Qualche considerazione sugli abeti di Natale


Natale si avvicina ed inizia il lacrimatoio annuale per gli abeti, che dopo le feste trovano ingloriosa fine nel caminetto o nel cassonetto, con una rima che in ogni caso per loro significa la morte.

Abeti vcino ad un cassonetto. Foto da Flickr

Alle calde lacrime degli ambientalisti e degli amanti del verde, si accompagna annualmente il tormento mediatico dei programmi-contenitore (“meglio vero o di plastica?”), travestito da un falso velo di coscenzialismo, e che in realtà vuole essere solo una lunga sequela di suggerimenti su dove e come indirizzare i nostri soldi per addobbarlo.

La questione del “meglio vero o di plastica” è riproposta ogni anno, impietosamente. Da un lato vengono portate sul tavolo delle trattative le ragioni dei produttori degli abeti di plastica, che sottolineano la durevolezza degli alberi sintetici. Una volta acquistato, un albero sintetico dura molti anni e si rivela quindi più economico di un albero vero; finite le feste viene smontato e riposto, non finisce quindi nel cassonetto o nel caminetto, e se ne trae quindi uno spunto didattico ed ecologista. Inoltre le possibilità del sintetico sono molteplici e inaccessibili al “naturale”, ed uno dei vantaggi che l’industria degli abeti sintetici rivendica è la varietà di taglie e decorazioni disponibili.

Siamo stati così inondati da alberi che vanno dal “finto naturale” (che abbraccia le diverse sfumature metalliche delle conifere), al raggelante bianco innevato, all’azzurro cielo, al dorato, all’argentato, al rosso, passando per le varianti più strampalate, come l’albero capovolto o decorato con palloncini, tanto che le più moderne “creazioni” sembrano uno scontro di prua tra l’UPIM e un incubo.

Dall’altro lato c’è la fazione dei produttori di veri abeti di Natale, i quali sostengono che “naturale è più bello” e che comunque i loro alberi sono nati e cresciuti in vivaio per svolgere la loro funzione predestinata: quella dell’albero di Natale, che hanno il marchio della Forestale, e che nulla viene sottratto alla natura.

In questo senso potremmo dire che – a differenza dell’Uomo – gli alberi di Natale cresciuti in vivaio (così come gli animali da fattoria), hanno, o dovrebbero averlo, ben chiaro in sé, il significato escatologico della loro esistenza.

Alle due fazioni di produttori di alberi si aggiunge quella degli amanti del verde, che nella rima spietata “caminetto-cassonetto” vedono un binomio assolutamente da evitare, “nel loro piccolo” e “per quanto loro possibile”. Si compra quindi l’abete naturale, relativamente piccolo, con un buon pane di radici, lo si tiene sempre umido con sottovaso, ma magari non si ha l’accortezza di non metterlo accanto al radiatore, o il buon senso di rinunciare alle luminarie, che ne riscaldano la chioma (senza contare che le nostre case sono comunque troppo calde per gli abeti, che andrebbero spruzzati più volte al giorno per essere tenuti freschi…).
Abeti vicino ai contenitori della raccolta differenziata (foto da flickr).

Passato Natale si decide di piantarlo in giardino. – evidente che le possibilità di attecchimento di un albero maltrattato fino a questo punto sono veramente basse; e in ogni caso non si può certo pensare di piantare tutti gli anni un abete in un giardinetto di città, senza contare che l’abete non è albero per tutta Italia, ma solo per le zone montane.

Alcuni irriducibili sono ancora più avventurosi e si attrezzano di pala e scarponi e vanno in montagna a piantare il proprio albero di Natale, cercando di restituire alla natura ciò che le è stato tolto. Il punto è che non le è stato tolto niente (di fisico), e che gli alberi cresciuti in vivaio per la produzione di abeti di Natale provengono da semenze di scarsa qualità, scelte apposta per dare un albero piccolo e tondeggiante, non certo i maestosi abeti delle fustaie Aspromontane! Un albero, insomma, che in natura non avrebbe nessuna probabilità di sopravvivere. Inserirvelo artificialmente è forse la cosa più sbagliata in assoluto, proprio a motivo della sua scarsa qualità e della sua invadenza rispetto ad altre specie di maggiore valore ecologico e forestale, come l’abete bianco.

Altri ancora, con l’intento di risparmiare, incuranti del danno che possono provocare alla natura, nel filone della buona tradizione americana, vanno a prendersi il loro abete direttamente nel bosco, magari tagliando un apice delle dimensioni giuste per il salotto. Questo è il danno maggiore, perché gli abeti, e le conifere in generale, non sono lucertole che si fanno ricrescere la coda, e non riescono a rigenerare miracolosamente la loro punta mozzata. E quella piccola punta mozzata per loro significa la fine della vita.

A questo punto bisogna anche ricordare che molti alberi rimangono invenduti, e non è raro vedere cataste e cataste di abeti ancora imbustati, lasciati seccare, abbandonati e non rimossi anche fino a febbraio inoltrato. Gli animali sono da poco giunti ad avere dei diritti (del tutto virtuali, purtroppo). Quanto tempo dovrà passare perché anche la natura possa essere protetta legalmente contro queste mode e questi comportamenti predatori e di rapina a beneficio del business ?

