La ferocia delle donne al potere in un sistema maschilista

Il tema della ferocia delle donne di potere riemerge frequentemente in questo periodo in cui la prima premier della storia italiana è una donna. Da Giorgia Meloni, che ha peraltro un aspetto con le caratteristiche che sono state nobilitate dal razzismo inglese, capelli biondi, occhi azzurri, pelle chiara, fisico snello anche se minuto, ci si aspettava di più -non in quanto governante – ma proprio in quanto donna.

Avendo tra l’altro brandizzato politicamente la sua femminilità, la sua maternità e religione, Meloni è spesso additata quale negazione di tutte e tre le cose (donna-madre-cristiana).

Quanto a spietatezza, Meloni viene spesso associata a Ursula von der Leyen, a Angela Merkel, a Margaret Tatcher. Tra i commenti sui social leggo spesso elenchi di nomi di donne di potere di cui viene rimarcata la crudeltà, e -se il commento è di un maschio – inevitabilmente segue la chiosa: “Dicono che le donne al potere non farebbero le guerre, ma mi pare tutto l’opposto” (o qualcosa di analogo).

C’è una versione breve e c’è una versione lunga per spiegare tutto questo, userò quella breve: in un sistema di governo maschilista e patriarcale, non può che essere così. Sarebbe assolutamente, del tutto, in qualsiasi modo impossibile che non fosse così.

L’attuale sistema economico, il capitalismo globale, considera le donne quale forza lavoro e forza riproduttiva da controllare, non da includere della struttura di governo. Ovviamente, grazie alle lotte femministe e al progresso scientifico, le donne sono riuscite a creare delle incrinature, ricavandosi qualche spazio, inserendosi man mano sempre più in alto. Il lavorio per ottenere questo risultato dura da millenni ed è costato milioni di vite di donne. E qui si apre un grande ossimoro della lotta politica all’interno della società capitalista. La lotta per l’eguaglianza si esprime infatti attraverso le dinamiche capitaliste, in seno alla collettività. È quindi naturale che le espressioni ultime di quella lotta non rappresentino i valori teoretici iniziali, o di chi la abbraccia o la combatte ai “piani bassi”. In definitiva, Giorgia Meloni non rappresenta un “risultato” per il Femminismo, se non di tipo meramente statistico.

Il sistema capitalista patriarcale non ti mette sullo scranno di Presidente del Consiglio Italiano se propugni parità salariale o l’aborto gratuito. Ti ci mette solo se fai i suoi interessi, in quel caso per la donna ci sono molte ricompense.

A riguardo trovi un intervento di Michela Murgia al minuto 5:23 di questo interessante video (Il muschio selvaggio, con Fedez) in cui Murgia dice “le donne che non rompono le palle al patriarcato escutono i dividendi”. Se vai a 1h09, Murgia aggiunge che il patriarcato “serve alla guerra” (1h09m). Se poi lo ascolti per intero, è anche meglio, perché è ricco di riflessioni interessanti che appaiono quasi preveggenti.

Tutte le donne di potere hanno agito secondo il sitema patriarcale e capitalista, accentuandone anzi l’asprezza, perché una donna che occupa un posto abitualmente assegnato a un maschio, deve dimostrare di “esserne all’altezza” (…). Ciò implica non solo ricalcare deliberatamente o inconsapevolemente modelli di comportamento maschili, ma esasperarli. Inoltre, per essere arrivata fin lì, dividendi o meno, una donna -chiunque essa sia- ha certamente lavorato molto su sé stessa, sulla sua capacità di reazione e controllo. Questo porta a un normale inasprimento del carattere. Si aggiunga il mito della donna mansueta e angelica per aumentare lo stigma verso le donne di potere che usano la stessa spietatezza delle loro controparti maschili.

