Nanetti da giardino: etica ed estetica di Brontolo &co.


Tutti conoscono i nanetti da giardino, tutti ne abbiamo visto almeno un paio da piccoli in qualche giardinetto del nostro quartiere. Tutti i bambini amano i nani da giardino, non li considerano semplici statue, ma creature magiche, e li osservano con attenzione sperando di vederli muoversi (per fortuna i nostri genitori ci hanno sempre detto che i nanetti non si muovono mai di giorno). Poi crescendo li si guarda con aria sospettosa, come se fossero delle cose “stonate”, fuori posto in un giardino, o comunque finte. Infine si acquisisce definitivamente che sono “brutti”.
Chi ha qualche anno sul groppone si ricorderà di come fossero piuttosto frequenti tra i ’50 e i ’60, ma che già dal decennio successivo in poi sono molto diminuiti, fino ad essere considerati l’epitome del kitsch in giardino.

In questi ultimi anni, però, hanno subito quello che gli antropologi chiamano “fenomeno di risalita”, cioè la migrazione dalla cultura bassa o popolare (lowbrow culture) ai livelli superiori, middlebrow o addirittura highbrow. Un famosissimo industrial designer, Philippe Starck, ha realizzato dei tavoli e degli sgabelli “d’arte” a forma di gnomo da giardino. In questo recentissimo periodo, compaiono anche in numerosi simpatici spot pubblicitari.

Questi spostamenti tra diversi livelli di cultura avvengono con costanza nella storia dell’arte, ma si fanno più frequenti quando si è al volgere di una fase artistica, specie se di tipo “classico”, o quando l’arte è in una fase di “stanca”.

I nanetti sono solo uno dei tanti soggetti finiti nel grande calderone dei prodotti d’arte minore che sono stati rivalutati nel corso del tempo. È successo ai romanzi d’avventura, a Salgàri, a Dumas, ai romanzi d’appendice, ai film di Lino Banfi e di Edwige Fenech, ai fumetti giapponesi, alla letteratura erotica, alla cucina “povera”, all’arredamento “country”, perfino allo stessa “arte kitsch”.

Questo procedimento viene chiamato dai media “sdoganamento”. Un tempo sapevo anche il nome del criminale che ha coniato questo barbarico termine (un Boncompagni o giù di lì), ma ora – per grazia dell’Onnipotente – l’ho dimenticato.

I media vanno letteralmente pazzi per questo genere di fenomeni di risalita, e ne gonfiano al massimo le proporzioni, per avere qualcosa di cui parlare e con cui anestetizzare la mente dei telespettatori.
Il “nanosgabello” di Philippe Starck. Il successo è stato tale che Philippe Starck ha riproposto i nano-tavoli e i nano-sgabelli in numerose versioni di materiale e colore, tra cui nero avorio e giallo dorato.
È finita quindi che per cause non sempre correlate alle proprie precipue qualità, i nanetti, da semplice statuaria da giardino, si sono negli ultimi anni trasformati in un vero e proprio fenomeno culturale, tanto che stanno timidamente tornando ad affacciarsi in giardini e balconi, mentre sui cataloghi di vendita per corrispondenza il loro declino è stato breve, e il ritorno a dir poco trionfale.

A partire dalla fine degli anni Novanta si sono di conseguenza moltiplicate le azioni delle varie “bande anti-nano”, o dei “fronti di liberazione dei nani da giardino”.
Si tratta di gruppi, presumibilmente di sfaccendati, nati attorno agli anni ’80–’90, che sottraggono le statuette dai giardini per liberarle nei boschi, dove – a loro giudizio – potranno ritrovare l’ambiente naturale da cui provengono e infine tornare a casa. Ci si sorprende a questo punto del perché tutte le statue delle contadine con le ceste di frutta non siano state riportate in campagna, le sirenette ricondotte al mare, o le rane riportate agli stagni. Ciò accresce l’interesse verso i nani, che sono le uniche statue da giardino a beneficiare di tali interventi. Alcune associazioni non sono affatto gentili, e invece di “liberare” i nani li distruggono a picconate, provocando anche danni al giardino, come i KANG, acronimo dal suono sinistro, che significa : Klub Anti-Nano da Giardino.
Famoso è in Francia il Front de Libération des Nains de jardin che commercializza gadget e pubblicizza il nanetto-pensiero. Difficili sono i contatti con i rappresentanti di questa ed altre associazioni, che sembrano avere a cuore più il merchandising che non il “nanetto-pensiero”, anche questo peraltro venduto come un gadget.

Tutte queste associazioni sono abbastanza similari tra loro, citiamo solo quella degli Gnomi dell’Altopiano di Asiago, che invece, oltre a dichiarare nome e cognome, sviluppano periodicamente iniziative ed attività riguardanti il mondo della fantasia e dei nani da giardino.

