Questa introduzione è volutamente semplificata per essere letta anche da chi abbia scarse o nulle cognizioni di botanica. Tratta gli effetti dell’intervento dell’uomo sulla natura solo laddove sia strettamente indispensabile, poiché esso è talmente invasivo da obbligare ad una trattazione più articolata e necessariamente più lunga e complessa.
In fondo alla pagina si trovano un piccolo glossario e un diagramma della classificazione delle piante.
Vegetazione, flora e climax
Prima di ogni altra considerazione è necessario distinguere tra il significato che i botanici danno ai termini vegetazione e flora.
In prima istanza si potrebbe dire che la vegetazione è una conseguenza necessaria del suolo e del clima, e che non può essere considerata come un elemento da essi avulso. Una minima modificazione di questi conduce infatti ad un tipo di vegetazione differente, ed al contempo l’evolversi della vegetazione comporta delle modifiche nel suolo e nel clima.
Possiamo dire quindi che quando parliamo di vegetazione intendiamo un complesso di piante che vivono in un determinato ambiente, più o meno vasto, poste in relazione all’ambiente geografico e storico in cui si trovano. Ma se consideriamo le piante una ad una, separatamente, allora si entra nello studio di quella che i botanici chiamano flora.
In natura le piante non vivono isolate, ma in raggruppamenti più o meno estesi o densi, a seconda delle condizioni pedologiche e climatiche. Le modalità ed i tempi in cui queste associazioni nascono, si sviluppano e si trasformano l’una nell’altra, sono oggetto di studio e discussione. Talvolta le associazioni vegetali sono molto semplici da identificare, come nel caso de boschi composti da una sola specie (“faggeta”, “querceto”, “castagneto”); altre sono così frammentarie, mutevoli e disomogenee da rendere difficile una classificazione corretta. I raggruppamenti di piante vengono chiamati fitocenosi (da greco fiton= pianta e koinos = comune).

Le associazioni di piante hanno durata differente, spesso l’una si trasforma nell’altra via via che più o meno lentamente matura. Alcune sono molto effimere, altre sono invece stabili e durevoli, e per così dire, “conclusive” di uno stadio evolutivo (perlomeno fino a che non entrino in gioco altri parametri che possano alterare l’insieme). Quando si raggiunge questo stadio culminante si parla di climax. I più importanti esempi di climax alle nostre latitudini sono costituiti dalle associazioni forestali.
Nota: Per definire le associazioni vegetali si usano delle denominazioni latine, con desinenze in -etum, seguite da specificazioni sul genitivo. Esempio: querceto di lecci è detto Quercetum ilicis, querceto di rovere diventa Quercetum roboris. Mentre con la desinenza -ion si individuano raggruppamenti vegetali superiori, che riuniscono associazioni vegetali tra loro simili. Quindi la locuzione Quercion ilicis comprende non solo il Quercetum ilicis, ma anche altre associazioni similari.
Suddivisioni territoriali europee
In Europa si distinguono propriamente tre regioni climatiche, a loro volta divise in domini, province e distretti.
Da nord a sud, schematizzando:
* Regione artica > clima freddo> tundra senza vegetazione arborea
* Regione medioeuropea > clima temperato > foreste di conifere e di latifoglie a vegetazione estive
* Regione mediterranea > clima temperato-caldo > sclerofille a foglie persistenti
La regione medioeuropea si può suddividere in:
* Dominio atlantico (Francia, Isole Britanniche), clima oceanico e vegetazione a latifoglie sciafile
* Dominio centro-europeo (Germania, paesi alpini), clima sub-oceanico e vegetazione ad aghifoglie e latifoglie.
* Dominio illirico (Penisola Balcanica, esclusa la parte meridionale), clima sub-oceanico di transizione, vegetazione di aghifoglie e latifoglie, spesso con forme peculiari.
* Dominio sarmatico (Russia meridionale, Polonia orientale), clima continentale e vegetazione steppica.
