mondo, è –appunto- solo buonumore insufflato all’osservatore. E’ l’estrema rinuncia al pensiero individuale e l’accoglimento supino di ogni sollecitazione consumistica proposta dalle riviste o dai ‘connoisseur’.
In sintesi, la bordura all’inglese sostituisce ad un principio estetico un effetto materiale, dunque sull’effetto basa il suo principio.
Il Kitsch dei nanetti è per così dire ‘storico’, classicizzato, tanto da essere rispuntato fuori nelle riviste di design. E’ quasi innocuo tanto è stato assorbito dalla nostra estetica sociale.
Il Kitsch pericoloso è quello proveniente dalle nuove sollecitazioni del mercato e dell’industria dell’informazione. Tutto ciò che usa un principio etico e lo impiega al solo beneficio del commercio è il vero Kitsch, il vero “male dell’arte”. Quindi non solo brutto, ma anche e soprattutto ‘cattivo’ ed anche controproducente, anticulturale.
Ad esempio i giardini privati, privatissimi, piccoli cortili di fianco alla casa, considerati dai proprietari santuario e tempio del relax e del riposo. Terrazzini minuscoli, adorati dai loro possessori e considerati regno e teatro delle proprie emozioni individuali, nonostante siano spesso arredati con sedie di plastica e abitati da piante più che dozzinali e magari mal tenute.
Peggio ancora quei giardini ritenuti così esclusivi da essere visitabili solo dietro intercessione di famosi personaggi della cultura o del jet set dell’ alta società o di qualche giornalista titolata la quale provvederà a farne un articolo di dodici pagine sulla sua rivista.
Kitsch sono le ‘bugie da pescatore’ su come si ha costruito il proprio giardino. Bugie subito smascherate e buone solo per tirar su un articolo o vendere un libro.
Sono criminalmente Kitsch quegli scrittori-guru che proclamano l’assoluta indifferenza se il petrolio dovesse finire, perché tanto loro vanno su in montagna a raccogliere legna, indice di assoluta mancanza di conoscenza di come il sistema ecologico terrestre è unico e non frazionato per individuo.
Kitsch è lo Shabby Chic totale, perché a differenza del vicino stile country, non privilegia la qualità, la durevolezza, le proprietà dei materiali, ma le imbelletta sotto un cerone bianco cimiteriale.
Kitsch sono i manualetti di materiale raccogliticcio, composti secondo un “astratto vangelo di regole fatto tutto di infiniti e imperativi”, come diceva Pizzetti. Altrettanto Kitsch sono tutti quei manualoni colorati su come avere il balcone fiorito tutto l’anno senza rovinarsi lo smalto delle unghie o smagliarsi i collant. Kitsch saranno quelle riviste che propongono soluzioni ‘facili’ per questo o quello. Kitsch sono tutti gli agriturismi che mi sia capitato di vedere, in quanto il giardino è relegato a fare da sfondo ad un’altra attività. Turpemente Kitsch sono i giardini dei ristoranti, con orci coricati e rotti a bella posta, con qualche asfittica agavina che vi cresce dentro, i sassi di ‘spugna aliena’ e il roccioso con le cactacee.
Kitsch è il ritorno all’antico, che poi diventa inevitabilmente ‘finto antico’ proposto da un boom di aziende e vivai che offrono ‘soluzioni per ogni problema’ (cfr. Baudrillard).
Sono inevitabilmente Kitsch i guerriglieri verdi, o ‘Green Guerrillas’, che nelle più che sopite cittadine di provincia diventano solo moda che trascende i nobili valori da cui questo movimento trae i natali.
Kitsch sono alcuni siti che offrono riposte pronte per ogni domanda, anche la più assurda e improbabile, come fossero panini sfornati da un MacDonald’s.
Oggi le riviste si sono appropriate si una strategia ben studiata: i principi ecologisti usati come esca per i grulli, il riciclaggio tramite tecniche elaborate, più inquinante dell’acquisto di un oggetto nuovo, i rimedi casalinghi, le ricette della nonna. Tutto questo è Kitsch moderno, il lato corrotto del giardinaggio.
Spacciare le piante per oggetti di consumo resistenti ad ogni vessazione, colorarle, decolorarle, arricciarle, intrecciarle, o utilizzarle come soprammobili per appenderci sopra diamantini e brillanti (slittamento di funzione).
Questo è il “male oscuro” del giardinaggio contemporaneo italiano. Niente a che vedere coi nanetti.
Il Kitsch è una caratteristica ormai acquisita dell’arte moderna: è un po’ dappertutto, che ce ne accorgiamo oppure no. Ovunque ci sia arte, il Kitsch la segue come un’ombra di morte. Analizzando le nostre case, i nostri oggetti, vi troveremo senza dubbio qualcosa di Kitsch, il che non vuol dire che siamo dei Kitsch-mensch, ma semplicemente vittime occasionali del consumismo massificato.
La domanda, a questo punto, per chi ha avuto la pazienza di seguire il lunghissimo articolo, sorge spontanea: dobbiamo quindi auspicare un ritorno all’epoca pre-industriale in un impeto di decrescita?
Niente affatto, la risposta non è nel passato, ma nel futuro. La rivolta, lecita ed auspicabile, contro il merchandising, contro la società industriale, l’asservimento all’industria da parte di designer più o meno prezzolati, contro gli accademismi, deve essere compiuta nella piena coscienza di una lotta che dia all’uomo la sua autonomia culturale a tutti i livelli. In pratica per restituirgli la giusta dimensione tra arte e vita. Questo implica uno sforzo di volontà, di studio e di conoscenza. Sforzo a cui al giardino, in Italia, viene negata legittimità in virtù del suo declassamento da arte ad hobby.