Un po’ di storia dei nanetti

L’età classica
I nanetti sono nati contestualmente alla pittura ed alla statuaria sacra da giardino. Nani e figure deformi sono raffigurate anche nelle pitture greche, elleniche e romane (basti pensare a quelle trovate nelle Terme di Tito e Traiano a Roma, che diedero i natali al termine “grottesco”). Ma i loro più illustri predecessori sono le statuette dei Lari familiari (Lares familiares) dell’antica Roma. I Lari erano le divinità minori, protettrici della famiglia, e venivano religiosamente custodite ed onorate da tutti i familiari. Accanto ai Lares familiares erano i Lares agrestes, spiriti non legati alle famiglie, ma alle campagne. I Romani credevano anche che ogni luogo avesse un suo nume tutelare, un genio protettore, spesso rappresentato da un serpente, il cosiddetto Genius loci, che tanto spesso ritorna nelle discussioni attorno al giardinaggio.
È proprio dal culto dei Lari che si sono sviluppate tradizioni antichissime, come il presepe. Infatti in occasione del solstizio d’inverno, cioè il giorno del “Sole nascente” o “Sole bambino”, si soleva disporre le statuette dei Lari all’interno di uno steccato o una siepe (donde il termine “presepio” = “prae-saepere”, cioè “circondare con una siepe”).
Accanto a questi culti vi era quello di Priapo, figlio di Venere e Bacco, protettore degli orti e dei giardini in quanto divinità associata alla fecondità. Virgilio scrisse che “era il protettore dei giardini poveri”. Nel suo autorevole testo, Nanetti e giardini in Italia, Bruno Sanguanini associa alla figura di Priapo quella dei nanetti, gulliverizzati e privati pudicamente di alcune caratteristiche morfologiche. Sull’altare di Priapo si celebravano riti dionisiaci e di fecondità, che si spostavano progressivamente dall’interno all’esterno dell’abitazione, fino a raggiungere il viridarium, e lo stesso Priapo si trasformò nel Ruber Custos (il “Rosso Custode”), una sorta di spaventapasseri. Figura peraltro comune e a molte leggende centroeuropee, come quella tedesca di Rübezhal e probabilmente di quella di Robin Hood.

Il Medioevo
L’epoca medievale, che fondò la sua estetica sul viso martoriato ed afflitto del Cristo crocifisso, non ebbe pertanto remore a raffigurare in dipinti e soprattutto sulle docce e sui frontoni delle chiese, delle figure mostruose e deformi quali monito a mantenersi puri e casti.
I nani e la loro gulliverica controparte, i giganti, hanno costellato la storia delle ville rinascimentali e manieriste. Nel 1400 la presenza di nani a corte era usuale, ancora oggi l’Appartamento dei Nani del castello Gonzaga a Mantova è una delle attrazioni turistiche più visitate. Nella stessa “Camera degli sposi”, affrescata da Mantenga, è raffigurata una nana, così come in “La Meninas”, di Velasquez.
Nel corso dell’Umanesimo e del Rinascimento, il rinnovato interesse per le scienze e per la natura condusse molti nobili ad appassionarsi delle curiosità del mondo naturale. Fu così che nacque il collezionismo per oggetti naturali particolari, gemme, conchiglie, ossa di creature marine, pietre particolari, corna di animali, ecc, che venivano raccolte nelle famose Wunderkammern o “camere delle meraviglie” che venivano adornate da statue di sirene, di ninfe, di Pan, ecc. Si tratta – potremmo dire – della più antica versione del parco a tema dei giardinetti di città, in cui vengono riuniti animali e statue di ogni tipo, a formare una sorta di Disneyland in miniatura.
Lo stesso Goethe era un naturalista ed un fisico dilettante, collezionava pietre e conchiglie ed aveva statue di nanetti nel suo giardino di Weimar, dove spesso invitava gli amici per il tè.
Già nel medioevo (e prima ancora in epoca romana) erano conosciuti i cosiddetti “meccanismi eroniani”, cioè quei congegni idraulici attraverso cui si potevano creare giochi d’acqua e far muovere degli automi. Queste tecniche furono poi migliorate (e portate ai loro massimi livelli nelle fontane di Versailles – create peraltro da idraulici italiani), tanto che a Pratolino vi era un vero e proprio teatrino di automi, intenti a fare questo o quel lavoro con questo o quell’attrezzo. Tutto ciò ricorda molto da vicino il presepe e i nanetti indaffarati con carretti, asce, picconi.

È famoso il nano di Villa Pisani a Strà, come anche la “villa dei nani” di Valmarana , a Vicenza, in cui i nani accolgono il visitatore. Altrettanto famoso è “Morgante” il nano di Boboli, posizionato al centro di un labirinto di siepi, con una chiara funzione di guida a e sorveglianza, cioè una funzione teleologica.
Il labirinto è tra l’altro un elemento mitologico importantissimo, poiché implica un significato iniziatico, di morte e rinascita. Giove stesso era chiamato Labyris in Asia Minore.
E se ci pensiamo un po’, i nani scavano nelle caverne, anche quelle dense di significati mitologici di nascita e fertilità.