Esercitare il potere in un sistema in cui è “il potere” a essere spietato, porta chiunque a farlo secondo quel parametro, secondo quella relazione tra chi agisce e chi subisce. Il modo in cui il potere viene agito il più delle volte non è neanche determinato dall’individuo, ma dalla struttura politica. L’individuo-personificazione può certamente aggiungere del suo, ma è comunque e sempre incanalato su quel binario. È il potere patriarcale a determinare la ferocia, non il genere di chi la esprime! Le donne, in quanto persone, possono essere buone e cattive, feroci o miti, bellicose o pacificatrici, o una via di mezzo di tutto ciò. Sembra così superfluo da dire, ma per molti maschi i puntini non si collegano. È per questa ragione che sostengo che il governo dei maschi abbia fallito, e che è ora che le donne prendano il potere. Certo, in un sistema non-patriarcale.

Le frasi antifemministe del tipo: “Mettiamo le donne al potere, hanno detto! Ed ecco cosa ci troviamo!”, “Le femministe dicono che le donne sono migliori di noi, guardate Giorgia Meloni e rimpiangete Berlusconi!” sono ormai ubique e purtroppo le leggo anche su account su cui non vorrei davvero leggerle. È per questo che ho scritto questo post.

Il potere del maschio ha fallito: si è dimostrato essere fonte infinita di carneficine. Ora tocca a noi donne. Sorelle, abbiamo molto lavoro da fare.

Alla politica dei maschi manca il futuro

Foto di Carla Duharte su Flickr, fonte Pinterest

Sempre più spesso mi rendo conto, parlando con i maschi, indipendentemente dal loro livello culturale, di istruzione, dalla loro intelligenza, dalla fascia sociale alla quale appartengono, che non hanno un’idea del futuro diversa dal presente (lo premetto perché è un modo carino per dire: “È inutile che scuoti la testa, capita anche a te”).

Cioè non riescono ad astrarre, come i bambini.

Avete presente quando si propone ai bambini di togliere le rotelle alla bicicletta? Ricordate cosa avete pensato quando è successo a voi? Semplicemente era fuori questione: togliere le rotelle non si può fare, punto.

Quando non comprendono un passaggio, i bambini pongono spesso un blocco, un secco “no” ai discorsi degli adulti ad un certo punto dell’esposizione di un procedimento di una serie di azioni (ad esempio, togliere le rotelle della bici). Arriva quel momento X del diagramma di flusso delle azioni da compiere, nel quale la mente del bambino va in stallo, non riesce a visualizzare le azioni successive perché un anello della catena ha ceduto. È successo a tutti, sia quando eravamo piccoli, sia da adulti parlando con figli, nipoti, amici, ecc.

I bambini sono “nuovi”, hanno poca esperienza e la prima volta che fanno qualcosa è come scalare una montagna. Non hanno ancora incamerato nella loro memoria quel dato, e tutto quello che segue va all’aria, viene disperso in una laguna di “se”, “ma”, “no”. Così i maschi si disperdono in un avvitamento di proposte, valutazioni che si rincorrono a vincenda, fallacie logiche da incorniciare. Idee arenate come balene spiaggiate.

Non riescono, i maschi, a produrre una visualizzazione del futuro diversa dal presente se non per alcune variazioni afferenti alla tecnologia. Cioè riproducono la visione del presente in un set cinematografico sci-fi.

Ça va sans dire, ci sono moltissimi maschi che hanno prodotto visioni politiche futuribili, ma hanno dovuto studiare un bel po’. Non gli viene spontaneo come a noi donne, che viviamo in una situazione di consapevole diseguaglianza, quindi produciamo in continuazioni idee su come appareggiare i piatti della bilancia. E questo vale per ogni persona con minori diritti de facto, quindi per razze odiate, religioni odiate, etnie, geografie, orientamenti sessuali odiati.

A margine, se vi state chiedendo chi è che odia, anche quello ça va sans dire, è l’occidente, il *supremazzismo bianco. Siamo noi gli integralisti, diamocene pace. Non sopportiamo nulla che sia islamico, nero, “sud del mondo”, omosessuale, o comunque diverso da un uomo bianco anglosassone etero, ricco e cristiano.

