Elogio delle erbacce di Richard Mabey

Elogio delle erbacce - Ponte alle Grazie
Questo di Richard Mabey si inserisce nel vasto filone dei libri che descrivono il mondo delle erbacce, dei cosiddetti “reietti vegetali”. Il titolo italiano può risultare ingannevole poichè l’originale è Weeds.How vagabond plants gatecrashed civilization and changed the way to think about nature cioè, pressappoco “Erbacce. Come le erbe vagabonde hanno sfondato la civiltà e cambiato il nostro modo di pensare la natura”.

Nel titolo italiano ritroviamo la parola ormai usuratissima “elogio”, forse per richiamare il più noto Elogio delle vagabonde di Clément. Nel titolo originale troviamo invece la parola “vagabonde”, anche questa mutuata da Clément. Sembra che non si possa parlare delle erbacce senza parlare di Clément. Forse Clément detiene qualche potere invisibile sulle erbacce, probabilmente è il loro re e patriarca, le domina col pensiero e noi non lo sappiamo. Boh.

Peggio ancora -tocca dirlo- il catenaccio di Pia Pera in copertina: “Uno sguardo nuovo sulle erbacce, indomiti guerriglieri vegetali dall’irreprimibile vitalità, da cui dipende la salvezza del pianeta”, da cui traspare un’ignoranza crassa e supina per quello che riguarda il mondo scientifico e della terra in generale, abbinato al termine “guerriglieri” che ricorda i “Guerrilla Gardens” che tanto tirano il mercato del libro “verde” in questi anni.

Motivi sufficienti, uniti ad una copertina insulsa, se paragonata alle bellissime illustrazioni interne di Clare Roberts, per farlo scartare alla prima annusata, o almeno per far scattare il legittimo sospetto.

Be’, ve lo dico subito: questi sono (quasi) tutti i suoi difetti, il libro è buono. Non è bellissimo ma è molto buono. Non ci sono poetismi alla Clèment, ma ragionamenti ecologici e naturalistici, formulati da una persona che conosce l’argomento e che laddove non sa si è premurata di informarsi.
Ci vengono raccontate, in maniera piuttosto anomala, disarticolata ma gradevole, le storie di molte erbacce, che si incrociano con altre storie di altre erbacce e di esseri umani, nel presente e nel passato, di guerre, di omologazione sociale, di manie giardiniere, nobili o popolari.
Mabey scrive ovviamente in difesa delle erbacce, ma a differenza di Clément non lo fa nè per motivi estetici nè ideologici, ma per motivi puramente ecologici. Le erbacce sono sempre esistite (da che esiste la vita vegetale sulla Terra), ed esisteranno anche dopo che l’Uomo, come razza, sarà sparito. In realtà, scrive Mabey, diserbando, noi coltiviamo le erbacce, poichè esse nascono ovunque ci sia un terreno nudo, sono come un “cerotto” che compare dove la Terra ha un taglio. Alle erbacce, in conclusione, non importa poi più di tanto dell’Uomo. E’ solo uno dei tanti problemi e degli accidenti con cui ha avuto a che fare durante i milioni d’anni da cui popola la Terra.
L’ultimo difetto del libro, che a me è piaciuto moltissimo e di cui parlo per dovere di cronaca, è l’uso deplorevole dei nomi comuni invece di quelli botanici. Erbe notissime, come il “Trifoglio del Calvario” non sono che erbacce diffusissime, come la Medicago.
Errore imputabile alla traduzione?
In complesso il libro offre un punto di vista diverso dai soliti paesaggisti che pontificano sul cardo asinino, o sui Guerriglieri verdi di ritorno. Un punto di vista scientifico e storico, e il libro si configura come una vera miniera di informazioni e un classico per il futuro (sull’argomento).

Mentre siamo noi a pensare di controllare le erbacce, esse si riproducono finchè noi non spariremo.

Che venga presto questo giorno (n.d.r.)