L’età moderna
In epoca moderna la storia del giardino ebbe due scossoni: il primo fu la rivoluzione inglese del paesaggismo, che si conclamò tra la metà e la fine del Settecento, che collimò peraltro con altri tipi di rivoluzioni nel campo delle arti, e che unanimemente si concorda nell’indicare come il punto di disgregazione della capacità di individuazione di un gusto soggettivo all’interno del giardino.
Il paesaggismo prevedeva ampi spazi che fossero più simili possibile ad una “natura ben coltivata”, con il grado minimo di artificio visibile. Lo spazio era improntato ai divertimenti tipicamente inglesi: la passeggiata a piedi, a cavallo o in carrozza, i giochi del golf e del polo. Collinette, vallecole, stagni, anse dei fiumi erano decorate con edifici e strutture che richiamavano antichi periodi storici, prevalentemente quelli greci, ma sempre più spesso vi erano ospitate delle “casette cinesi” per assecondare la moda delle cineserie e dell’Oriente.
Il revival, tipico di quel periodo delle rovine classiche e la scoperta del mondo alpino (quest’ultimo coincide con la teorizzazione del “sublime” da parte di Edmund Burke), rende i giardini luoghi ideali per ospitare artefatti che imitavano antichi ruderi o rocce, promontori, rilievi artificialmente creati. In seguito la moda delle rovine e delle fabrique (piccoli edifici che richiamano la vita in campagna, latterie, mulini, masserie) e delle folie (chioschi esoticheggianti e gazebo chiusi, dove potersi riunire non visti dall’esterno, per conversare, amoreggiare, o compiere piccole follie – donde il nome), divenne una vera e propria insensata esaltazione, e ne abbiamo una bellissima testimonianza in Bouvard e Pécuchet di Flaubert.

La caratteristica del giardino successivo, cioè del giardino romantico, è quella di suscitare un impatto emotivo e nasce quello che viene chiamato “eclettismo storico”: nei giardini, non sempre di dimensioni adeguate allo scopo, venivano così riuniti stili e impressioni differenti. Il giardino diviene così un mezzo per esprimere il proprio status symbol.

L’età contemporanea
Molto spesso si pensa che il cattivo gusto sia una tara dei tempi moderni, mentre invece ha radici ben lontane nel tempo, basti pensare ai sofisticati giochi ed automi che lo sfortunato Ludwig II di Baviera (il cugino di Sissi) si fece costruire per il suo castello di Neuschwanstein a Füssen. I giochi richiamavano apertamente le atmosfere romantiche wagneriane. Wagner stesso fu l’ispiratore di Ludwig, che gli commissionò “L’anello del Nibelungo” e che per lui fece costruire il teatro di Bayreuth. Il castello, giudicato con occhi moderni, è ricco di ogni genere di kitsch, ma all’epoca tutte le sue architetture e decorazioni erano considerate artistiche. Fu proprio Ludwig I, il padre di Ludwig II, ad iniziare la moda del castello eclettico e romantico. Molti erano gli arazzi e gli affreschi che rappresentavano motivi neo-gotici, allora molto in voga, come il mito del Graäl, di Merlino, della Tavola Rotonda e di Re Artù. L’Europa mitteleuropea è ancor oggi ricchissima di leggende e fiabe aventi come protagonisti gnomi, elfi e nani. Gli stessi Nibelunghi sono dei nani che abitano nelle caverne e custodiscono tesori (non diversamente dai Nani di Tolkien).
Il castello di Neuschwanstein fu concepito come un palcoscenico di una vita immaginaria, uno scenario ideale per il mondo romantico che Ludwig II si era costruito anche grazie all’opera di Wagner, e che in seguito è diventato l’icona pop di un merchandising basato sulle creazioni di Walt Disney, che a questo castello si ispirò per creare Disneyland.

Il secondo momento di rottura nella storia del giardinaggio moderno fu (per quello che riguarda la nostra indagine) la riproducibilità tecnica degli oggetti d’arte e di artigianato che ha posto le basi alla produzione industriale, alla serialità, ed al “brutto in serie”, cioè al kitsch a cui troppo facilmente e con poca cognizione di causa si fa appello parlando dei nanetti.
Si introduce qui il concetto di “collezione” e di “serie” nei termini in cui li ha analizzati Jean Baudrillard nel suo Il sistema degli oggetti. Attraverso la collezione di oggetti (o nel caso dei giardinieri, di varietà di piante) si allentano molte delle tensioni e delle nevrosi della vita quotidiana. Ogni oggetto posseduto è unico (sono noti i casi in cui le persone impiegassero minuti e minuti a decidere quale scegliere tra due nani apparentemente identici, poiché la valutazione è basata su canoni non estetici, ma emotivi), assolutamente singolare (il possesso dell’oggetto raro, o della pianta rara, ne è il limite estremo). Non c’è bisogno di conferma: la soggettività può farne a meno. Il collezionare è – in definitiva – un continuo allontanamento della morte, poiché l’elemento finale del collezionismo non è altro che l’individuo stesso. Il collezionista si sostituisce ad ogni elemento della collezione.