Il maschio non ha nessun bisogno di produrre alcuna riflessione sulla politica del futuro, gli va tutto così bene, e tutto si muove secondo ciò che lui ha prescritto negli ultimi secoli, che non c’è bisogno di cambiare niente. Aggiungiamo un po’ di tecnologia e basta così, va bene, vai, tranqui bro! Lo sforzo di una astrazione sostanzaiale è troppo per la maggior parte dei maschi. Nei casi un po’ più pesanti è l’intero modo di processare le idee a essere interessato, è come prendere un cervello e lasciarne inoperativo una metà. Cosa ne esce fuori se non una mezza mente, una testa parziale, come quelle di cui parlava il commissario Montalbano? Un maschio geometra, musicista, avvocato, pubblicitario, fotomodello, ecc. Bravissimo nel suo lavoro, nella sua parte di mondo, ma totalmente all’oscuro di altri mondi, di altre verità, di altre possibilità. È il Ken descritto dal film Barbie, chiuso nel suo ruolo, incapace di altro.

È questa oscurità, questo bias, questo cervello maschile monco che ha comandato per secoli, che ha prodotto guerre, genocidi, morte per l’ambiente, per gli animali, per le persone.

Noi siamo guidati, uomini e donne, da persone in grado di astrarre quanto un bambino di cinque anni. Bambini per i quali le ruote della bici non si possono togliere, e che utilizzano le bici come tricicli. Maschi che ci hanno rallentatə nel progresso, nello sviluppo, che vanno avanti arrancando e falciano chiunque riesca ad andare più veloce, e che odiano tutto ciò che non si muove al loro passo.

Per una nuova umanità occorre restituire la parte di cervello mancante a questi maschi che sono al potere. Occorre rovesciare ogni narrazione di ogni vincitore. Capovolgere punti di vista, riscrivere, rileggere, ri-osservare. Costruire una nuova cultura storica, una nuova cultura del ludico, dell’azione politica.

È un lavoro lunghissimo, che se anche iniziasse oggi, richiederebbe secoli. Noi non vedremo nulla di tutto ciò, ma questo non ci impedisce di iniziare a parlarne, di astrarre.

L’infanzia è finita.

*supremazzismo: il razzismo dei suprematisti bianchi

Il corpo ideale nel mondo della propaganda americana

L’estenuante lotta per la dignità fisica in un mondo che obbliga a rispecchiarci nei modelli di bellezza proposti dal cinema

Illustrazione interna del mio breve romanzo “La piccola estate”.

Anche a voler essere ciechi, andando a mare ci si accorge di quanto grande sia la differenza tra corpo e corpo. L’occhio è obbligato a soffermarsi su forme, dimensioni, colori. Quale più bianco, quale più marroncino, quale più lungo, più corto, quale più grasso o magro. Come i fiori in una aiola, non c’è corpo uguale all’altro.

In spiaggia l’occhio palleggia tra i gruppetti, le famiglie, i colori dei costumi. Se c’è poca gente, a volte sento l’angoscia delle ragazze italiane che inseguono l’ideale di corpo nordico, alto, solido, statuario. La sento questa angoscia come una nube bassa e densa che avvolge tutto. Penso alle innumerevoli ragazze dalle forme naturalmente abbondanti, che si sono rovinate il metabolismo per sempre. Per sempre. Per sempre.

Le figlie delle donne ucraine e polacche, che trent’anni fa sono venute a fare le badanti e le pulizie, rispecchiano perfettamente l’ideale nordico. Si atteggiano con malcelata superiorità. L’ideale di bellezza femminile si è sviluppato attorno al loro fisico, non al nostro: è ovvio che si sentano “superiori”. L’idea della Herrenrasse è molto radicata e molto più intensa di quanto non possiamo neanche immaginare.

Io forse non faccio testo: per me se mi comparisse davanti una ragazza zebrata di giallo e blu, con le antenne e gli occhi da mosca, al massimo le chiederei se le piace il clima della Terra.

Nei decenni ho però imparato che il razzismo non è solo in chi guarda, ma anche in chi viene guardato. Gli ideali di corpo bello, di corpo femminile, di bellezza della donna, sono tutti derivati dal razzismo. Sono frutto di una visione profondamente razzista del mondo. Il razzismo è così profondo che qussi non è più neanche visibile: affonda nelle tenebre, ma esiste.