Ognuno scelga la sua via per appropriarsi della piena coscienza di ciò che accade e agisca di conseguenza. Questo risultato può essere ottenuto esercitando con responsabilità il proprio senso critico, l’osservazione di ciò che ci circonda, una analisi serrata e non faziosa degli elementi sociali, politi, economici che prendono parte ai processi culturali e artistici.
La via del giardino è molto più impervia di quanto non si creda. Chi la fa facile, romantica e “insufflata di serenità”, vi porta fuori strada.
Bibliografia
Norbert Elias La moda
Pierre Bourdieu La distinzione .Critica sociale del gusto
Thorstein Veblen L’agiatezza vistosa
Bruno Sanguanini Nanetti&Giardini. Microcultura di un pop europeo
«Gardenia»
«Giardinantico»
«Casafacile»
L’orto di Michelle (blog)
Dwight MacDonald Masscult e Midcult
Jean Baudrillard Il sistema degli oggetti
Enciclopedia del Novecento, voce “Kitsch”
Gillo Dorfles Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto
Gillo Dorfles Le oscillazioni del gusto
Abraham A. Moles L’art du Bonheur
Charles Quest-Ritson The English garden: a social history
Zygmunt Bauman La società sotto assedio
Valerio Merlo Voglia di campagna. Neoruralismo e città
Russel Page L’educazione di un giardiniere
Mara Miller Garden as an art
Yahoo Answers
Francesco Poli Il sistema dell’arte contemporanea qui c’è un buon articolo
Masscult_e_midcult
L’autrice tiene a ringraziare Alessandro Salvalaio per l’aiuto prestatole
L’argomento, molto più ampio di quanto si possa comunemente pensare, è certamente interessante e la tua argomentazione, più o meno condivisibile, indubbiamente offre tanti spunti che sarebbero da sviluppare in fiumi d’inchiostro. Ma cercherò di essere breve. Riguardo le diverse teorie sulle origini del kitsch credo anch’io che siano da ricercarsi nell’Ottocento, il secolo lungo che inizia con la Rivoluzione Francese e termina con la Grande Guerra, tanto per restare in tema Hobsbawm. L’Ottocento in tal senso ha segnato una svolta ideologica epocale che interessa anche il nostro argomento perché le radici del kitsch a mio avviso affondano nell’humus del nichilismo e del relativismo, che a loro volta indubbiamente mettono in discussione il concetto di bellezza, dal quale certamente non si può prescindere se si vuol parlare di kitsch. Mi è sempre parso paradossale il fatto che proprio coloro che si sono battuti per affermare i principi di uguaglianza e in generale dello stato di diritto, siano stati coloro che hanno tralasciato uno dei diritti fondamentali dell’uomo che davvero gli appartiene per nascita, e cioè quello alla bellezza. Con uno spirito puramente razionalistico e pertanto con un approccio davvero rozzo, si ricercava un senso materiale alle cose belle, un’utilità concreta. In realtà delle cose belle non è importante l’utilizzo o l’utilità ma è lo stesso senso: è ciò che idealmente rappresentano a conferire loro piena dignità. Così siamo arrivati a formulare quella frase emblematica “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”, divenuta ormai proverbiale e che secondo me definisce meglio di qualsiasi saggio filosofico la degenerazione dei princìpi del nostro tempo. Inutile dire che attenendosi a questa massima chiunque può definire bello un giardino con fiori finti infilati nel terreno a contornare una Biancaneve seduta in mezzo a una folta schiera di nani…Se mi son fatto seguire, capirete anche che ciò che genera come risultato il kitsch non è semplicemente il cattivo gusto, ma la possibilità offerta dal mercato alle masse di esprimere al meglio la loro “cattiva educazione estetica”. Cerco di spiegarmi meglio: in una casa colonica dell’800 non avremmo mai avuto la possibilità di imbatterci in improbabili quanto orribili quadri, colonne corinzie in polistirolo, e non perché un tempo avevano buon gusto, ma semplicemente perché i contadini non avevano le possibilità economiche. Ora i contadini sono scomparsi e insieme a loro quelle case coloniche che trasudavano identità, appartenenza a uno stile di vita a suo modo autentico e traboccante di dignità tanto quanto quello di chi si dedicava ad “interessi superiori”. Purtroppo non ne avevano coscienza, ma questa coscienza non ce l’hanno nemmeno i loro figli e i loro nipoti che “hanno studiato”. Naturalmente la mia non è una nostalgica invocazione alla povertà di un tempo ma una personalissima interpretazione delle cause del cattivo gusto dilagante.
Il kitsch insomma non è nient’altro che una delle tante facce della medaglia della decadenza dei nostri tempi, che parte dagli intellettuali e dagli artisti contemporanei che inseguono le forme del Nulla innestandole in messaggi criptici ed incomprensibili (tradendo se stessi e il senso ultimo dell’arte che deve essere aperta e comprensibile da parte di tutti con la sua carica simbolica non meno che estetica) per arrivare alle masse di automi consacrati al consumo.
Volevo essere breve ma non ci sono riuscito. Spero di non avervi annoiato.
Un saluto a tutti!
Grazie del commento, non preoccuparti di aver scritto molto, l’argomento, come sappiamo, è in effetti molto complesso, immerso in un altro ancora più complesso.
Sì, sono d’accordo con te, il Kitsch come stile nasce solo dopo la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte. Quel “de gustibus” tanto famoso non lo gradisco neanche io, è una rinuncia ad un giudizio estetico, che letterelmente “costruisce” l’opera d’arte.