L’oggetto è ciò su cui facciamo una croce – nel senso che prefigura la nostra morte, ma superata simbolicamente dal fatto che lo possediamo. […] L’uomo che colleziona è morto, ma sopravvive letteralmente a se stesso in una collezione che, da questa vita lo ripete indefinitamente al di là della morte, integrando la morte stessa nella serie e nel ciclo.
cit. da Jean Baudrillard, Il sistema degli oggetti , Bompiani 2007, pag. 126

La serie dei nani è teoricamente chiusa, essendo solo sette, otto con Biancaneve, ma virtualmente è infinita, poiché infinite sono le combinazioni di varianti e di materiali, inoltre ai nani è possibile aggiungere infiniti elementi di piccola statuaria da giardino, come animali, rane, cerbiatti, Bambi, funghi, altri personaggi dei cartoni animati Disney.
Le prime produzioni industriali di nani di terracotta, che ovviamente ancora non avevano le fattezze disneyane, e che ora sono significativamente diventati pezzi da collezione di modernariato, vennero avviate verso 1880 in Turingia, ma ancor prima erano richiesti nanetti di fattura artigianale. Nel 1867 Sir Charles Isham, un gentiluomo inglese interessato allo spiritualismo, volle delle statue di gnomi per abbellire il suo giardino di rocce e conifere striscianti, a Lamport Hall, nel Northamptonshire. Affascinato dalla mitologia wagneriana allora in auge e dai troll di Henrik Ibsen, si fece portare dalla Germania parecchie dozzine di questi “spiriti della terra” che egli chiamava “minatori fantasma”.
A tal proposito non si può non ricordare come lo spiritismo fosse di moda sul finire dell’Ottocento, e che molti personaggi come Sir Arthur Conana Doyle (il creatore di Sherlock Holmes) ne fossero affascinati e ne ricercassero delle basi scientifiche.
Le fiabe dei fratelli Grimm furono pubblicate tra il 1812 e il 1822, e sono opere dichiaratamente popolari, o meglio della cultura del popolaresco. Non sono cioè una versione popolare di una tradizione colta, nascono già popolaresche. Non bisogna quindi guardare ai nani come una degradazione della statuaria classica del giardino all’italiana, ridotti di dimensioni e resi simili ad un fumetto, ad un giocattolo, per essere digeriti da palati meno raffinati. Il nanetto della fiaba di Biancaneve ha una sua propria autonomia storica e culturale che deriva da antichissime tradizioni popolari di origine celtica e germanica.
I fratelli Grimm si riproponevano di dare una testimonianza delle tradizioni popolari orali. I sette nani della fiaba dei Grimm sono sostanzialmente indistinguibili l’uno dall’altro, non hanno nomi né carattere, non vengono descritti morfologicamente: in breve non hanno individualità: se fosse stato uno soltanto sarebbe stata la stessa cosa. Mentre Disney, nel ’37, fa diventare i nani dei tipi individuali, ognuno con un nome ed una personalità, dandogli pertanto un carattere seriale, facendoli quindi diventare elementi di una serie collezionabile.
La plastica e l’avvento di altri materiali meno pregiati, ma duraturi, contemporaneamente all’invenzione di pigmentazioni da esterno in grado di resistere agli agenti atmosferici, hanno contribuito ad abbassare i prezzi e quindi a diffondere i nani da giardino. In questo modo molte volte ci si trova davanti a piccoli parchi tematici, con decori complessi che assumono tutte le caratteristiche del diorama. Tuttavia le persone che possiedono i nanetti sanno che questi hanno un valore più o meno alto a seconda del materiale con cui sono fatti. Quelli di terracotta sono più preziosi, perché il materiale è più naturale e li avvicina alla terra nella quale dimorano. Poi ci sono quelli di gesso, che è un materiale tenero e fragile e va tenuto bene e ridipinto periodicamente; poi c’è il cemento, infine la plastica. Il possessore del nanetto di cemento sa di avere un esemplare migliore rispetto a quello di plastica, ma anche peggiore rispetto a quello di gesso e terracotta.
Il possessore del nanetto sa che non può sottrarsi a questa “gerarchia estetica”, ne è a conoscenza, capisce quindi che esiste una scala di valori, comune e condivisa (una koiné) da tutti i possessori di nanetti, i quali ignorano che quasi nessun visitatore riesce a fare alcuna distinzione.

