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Alberature stradali: il caso di Bologna
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L’articolo è stato scritto da Carlo Carcangiu grazie alla cui gentile concessione viene pubblicato
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Le alberature stradali rivestono un ruolo di grande rilevanza nel regolare il microclima urbano. Attraverso un processo chiamato “evapotraspirazione” le foglie fogliari rilasciano vapore acqueo nell’ambiente, abbassando la temperatura dell’aria anche di un grado (ad 1,5 metri dal suolo). Tale fenomeno si riscontra maggiormente per le latifoglie caducifoglie, aventi lamine fogliari più ampie e quindi più capaci di operare questo scambio di energia. Una strada alberata quindi risulterà più fresca e capace di mitigare la calura rispetto a un viale che ne è privo.
Il ruolo dell’albero non si limita solo a mitigare la temperatura, ma svolge anche funzioni di filtro. La lamina fogliare è anche in grado di trattenere gli agenti inquinanti, come le micidiali microparticelle solide prodotte dagli scarichi delle autovetture chiamate con sigle spesso incomprensibili (PM6 o PM10).
Gli alberi giocano un ruolo molto importante anche nell’attenuazione dell’inquinamento acustico, creando una sorta di membrana isolante naturale.
Oltre a questi vantaggi l’alberatura stradale, se progettata adeguatamente usando gli stessi principi di associazione di colori e tessitura del fogliame con cui si creano i giardini, può diventare uno strumento per migliorare concretamente l’estetica della città.
Diversa è la situazione delle città situate a nord del Po che beneficiano di precipitazioni estive temporalesche più abbondanti. Il clima bolognese degli ultimi anni è stato alquanto particolare poiché le precipitazioni totali sono complessivamente diminuite (500 mm/anno), quelle primaverili sono state scarse e gli inverni molto miti. Ciò ha recato stress fisiologici agli alberi, costretti ad affrontare un ambiente più ostile di quello originario. Si verificano infatti disseccamenti, bruciature fogliari e dei tronchi, carenze idriche e colpi di calore, tanto da considerare ormai una necessità cambiare i metodi di scelta delle specie da impiantare ex-novo.
Alcune essenze al contrario si sono rivelate particolarmente resistenti, come se le condizioni climatiche più dure le avessero selezionate.
In questo breve resoconto si vuole raccontare la condizione di una grande città del nord Italia, valutando la situazione attuale del verde e proponendo interventi di miglioramento.
Le alberature esistenti sono ben distribuite e tutto sommato la città presenta una buona copertura verde.
Per una semplificazione del testo, data la vastità dell’argomento, si è operata una divisione fra latifoglie e conifere. Ogni genere meriterebbe un’ illustrazione molto più approfondita, che per motivi di opportunità non è possibile qui fare, si rimanda pertanto il lettore interessato a testi scientifici e universitari.
Il genere Tilia è presente con diverse specie o ibridi: Tilia x europea (Tiglio europeo), Tilia platyphyllos (Tiglio nostrano), Tilia cordata (Tiglio selvatico).
Tutte queste essenze sono esigenti, richiedono clima fresco e possibilmente precipitazioni estive, requisiti che non si ritrovano in città e che causano problemi fisiologici legati a siccità ed eccessivo calore.
Esiste una specie, chiamata Tilia tomentosa, originaria dell’Europa orientale (dove si trova in boschi di roverella, cerro e farnetto) che è resistente all’aridità estiva; essa viene utilizzata come specie ornamentale nell’Europa centrale, in virtù anche della bella colorazione autunnale delle foglie.
Volendo installare nuovi impianti di tigli si dovrebbe perciò fare riferimento a questa specie (e aggiungerei anche Tilia x euchlora).
Oltretutto le due specie citate non sono affette dai problemi derivanti dagli afidi (es. “melata”) che aggrediscono invece altri tigli.
Mentre il primo è esigente di fertilità del suolo, il secondo è sicuramente indifferente alla natura litologica del terreno e sopporta meglio la siccità. Laddove vi siano strade o cortili in ombra quest’ultima risulterà adattissima nel creare una quinta verde rinfrescante.
