Il vessillo dei Borromeo sull’Isola Bella è già tornato al suo posto. Artigiani si erano subito messi al lavoro per rimettere in sesto il pennone, dopo che il fortunale di sabato lo aveva stritolato.
E’ solo un simbolo della volontà di rinascita dell’Isola Bella, il gioiello dei Domini Borromeo sul Lago Maggiore, dopo i danni del maltempo. Proprio la volontà di non darsi per vinti ha fatto si che già da stamattina l’accesso di turisti e appassionati all’Isola, al Palazzo e ai giardini sia ripreso del tutto normalmente. Certo i segni del tornado ci sono e sono evidenti. “E’ come in certi quadri romantici dell’Ottocento”, ha commentato stamattina uno dei primi visitatori, incantato dalla bellezza dell’Isola piegata ma non distrutta dalle avversità.
Già nella notte di sabato, la squadra di giardinieri, di boscaioli e di tree-climbing dei Principi Borromeo si è messa all’opera per salvare tutto il salvabile, per mettere in sicurezza piante in bilico, per rafforzare siepi e cespugli, per non perdere piante che hanno anche un valore storico oltre che botanico e paesaggistico. Come la Magnolia virginiana, una delle prime arrivate in Italia a metà ‘800 (le primissime magnolie arrivarono in Italia alla Reggia di Caserta n.d.c.).
Ritornano alla memoria le scene, al tempo diffuse in mondovisione, del fortunale che nel giugno 2006 semidistrusse l’Isola Madre, l’altro “Paradiso Borromeo”, creando, allora, una vittima davvero illustre: il celeberrimo Cipresso del Cashmere, l’esemplare più antico introdotto in Europa.
Il Grande Vecchio dell’Isola Madre venne abbattuto ma i giardinieri dei Borromeo lo hanno rialzato, con l’aiuto di elicotteri, curato e ora, dopo 6 anni, anche lui è fuori pericolo.
La possibilità di ricorrere, praticamente in tempo reale, a squadre di giardinieri specializzati è fondamentale per limitare i danni a patrimoni verdi come quelli, storici, delle due Isole Borromeo.
I danni al grande Palazzo dei Principi, pur consistenti, non impediscono la regolare visita ai sontuosi interni, Quadreria compresa.
L’unica area che resterà preclusa ai turisti è il quadrante più alto dei giardini rinascimentali, uno spazio ristretto su cui la furia del vento si è abbattuta con violenza estrema provocando danni alle decorazioni marmoree, abbattendo due antichi obelischi e danneggiando una statua.
Naturalmente è volontà dei Principi intervenire subito anche per il restauro di queste opere e strutture ma, per esse, i tempi saranno necessariamente più lunghi.
Vi ricordate che vi segnalai il blog di Tom Barbey e Olivier Cazin, Vulgare.net che sta anche nel mio blogroll?
E’ uno dei blog che controllo quotidianamente per l’originalità e innovatività dei due autori.
Qualche giorno fa è stato pubblicato questo articolo titolato Italian garden at David S. Lynch Memorial Park. Ne sono rimasta a dir poco sorpresa. Tanto poco è conosciuta in USA l’arte dei giardini italiani da confondere questa volgare contraffazione con un giardino italiano? Siamo finiti tanto nel dimenticatoio che persino due artisti come Cazin e Barbey si imbrogliano su un concetto tanto semplice?
Come ho scritto nel mio messaggio di commento (pubblicatomi con difficoltà), c’è forse qualche sfumatura che non sono riuscita a cogliere? C’è sotto un umorismo che mi è sfuggito? Mi auguro di sì.
Quello illustrato non è certo un giardino all’italiana, ma uno stile decisamente moderno, almeno Ottocentesco, che proviene dal “Gardenesque” di Loudon e Pükler e dal “jardin fleuriste” francese, in cui le piante erano disposte in ampi parterre ribassati, con gli angoli esaltati alberetti, spesso rosai standard.
Man mano che i giardinieri si rendevano conto che le piante da fiore potevano stare fuori anche in inverno, vennero composti questi parterre fioriti in cui alcune piante erano anche esposte come oggetti di collezione.
Questo stile esiste ancora oggi, molti parchi sono improntati a questo tipo di composizione, anzi, potremmo dire che in genere è esattamente questo tipo di stile, colorato e sfavillante, che ci si aspetta da un giardino pubblico.
Benché non sia il mio stile preferito, ha comunque una sua identità e un suo valore storico, ancorché non sia più pensabile creare parchi pubblici di questo tipo.
Ma questo non ne fa certo un giardino all’italiana! Non basta certamente la copia “americanizzata” di un colonnato curvo, fantasiosa imitazione di quello di Villa Adriana, molto più vicino alla Monticello di Jefferson che all’architettura latina, a rendere “italiano” un giardino.
Questo colonnato sa un po’ di prosciutto di Parma comprato in Giappone, di vino inglese, di hot dog preso ad un chioschetto di Bologna.
Il giardino all’italiana è come il giardino zen giapponese, non è ricreabile altrove, dove mancherebbero le condizioni fisiologiche e sociali per la sua nascita e maturazione.
Perdonatemi, ma un giardino all’italiana nel Massachussets è un po’ come andare ad imparare il buon gusto a Las Vegas.