Gusto e disgusto
Con il mutare delle epoche e con il conseguente mutare delle forme dell’arte, più tese verso il senso ed il significato che non verso l’esteriorità, è diventato quasi impossibile pronunciare un giudizio estetico oggettivamente valido, poiché si finisce sempre per cadere nelle sabbie mobili dei gusti personali.
Ciò che “mi” piace non necessariamente corrisponde a ciò che “piace”. Questa variabilità è ammessa da tutti, ma a diversi livelli. René Wellek la considera una “abdicazione al giudizio estetico e il consenso implicito all’irruzione incontrollabile del capriccio soggettivo (cit. in Remo Bodei, Le forme del bello, Il Mulino 1995, pag. 41).

I gusti variano a seconda delle epoche e delle mode, ciò che oggi può apparire kitsch, brutto, per nulla artistico o addirittura di pessimo gusto, un tempo potrebbe essere stato elemento artistico di valore. Si getti solo un istante il pensiero al decorativismo esagerato di tipo Rococò, che oggi ci sembra assurdo, e lo definiremmo senz’altro volgare se non avesse il valore dell’antichità.

A fine Ottocento Jerome K. Jerome ridicolizzava le porcellane cinesizzanti bianche e blu, ipotizzando, come se fosse una cosa assurda, che un giorno sarebbero potute venire di moda, come infatti è stato. E Russel Page, riferendosi al Liberty si pronunciava dicendo “orribile Ottocento”, quando oggi il Liberty viene considerato uno stile di gran pregio.

Potremmo soffermarci a riflettere che tutte le cose su cui oggi ci affanniamo tanto potrebbero essere considerate dalle generazioni future semplicemente “brutte”.

Dire pertanto che “i nanetti sono brutti, o kitsch” contiene una gran quantità di inesattezze ed una certa precipitosità dell’affermazione. In questi casi si perde la capacità di osservare perché si vuole essere i soli a parlare: non sapere interrogare gli oggetti significa fissarli in presenze enigmatiche o insignificanti (molti semplicemente snobbano tout court i nanetti). Ciò deriva dalla distrazione dovuta alla presunzione, e non bisogna confondere la rapidità del giudizio con l’approssimazione.

Bisognerebbe prestare attenzione alla loro storia, che affonda le radici nella più lontana antichità, e soprattutto all’uso sociale che le persone che li acquistano ne fanno.
Potranno essere brutti, ma di certo sono estremamente interessanti, poiché sono un fortissimo marcatore sociale.
Innanzitutto testimoniano una ricerca di decoro, e con “decoro” non intendiamo esclusivamente un elemento di abbellimento esteriore, ma della dimostrazione di una bellezza interiore, e precisamente familiare.

È bene precisare che ogni gusto nasce da un disgusto, o dal un rifiuto di un altro gusto, come è stato ampiamente testimoniato da varia critica sociologica (su tutti Pierre Bourdieu, Critica sociale del gusto, Il Mulino 2001).
Il gusto è il senso del discernimento (unito alla competenza) tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace, tra ciò che consideriamo bello e ciò che consideriamo brutto. Questo atteggiamento estetico si manifesta sotto forma di una più o meno consapevole presa di distanza da ciò che non ci piace, tanto che possiamo senz’altro dire che ad ogni affermazione corrisponde una negazione, e che ogni determinazione è un negazione essa stessa.

La reciproca diffidenza (o avversione) per gli stili di vita differenti rappresenta una delle barriere più solide tra le differenti classi (sociali, culturali o economiche). La cosa più intollerabile, per coloro che si ritengono detentori dei gusti legittimi (il che non significa necessariamente che sia effettivamente così ) è la commistione di gusti e stili che quelli ufficiali prescrivono di tenere separati (ad esempio il “sacro” col “profano”). Si tratta di un continuo gioco di rifiuti che rifiutano altri rifiuti.

Il gusto è quindi una attitudine verso l’appropriazione, materiale o simbolica, da parte di una determinata classe, di oggetti o azioni classificate o classificanti, al fine di conquistare legittimità al proprio stile di vita e decoro per la propria persona o famiglia.
Anche se nei tempi moderni le differenze culturali, sociali ed economiche tra le classi si sono molto smorzate, è vero che è nella natura dell’uomo aspirare ad avere qualcosa in più, cioè ad elevarsi dalla sua classe sociale quella immediatamente superiore.
I giardini sono ricchissimi di segni evidenti di questo tipo di distinzione: il prato all’inglese, le palme, le piante tropicali, il roccioso con le piante grasse (gli stessi giardini che vorrebbero distinguersi brillano anche per l’ovvietà della scelta delle piante e per l’assenza di alcune piante considerate ormai “proletarie, contadine”, oppure semplici “erbacce”).