Se anche voi non ne potete più di questo spreco, non accodatevi alla massa degli sciuponi consumisti, ed evitate di fare l’albero, oppure fatene uno piccolo, da tavolo, di materiali riciclabili come la carta, con i vostri bambini o parenti. Alcuni decorano gli alberi del proprio giardino. È una pratica discutibile dal punto di vista estetico, ma senza dubbio non dannosa dal punto di vista ecologico.

L’abete è una pianta nobile, ma mortificata ogni anno a beneficio del consumismo, una pianta privata della sua identità biologica: sostegno per palline colorate prima, legna da ardere poi. Che depressione.

Nota. L’abete è una conifera d’alto fusto, con la chioma piramidale. L’abete usato per l’albero di Natale non è un Abies, come potrebbe far pensare il suo nome comune, ma il Picea excelsa, cioè il cosiddetto abete rosso. Distinguere i Picea dagli Abies è relativamente facile, poiché i primi hanno pigne pendule, mentre i secondi erette. Inoltre è diversa l’attaccatura delle foglie che negli Abies sono attaccate direttamente sui rametti, mentre nei Picea mediante un piccolo picciolo.

L’albero di Natale “alternativo”

Vorremmo non limitarci a prescrivere di evitare di fare l’albero per andare incontro alle istanze ecologiste, forse non da tutti condivise, e forse da molti fraintese. Ci piace essere costruttivi e propositivi, e dare quindi qualche suggerimento su come non rinunciare all’albero di Natale senza interrompere un ciclo biologico naturale solo per una velleità consumistica.
Si può facilmente avere un albero di Natale del tutto naturale, grazioso, che non si getta, e che può ritornare al giardino una volta finite le festività. Basta avere la cura e la costanza di prepararlo con un certo anticipo, a partire almeno dalla primavera.
Si tratta di costruire dei modelli con la cosiddetta “arte topiaria”, che in questi anni sta ritornando molto di moda (spesso con esiti estetici piuttosto stravaganti e un po’ di cattivo gusto). Il tipo di procedura per ottenere un albero di Natale è molto semplice.

Con filo zincato, edera e intraprendenza

Quello che vi serve è fil di ferro zincato, un po’ di manualità e molta pazienza. Potete trovare dei supporti già fatti nei garden center, ma potete farveli voi stessi a vostro gusto. Oltre che di filo di ferro esistono supporti di legno e di ferro battuto, molto eleganti e più durevoli, ma anche più costosi.

Con edera

Si crea un supporto con filo metallico inossidabile (filo di ferro zincato o filo d’acciaio) a forma di abete. Per ottenere le curve è necessario munirsi di pinze e supporti tondeggianti su cui far ruotare il filo (vanno bene dei piccoli vasi di coccio). Il filo dovrà essere piuttosto lungo perché una parte dovrà fungere da supporto all’interno del vaso. Si devono creare due sagome a forma di abete ed incrociarle, in modo da ottenere una sagoma tridimensionale.
Se volete fare un lavoro più preciso munitevi di chiodi senza testa (o a cui avrete tagliato la capocchia con una tronchesi), e inchiodateli su un foglio di legno resistente, su cui avrete disegnato la sagoma dell’albero di Natale. Eseguite le curve usando i chiodi come perni, tenendo ferma una estremità del filo.
Una volta ottenute due sagome, legatele con due anelli di filo metallico zincato, e fermatele con nodini di filo metallico più sottile. Otterrete (più o meno) il risultato mostrato in figura.
Infilate il supporto in un bel vaso di cotto, riempito di buon terriccio, dentro cui avrete inserito la piantina di edera. Abbiate la costanza di osservare quotidianamente il vostro alberello (che terrete fuori in giardino, o sul balcone), di piegare, curvare, legare ed indirizzare i tralci e tagliare quelli esuberanti. Nel giro di qualche mese la pianta avrà ricoperto tutto il supporto. Potrete quindi portarlo in casa e decorarlo (o lasciarlo così com’è!).
Abbiate l’accortezza di scegliere varietà di edera a foglia molto minuta, come la Hedera helix ‘Mini Heron’ o con fogliame particolare, come la H. h. ‘Sagittifolia’. Possono essere utilizzati anche altri rampicanti, che però non avranno un effetto “coprente” come quello dell’edera. Tuttavia, se la struttura è ben fatta, sarà anche un bel piacere vederla.

Con il bosso

Si può eseguire una scultura topiaria con il bosso, utilizzando lo stesso sistema, ma sarà ancora più bella se creerete un semplice cono da addobbare semplicemente con un nastro o con dei fili colorati.

Alberi di Natale topiari

Ricordate che sia l’edera che il bosso non possono stare a lungo in casa, e che vanno tenuti lontano dai radiatori, ma il più possibile alla luce diretta. Una volta finite le feste si tolgono le decorazioni e il vaso può ritornare all’esterno, in giardino o sul balcone. La forma puntuta del cono di bosso sarà inoltre molto utile come contrappunto lungo un sentiero o vicino ad n luogo di sosta. L’edera può essere lasciata in zone leggermente ombrose e spuntata poi a fine estate per avere una buona vegetazione nuova alla fine dell’inverno.

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