Il Dominio centro-europeo si suddivide in:
* Provincia Baltica (Germania settentrionale e Paesi Baltici del sud)
* Provincia germanico-rodaniana (Germania centro-meridionale)
* Provincia alpina
* Provincia appenninica (Catena appenninica fino alla Maiella)
La provincia alpina a sua volta si suddivide in :
* Distretto alpino propriamente detto (Alpi e Prealpi)
* Distretto insubrico-euganeo (fascia collinare lombarda ed euganea)
* Distretto monferrino-langhiano (zona collinare piemontese meridionale)
* Distretto padano (pianura padano-veneta)
La flora spontanea in Italia
La vegetazione alpina
La vegetazione dei rilievi alpini può essere considerata a livello universale, poiché è spesso la stessa che colonizza le principali vette del globo.
Salendo sulle Alpi, dopo avere lasciato le fasce di foreste e conifere, ed in seguito quella degli arbusti nani e contorti dal clima avverso, si raggiungono zone che hanno aspetto di tundra e deserto nivale, che sembrano riprodurre in miniatura la vegetazione delle ben più estese lande dell’estremo nord. La neve può diventare una copertura contro il freddo invernale, ma quando permane oltre un certo lasso di tempo, diventa un’avversità. Molte preparano i germogli sin da quando sono ancora sepolte dalla neve, ma poche sono quelle che possono sopravvivere dove la neve dura oltre i dieci mesi l’anno. Si è d’accordo nel riconoscere il limite climatico delle nevi là dove il sole estivo non basti a sciogliere la copertura nivale in un tratto pianeggiante.
Sulle Alpi sono poche le piante con fiori che superano i 4000 metri, se ne conta una diecina di specie. Le crittogame sopportano altitudini più elevate delle spermatofite, perciò la porzione più alta dell’orizzonte nivale viene chiamata “orizzonte delle tallofite”. Le tallofite dal maggiore sviluppo in queste condizioni avverse sono i muschi, ma anche i licheni, che non sono tallofite, hanno una grande importanza. Più in alto ancora possono salire le alghe microscopiche (crioplancton) che danno luogo al famoso fenomeno delle nevi colorate.
L’albero alpino per eccellenza è il larice (Larix decidua), non solo perché raggiunge le maggiori altitudini, ma perché delle Alpi è quasi esclusivo, anche se si ritrova sui Carpazi e in alcuni punti della Polonia. Molto diffusi sono i pini, specie l’abete rosso, detto anche peccio (Picea excelsa), il pino cembro (Pinus cembra) e il faggio (Fagus silvatica). In zone più elevate gli alberi assumono forme nanizzate e contorte, per via dell’asprezza degli agenti atmosferici. I tedeschi chiamano questa boscaglia alpina “Krüppelgrenze”.
Negli orizzonti subalpini si trovano molte ericacee, tanto che il complesso della flora che vi prospera viene denominata “brughiera alpina”, ma la brughiera si sviluppa anche in zone meno elevate, in compagini più dense e serrate.
Usciti dall’ombra delle foreste potremmo facilmente trovarci in ampie zone luminose, le “praterie”, le quali a seconda del grado di umidità possono essere asciutte o magre, umide o pingui, o addirittura inondate. Le praterie possono essere divise a seconda della loro origine e funzione. Possono essere originarie se sono nate naturalmente e sono indipendenti dall’uomo, naturali se sono create e conservate dall’uomo, o artificiali, in genere monofitiche, cioè create con una sola specie.

Nell’Italia alpina, in zone meno elevate o pedemontane, è interessante la vegetazione delle paludi, delle rupi, dei greti e dei detriti. Molto più di un accenno meriterebbe la vegetazione delle caverne.
La Pianura Padana
La padània è figlia delle Alpi, una pianura alluvionale formata dai detriti portati dalle montagne, che hanno colmato l’antico golfo. Essa è stata talmente tanto modificata dall’intervento dell’uomo che non vi è più traccia della vegetazione originaria, sostituita da colture da reddito.