Beninteso, si tratta di simboli che dichiarano uno status elevato solo a chi non li comprende, cioè agli appartenenti alla stessa classe culturale e a quelle inferiori. Chi espone i nani pensa di rivolgersi alle classi superiori, esibendo un decoro evidente, ma in realtà –senza accorgersene- si rivolge ai membri della sua stessa classe ed a quelle inferiori.

Le classi popolari, per necessità, assegnano ad ogni oggetto una funzione: il nanetto invece è completamente inutile; si configura pertanto come un vero e proprio “consumo vistoso”, con il quale il proprietario del giardino che lo esibisce intende mettere più spazio possibile tra sé e la classe popolare (alla quale presumibilmente appartiene, o da cui proviene, o a cui è comunque vicina o limitrofa quanto a livello culturale) a cui per definizione i nani delle fiabe di Grimm appartengono.

Il concetto di bellezza in quanto categoria separata dall’utilità dell’oggetto a cui ci si riferisce, deve molto alle formulazioni di Kant nella Critica del giudizio. Kant sosteneva infatti che “bella” fosse una “piccola cosa senza importanza”, portando il famoso esempio della tabacchiera, una “piccola rotondità” per lui era “bella”. Il concetto di “bello” è molto mutato da allora, e quello che Kant definiva “bello” noi oggi lo diremmo più che altro “grazioso”. Tuttavia la disgiunzione tra le categorie di utilità e di bellezza è un nodo importante nella filosofia moderna, ripreso con forza ed analizzato con lucidità da personaggi del livello di Luigi Pareyson e Rosario Assunto.

In questione non è se l’oggetto sia bello o brutto, ma l’uso sociale e la forma di distinzione tramite esso operata (anche per questo dire che i nanetti sono brutti è una sciocchezza, è come dichiarare “brutta” una parte della nostra storia culturale ed antropologica –benché recente- il che non è diverso dal dire di un libro che è “poco profumato” o di un dipinto che è “un po’ scarso di sale”).

Decoro morale e decorativismo estetico
Dato che non esistono attualmente, come invece sono esistiti in passato, dei canoni precisi su quale sia il tipo di stile ufficialmente legittimato, il decoro si configura come una ricerca dello stesso. La ricerca del decoro (morale) tramite la casa e il giardino per mezzo dell’uso di piante e di artefatti, è una caratteristica di qualsiasi società che ambisca a dimostrarsi civilizzata.
Individualmente ognuno di noi attua inconsapevolmente questa strategia: in gioco c’è la ricerca della distinzione sociale, poiché il decoro (sia morale che estetico) non è una norma autoprodotta, ma il risultato delle relazioni sociali: i nanetti sono termini di una proporzione universalmente valida nella cultura occidentale, stanno cioè al giardino decorato piccolo-borghese come la fontana di Apollo sta al giardino di Versailles.

Non è un caso che la moda del nanetto sia molto fortemente sentita in Francia, poiché lì nacque la Ligue du coin de terre et du foyer (poi Fédération Nationale Jardins Familiaux) che prevedeva un’opera di abbellimento degli orti comuni. Dopo un periodo di abbandono e trascuratezza, negli anni ’50 la Ligue ebbe dei finanziamenti statali e visse un secondo momento di gloria. E sono proprio gli anni ’50 che vedono il picco più alto della moda dei nanetti.
È un’idea piuttosto comune, che viene ribadita da certi cataloghi e certa iconografia deteriore, di orti e giardini piccolo-borghesi abbelliti da carriole colme di fiori, vecchie lanterne, vialetti di ghiaia bianca vagamente cimiteriale, aiuole aromatiche ottenute con ruote di carro, i vasi dipinti di bianco (queste ultime tendenze purtroppo avvalorate da personaggi del calibro di Vita Sackville-West), la lanterna di ferro, il finto pozzo di resina con il vaso di zinco colmo di petunie.

Una caratteristica comune di tutti i giardini piccolo-borghesi è la coltivazione delle piante, la manipolazione (che diventa occultamento) della natura e del decoro a fini emotivi, poiché il giardino si configura come un simbolo familiare. Il giardino è l’anticamera della casa, e la casa è il ventre materno che contiene la famiglia, e i nanetti sono per i loro proprietari delle vere e proprie insegne di nobiltà.
Coltivando il giardino si coltiva se stessi e il proprio decoro familiare (molti filosofi, tra cui Socrate, Seneca e Aristotele sostenevano che la cura del sé fosse una caratteristica esclusivamente umana –evidentemente non avevano familiarità con i gatti), pertanto la ricerca delle decorazioni in giardino è da considerarsi non solo un fatto estetico, ma soprattutto sociale.
Il decoro in questo caso è perseguito secondo le modalità della serie e della collezione, quindi per accumulo e condensazione.