Le donne della mia generazione sono diventate bulimiche e si sono rovinate la vita perche gli americani sono razzisti. E anche le millennial e le zoomer non sono libere dal razzismo interiorizzato, che si trasforma nel biasimo per il corpo delle sorelle. Cazzo, è disgustoso! leggi come funziona: gli americani sono razzisti -> gli americani ci hanno colonizzati culturalmente con il cinema -> abbiamo imparato e interiorizzato i modelli di bellezza americana -> odiamo noi stesse per non essere geneticamente adeguate -> odiamo quelle che lo sono -> odiamo quelle che non lo sono. Odiamo, disprezziamo.

No, sorelle, non va. Ma voi avete mai provato a coprire un tavolo tondo con una tovaglia rettangolare? La cosa “da ridere” (e da piangere) e che a volte, a prezzo di sacrifici immensi, queste tovaglie vengono tirate e aggiustate in modo da rispettare quella forma estranea. Ah, noi donne siamo meravigliose, anche nei disastri!

Sorella, se sei a dieta perché vuoi assomigliare a Margot Robbie, ricordati che la tua dieta è frutto di un pensiero razzista di un popolo che non è neanche il tuo. Vedi un po’ tu.

Ho visto una donna…

Ho visto una donna vivere dentro la patente di un uomo. Un biglietto da visita, non sgualcito, ma non perfettamente conservato. Qualche piegolina, leggeri annerimenti dovuti al contatto con i polpastrelli. Un biglietto vecchio stile, di quelli che andavano di moda anni fa, di carta bianca del tipo “millerighe”, che oggi fa tanto demodé, tanto kitsch. Nome, cognome, cellulare e mail di una importante ditta nazionale, chiusi tra la patente e la carta di credito come tra due mani giunte in preghiera e corpo curvo sull’inginocchiatoio. Lei era lì, viveva lì, lei e il suo filo, tra le due cose più importanti per quell’uomo. Il biglietto un po’ sciupato, lo stile fuori moda, inaccettabile per i dipendenti di quel tipo di azienda, suggerivano una conoscenza datata e pochi contatti successivi. Avrà avuto le sue ragioni per tagliare il suo filo.

Ho visto una donna sul cui volto sembrano aleggiare i dolori del mondo. Una donna non bella, non elegante, non simpatica, non amabile. Una donna triste e dolente come la sua vita, seppure ella stessa forse non lo accetti. Una donna che rifiuta la sua condizione, ma non abbastanza intelligente, colta e forte da poterla cambiare. Una donna senza sorriso, dal viso scuro di amarezza impotente, sempre eguale in una espressione di angoscia ingoiata per anni, occhi duri, labbra rivolte verso il basso, sopracciglia aggrottate, arroganti di frustrazione. Una donna qualunque, una donna per cui vale il detto di Voltaire: “Nulla vale una vita e una vita non vale nulla”. Una donna la cui vita vale solo per i figli che ha messo al mondo, a cui ha contagiato ignoranza e arroganza, trista incapacità.

Ho visto una donna che mi somigliava. Ho visto come potevo apparire agli occhi degli altri, quando ero “quella grassa”. Una donna giovane, da tutti considerata bella. Una donna famosa, una vip, dal volto trasformato, ingrossato, tondo come la luna. Ancora bella, carina, ma fuori da sé stessa, in un corpo che non sentiva più suo. Pochi secondi sono bastati a percepire ciò che molte donne sentono per anni: vivere dentro un involucro “sbagliato”, che proprio non vuoi, che odi e disprezzi. Lei non era nessuno per me prima, né lo è ora: è stato solo un istante di specchio, di agnizione, in cui ho solo visto una me com’ero, con gli occhi degli altri, dei “normali”. Un istante che -per tutti gli altri- è durato vent’anni.

Quanto le piace (la Coca-Cola)!

La donna beve? Bevi la donna!

“Stella Polare”, 10 e 11 dicembre a Bergamo

Ricevo e pubblico un comunicato su Claudio Sottocornola, un amico e una persona di grande spessore culturale e umano. Un acuto indagatore, dotato di sguardo critico e capacità di discernimento, senza mai essere appesantito da pedanteria o faziosità.

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