Associazioni forestali diffuse in padània sono le pioppete composte da pioppo bianco (Populus alba), che trova terreno ideale nei suoli sabbiosi ed umidi. Molto diffusa è anche la robina (Robinia pseudoacacia). Nel 1601 la robinia fu introdotta in Europa dall’America Settentrionale da Jean Robin, da cui prese il nome. Dapprima non dovette essere stata usata largamente, se nel 1785 Castiglioni dovette reintrodurla nel milanese. Ma da quel momento in poi divenne un albero usato ovunque, e speciale panacea per i suoli sterili e ghiaiosi.
La pianura padana presenta delle formazioni vegetali piuttosto significative, come la “campagna” bresciana, detta anche “Brughiera di Montichiari”, e i “magredi” friulani. Altrettanto interessanti sono i “sabbioni”, le “lame” bresciane, le “valli” veronesi, e la vegetazione acquatica dei “fontanili”.
Il clima insubrico
Per particolari condizioni climatiche nella zona dei grandi laghi troviamo alcune peculiari caratteristiche del clima mediterraneo, con presenza di olivi e piante tipiche della macchia mediterranea.
L’Italia mediterranea
Il climax peculiare dell’Italia mediterranea è quello dell’Oleo-Ceratonion (climax dei raggruppamenti ad olivo Olea europea– e carrubo Ceratonia siliqua), anche se questo ha carattere spiccatamente litoraneo. In zone più elevate quello del Quercion ilicis (lecceta, Quercus ilex) è il più significativo, assieme al faggio (Fagus silvatica).
Il faggio, grazie anche ad un non troppo oculato progetto a lungo termine della Guardia Forestale, sottrae sempre più spazio all’abete bianco (Abies alba). L’uso di questo legname per mobili, alberature navali e per la cellulosa, ha purtroppo determinato la distruzione delle foreste di abete bianco sull’Appennino.
Le antiche selve mediterranee erano probabilmente densissime ed impenetrabili (la “Selva Brutia” della Calabria, celebrata da Livio, Plinio e Virgilio, ne è un esempio). Già prima dei Romani, i Fenici hanno il discutibile vanto di essere il popolo dell’antichità che ha distrutto la maggiore quantità di boschi. La foresta di pino laricio (Pinus laricio) che copriva quasi interamente la Calabria fu letteralmente devastata per costruire la potenza dell’antica Roma. Tutto ciò che era di legno, all’epoca veniva costruito con il pino laricio calabrese: edifici, utensili, intere flotte di navi.
I pini sono molto diffusi in tutta Italia, specie nelle zone litoranee, fino alla fascia prealpina. Tra le specie maggiormente importanti, il pino marittimo (Pinus pinaster), il pino d’Aleppo (Pinus halepensis), e il pino domestico, il cosiddetto “pino da pinoli” (Pinus pinea).
Molto importante è anche la presenza del castagno (Castanea sativa) e del pioppo bianco (Populus alba), ma è molto frequente la presenza di boschi misti con specie di minore diffusione, come l’acero campestre (Acer campestre), la carpinella (Ostrya carpinifolia), il nocciolo (Corylus avellana), il pruno (Prunus spinosa), il falso pistacchio (Staphylaea pinnata), il frassino (Fraxinus ornus), lo storace (Styrax officinalis), il carpine (Carpinus orientalis), ed altri.
Importantissimi da citare sono gli abeti di Serra San Bruno in Calabria, affini all’abete di Nebrodi (Abies nebrodensis), ma che in questa particolare zona non temono la concorrenza del faggio, che – anzi -viene sopravanzato. Ma l’albero che maggiormente caratterizza le vette calabresi è il celeberrimo pino loricato (Pinus leucodermis). Somigliante al pino laricio ma dalla colorazione decisamente più chiara e per la corteccia squamosa, che gli conferisce un aspetto contorto ma luminescente. La “lorica” è infatti l’armatura degli antichi guerrieri.

Le due coltivazioni che maggiormente rappresentano la zona mediterranea sono l’olivo coltivato (Olea europaea var. sativa), la sua specie selvatica (Olea europea var. oleaster) e il carrubo (Ceratonia siliqua). Molti studiosi negano l’indigenato del carrubo, ma forse per la Sicilia si può ammettere almeno una remotissima introduzione.