Misunderstanding del nanetto
Di volta in volta i nanetti vengono in maniera semplicistica eletti a stendardo della libertà espressiva in giardino, (quella di cui tanto diffidava René Wellek), dello spirito naturale, della visione dionisiaca della vita, dei “buoni sentimenti”, o all’opposto vengono considerati un gusto esibitorio, un simulacro del consumismo che attinge al regno della fantasia e alla natura, storpiandola e vittimizzandola.
In ogni caso il giardino con i nani solletica il senso del gusto, eccita l’interrogativo tra naturale ed artefatto, getta un ponte tra l’umano e il fantastico, problematizza il rapporto con la natura. Suscita comunque una reazione, di difesa o di attacco.

Oltre ad avere una palese funzione apotropaica, protettrice e teleologica (eredità di Priapo) i nanetti hanno una funzione di attirare l’attenzione del visitatore, concentrando su di sé gli interrogativi che altrimenti sarebbero rivolti alla casa e al giardino (inteso come insieme di piante e dignità familiare), creano quindi uno scenario di artificio attraverso cui eludere il problema del decoro, che il possessore del nanetto non sa risolvere e aggira invece di affrontare. È per questo motivo che i nanetti sono sempre rivolti verso l’esterno, sulla strada, mai verso l’abitazione.

Come abbiamo visto, l’occultamento della funzione è una delle caratteristiche dell’arte industriale moderna (che neanche il Funzionalismo è riuscito a demolire) . La stessa funzione delle decorazioni è occultare la realtà, spingere l’attenzione verso altro.

Questo meccanismo non risulta evidente a chi possiede i nanetti, subentra quindi un inconsapevole auto-inganno: il desiderio si auto-invera ed autosoddisfa, diventa – come si suol dire – autoreferente.

Il wishful thinking in questo caso è conclamato dalla presenza del nanetto, che incarna una visione della realtà il cui unico senso logico, per il possessore del nanetto, non può essere cercato al di fuori del wishful thinking, ma al suo interno.

Questo tipo di finzione viene spesso attuata anche attraverso la scelta delle piante. Un proprietario che non voglia che il suo giardino abbia un’aria contadina, sceglierà senza dubbio delle palme, che sono “alberi” ma che non assomigliano agli alberi da frutto, retaggio dell’orto contadino. Durante gli anni ’70 ed ’80 il salice piangente (Salix babylonica) è stato usato per conferire un’aria languida e romantica ai giardini (ora è stato sostituito dallo Schinus molle), e negli anni ’40 la svenevole rosa ‘Dorothy Perkins’ aveva raggiunto una tale diffusione da diventare uno degli emblemi del kitsch in giardino.

Il nanetto è portatore di un messaggio autorefenziale (Umberto Eco in Apocalittici e integrati lo definisce “messaggio poetico”) . L’autoreferenza di tale messaggio sottrae al visitatore del giardino la possibilità di decodificarlo mediante un codice da lui condiviso (il codice – come koiné – appartiene solo al possessore del nanetto). Il messaggio diventa quindi non più il suo contenuto, ma il tipo di codifica usata per inviarlo, sicché l’attenzione del visitatore si sposta dal contenuto alla struttura del codice necessaria per comprenderlo. Questo è naturalmente lo scopo del nanetto, e così facendo il visitatore ottempera al fine del messaggio autoreferente.

Kitsch, Camp e fenomeno di risalita
Il kitsch è un termine di origine tedesca, dall’etimologia piuttosto incerta, che comunemente viene però tradotto con “paccottiglia”. Il kitsch, diremo semplicemente, è quel tipo di prodotto artistico o artigianale che non è solo brutto, ma viene scambiato per bello, pretende di essere bello con una tale violenza da risultare inguardabile. Benché possiamo supporre che il cattivo gusto sia sempre esistito, il kitsch è un fenomeno tipico delle società industriali, della riproducibilità tecnica degli oggetti.
Il kitsch non nasce dall’arte popolare (come lo sono i nanetti) che si presenta selezionata da secoli di tradizioni, ma dai prodotti dell’arte industriale che si rivolgono alle grandi masse: il kitsch è quindi prodotto dalle classi colte per essere venduto a quelle con minore capitale culturale (è un chiasmo sociale quello che vede i ceti alti consumatori dell’arte popolare e le classi popolari consumatrici dell’arte di scarsa qualità appositamente confezionata per loro dalle classi culturali elevate) .
Il kitsch piace a chi lo compra perché non ne comprende la banalità e la pochezza dei contenuti.
Il termine è stato spesso abusato ed esteso a definire anche ciò che è semplicemente brutto o che comunque non ha le medesime caratteristiche estetiche definite dalla classe sociale a cui appartiene chi lo guarda, poiché il kitsch, più che una categoria artistica, è un fenomeno sociale.
Accanto al kitsch non possiamo non citare il camp, che molti definiscono un kitsch “redento”, ironizzante. Camp significa letteralmente “pretenzioso, vistoso, affettato, eccessivo, inopportuno”. Tutto cioè che è volutamente esagerato, disegnato in modo da catturare lo sguardo e l’immaginazione, che in un primo momento appare bello o interessante ma ad un secondo sguardo appare volgare, viene comunemente definito camp.

In questi ultimi anni abbiamo visto tornare di moda un certo tipo di decoro e di linea tipica degli anni ’50-’60-’70, periodi i cui prodotti di industrial design (che potremmo riassumere nell’arredamento e nelle scenografie della serie storica di Star Trek), erano largamente stigmatizzati sia dal grande pubblico che dai ceti colti. Mentre oggi ci vestiamo con maglioni e pantaloni che se li avessimo indossati anche cinque anni fa avremmo subito un pestaggio per strada.
Quando le élite intellettuali (stilisti, pittori, scultori) si divertono con ciò che un tempo era definito kitsch nasce il camp, divenuto alla moda per essere stato portato agli altari del gusto dall’intellighentzia e dagli arbiter elegantiarum. In ogni caso sono solo loro che possono permettersi di attuare, attraverso il rifiuto di tutti i rifiuti, il recupero (per mezzo della parodia e l’ironia, mai attraverso i canoni “classici” dell’estetica) di tutti quegli oggetti rifiutati dall’estetismo corrente, legittimato, ufficiale, poiché appartenenti a classi di estetismo inferiori.

Questo tipo di procedura è evidentemente molto rischiosa, tanto più rischiosa quanto più gli oggetti vengono definiti “volgari”, ma in questo caso, se riesce, ripaga molto di più, specie se la distanza di tempo o di tempo sociale è breve. Ecco perché i pantaloni a zampa d’elefante non sono più demodè e quindi compromettenti.

Breve conclusione
La mia personale conclusione riguardo ai nanetti da giardino è che molto probabilmente ha ragione chi non li definisce belli, ma che non si può negare che siano estremamente interessanti. La loro importanza da un punto di vista estetico e decorativistico è del tutto secondaria se non marginale. Ciò per cui sono interessanti (e quindi belli, secondo un pitagorico concetto di bellezza) è la loro natura culturale e sociale estremamente nidificata. Non si può non aderire, seppure con riluttanza, alla tesi di Bruno Sanguanini che vede nei nanetti una stratificazione di culture tali da essere definita “jam”, “marmellata”. Una sovrapposizione ed una rimescolanza di simbologie, modelli, stili, evocazioni, comportamenti, relazioni sociali, metafore, schemi antropologici, psicologici e socio-culturali, che non possono in nessun caso essere ignorati quando si parla dei nanetti. Liquidarli semplicemente come kitsch denota mancanza di attenzione e giudizio, e certamente imprudenza.

Il nodo di Gordio – secondo il mio punto di vista – è la dialettica tra arte ufficiale, legittima e legittimata e il kitsch. Questo scambio reciproco è tipico dell’arte moderna. Da un lato il kitsch attinge al mondo dell’arte ufficiale, riducendola a paccottiglia per venderla alle middlebrow e lowbrow class, l’arte legittima cerca in tutti i modi di sfuggire a questa condanna con trovate sempre più ingegnose ed originali, talvolta attingendo essa stessa al kitsch, come hanno fatto gli artisti Pop (la gulliverizzazione è una azione tipica della Pop Art). Il fenomeno è stato ottimamente analizzato da Gillo Dorfles e Umberto Eco nei libri di seguito indicati.

Ciò che ieri chiamavamo kitsch, cattivo gusto, subcultura, lowbrow, oggi è al centro di una attività da parte delle élite intellettuali che non possiamo ignorare e che ci costringe, volenti o nolenti, ad una correzione di valutazione o quantomeno ad una seria riflessione.

Riferimenti

* Jean Baudrillard – Il sistema degli oggetti
* Remo Bodei – Le forme del bello
* Pierre Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto
* Gillo Dorfles, Le oscillazioni del gusto
* Umberto Eco, La struttura del cattivo gusto, in Apocalittici e integrati, Bompiani
* Immanuel Kant, Critica del Giudizio
* Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, Olschki
* Jean-Yves Jouannais, Des nains, des jardins. Essai sur le kitsch pavillonnaire
* Luigi Pareyson, Estetica. Teoria della formatività
* Bruno Sanguanini, Nanetti e giardini in Italia. Microcultura di un gusto pop europeo, Cleup
* Thorstein Veblen, Teoria della classe agiata
* Mariella Zoppi, Storia del giardino europeo

2 pensieri riguardo “Nanetti da giardino: etica ed estetica di Brontolo &co.

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