Forse ancor più caratterizzante della mediterraneis non dal punto di vista botanico, ma da quello paesaggistico- è la “macchia”, cioè una eterogenea compagine di arbusti sempreverdi, spesso a fogliame duro (sclerofille), così fitti da risultare difficile addentrarvisi. Esistono molti tipi di macchia a seconda della specie dominante. Se le forme arboree o arborescenti della macchia decadono, allora essa si degrada in “gariga”, con cespugli sempreverdi, bassi e discontinui su suolo prevalentemente roccioso, ma anche detritico o sabbioso. Spesso a causa di incendi o di altri interventi umani, la “gariga” si degrada ulteriormente a “steppa mediterranea”.

Piccolo glossario
* Angiosperme: sono le piante più evolute caratterizzate dalla presenza di veri fiori e semi. I semi si originano dalla fecondazione di un ovulo contenuto in un ovario. Sono le piante con cui più frequentemente e con maggiore godimento il giardiniere ha a che fare.
* Briofite: muschi ed epatiche (Marcantia).
* Crittogame: sono le piante meno evolute, così chiamate perché non hanno organi riproduttivi evidenti (dal greco cryptos = nascosto e gamos = nozze), non si riproducono tramite semi, bensì tramite spore; comprendono felci, equiseti e muschi. Comprendono psilofite, licofite, sfenofite (equisteti) e pteridofite (felci). Le psilofite sono piante quasi estinte, rappresentate da due generi viventi: lo Psilotum e il Tmesipteris. Le licofite nel Carbonifero avevano portamento arboreo; ora anche queste sono piante quasi completamente estinte, e sono rappresentate da cinque generi, tra cui Selaginella e Lycopodium.
* Fanerogame: piante con organi riproduttivi evidenti e capaci di produrre semi, cfr. spermatofite (dal greco faneros = manifesto, gamos = nozze).
* Fitocenosi:associazioni vegetali
* Flora: l’insieme delle specie vegetali presenti in un territorio.
* Gimnosperme: piante i cui semi derivano dalla fecondazione di ovuli non racchiusi in un ovario, ma portati all’ascella di foglie trasformate.
* Licheni:associazione simbiotica tra un’alga e un fungo
* Mesofile:piante che preferiscono medie condizioni di luce, calore ed umidità.
* Monofitico: si dice in genere di prato o di un’associazione vegetale creata da una singola specie (trifoglio, erba medica, ecc.)
* Pedologia:lo studio del terreno.
* Pteridofite: felci.
* Sclerofille:piante a fogliame coriaceo.
* Sciafile: piante amanti dell’ombra.
* Spermatofite: piante che producono semi, da Linneo contrapposte alle crittogame, comprendono le angiosperme e le gimnosperme.
* Tallofite: piante che non presentano radici, fusto e foglie ben differenziate (muschi, epatiche).
* Tracheofite: piante dotate di tessuti specializzati per il trasporto della linfa (trachee). Comprendono felci, gimnosperme ed angiosperme.
* Vegetazione: l’insieme delle piante di un determinato luogo.
* Xerofila: pianta amante dei terreni secchi
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bellezza, non metterti con me, io sono una professionista
Davvero una soddisfazione sentir parlare di pteridofite e fitocenosi in un discorso tanto accessibile. Questa è divulgazione! Io poi quando si toccano certi argomenti mi esalto proprio. Soprattutto le zone climatiche sono una passione. A proposito, vorrei segnalare la presenza di due parchi di grande interesse botanico in Piemonte proprio in quell’area, la padania, che tanto è stata alterata dall’antropizzazione (ahimè). Il più noto è il parco della Mandria (www.parks.it/parco.mandria) mentre l’altro è il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino (www.parks.it/parco.partecipanza.trino). Sono due luoghi suggestivi e anomali nel panorama italiano. Due riserve che rappresentano l’unica possibilità di vivere l’esperienza di foresta planiziale che una volta doveva ricoprire tutto il territorio della Pianura Padana e oggi non esiste più. Come doveva essere bello: boschi, paludi, sentieri e ladroni, mistero e meraviglia, paura e speranza sotto l’ombra delle chiome, anziché autostrade, svincoli, alta velocità, caselli e campi di mais.