In città manca Carpinus orientalis e questa potrebbe essere una specie interessante, in quanto indifferente all’aridità e al calore estivo, oltre che essere di dimensioni contenute.
Fra i frassini ritroviamo il Fraxinus excelsior (Frassino maggiore o comune), il Fraxinus angustifolia (Frassino meridionale o ossifillo), e qualche Fraxinus ornus (Orniello).
Per le nuove alberature si fa spesso riferimento alla prima specie, F. excelsior. Erroneamente.
Il frassino maggiore, nel suo habitat italiano, lo ritroviamo a quote montane o sub-montane in posizioni settentrionali e di forra, i cosiddetti aceri-frassineti (alleanza fitosociologica del Tilio-Acerion). Si capisce dunque perché essi subiscano danni nei viali alberati, soprattutto sotto forma di bruciature fogliari o stress idrici.
Il frassino meridionale è invece un campione di resistenza ed è ormai ben diffuso in parchi e alberature. La cultivar ‘Raywood’ presenta una gradevole colorazione autunnale bronzata.
L’orniello invece non ha meritato ancora la diffusione che dovrebbe avere e ciò a torto. La sua fioritura è profumata e vistosa; la colorazione autunnale del fogliame è degna di attenzione; ha dimensioni proporzionate a viali e strade ed è una specie termofila e xerofila di rapido accrescimento giovanile, quindi idonea all’ambiente urbano. Se ne auspica una sua più corposa diffusione.
Se i tecnici guardassero maggiormente alle piante di casa nostra potrebbero trovare degno di attenzione anche l’Acer monspessulanum o acero minore, estremamente resistente alle scarse precipitazioni, al caldo, lento nella crescita e con una strabiliante colorazione autunnale rossa.
Anche l’Acer tataricum subsp. ginnala resiste perfettamente e sarebbe pertanto buona scelta.
L’esotico ma ampiamente naturalizzato Acer negundo si trova ultimamente a fare i conti con la mancanza di temporali estivi e ciò gli provoca la perdita o disseccamento della maggior parte del fogliame, rendendolo particolarmente povero in questa stagione. Che sia l’occasione giusta per frenare la sua invadenza in pianura padana?
L’olmo campestre (Ulmus minor) si ritrova frequentemente nei viali alberati, spesso con esemplari ormai annosi. La specie è resistente a qualsiasi stress, le annate siccitose non gli provocano danni e nemmeno le potature più selvagge lo mettono a disagio. La grafiosi dell’olmo fortunatamente non è presente in città.
I platani, fra cui anche Platanus orientale, sono alberi da usare nei grandi parchi, in posizioni isolate o vicino all’acqua. Un effetto sorprendente si potrebbe ottenere in pianura padana vicino ai fossati creando filari con questo genere, distanziando gli individui singoli fino a quaranta metri, senza operare potature.
Tuttavia alcune specie si dimostrano particolarmente affidabili; la farnia (Quercus robur) è un albero maestoso, principale componente della vegetazione potenziale della pianura padana (Querco-carpineti planiziari). Non è adatto alle alberature stradali a causa della sua chioma molto ampia, a meno che non si usi la cultivar ‘Fastigiata’, ben più ridotta nelle dimensioni. Per apprezzare ai massimi livelli questo albero è bene piantarlo isolato nei parchi o grandi spazi. Ultimamente soffre dell’abbassamento del livello della falda freatica, tanto che spesso le sue foglie ingialliscono leggermente in estate. Sovente è anche infestata da limacce e galle.
Più adatti per la città sono gli autoctoni Quercus cerris (cerro), Quercus petraea (rovere vera), Quercus pubescens (roverella), Quercus frainetto (farnetto), oltre che l’ormai affidabile leccio (Quercus ilex).
In particolare il cerro e la rovere, con la loro chioma dritta e slanciata, si adatterebbero in maniera ottimale alle strade più ampie.
La rovere inoltre, contrariamente a quanto si può pensare, si adatta bene all’argilla padana, nonostante il suo optimum edafico sia su suoli silicatici ben drenati a reazione sub-acida. Resiste inoltre molto bene alle estati secche.
Degna di menzione è Quercus x tourneri, ibrido fra farnia e leccio, che grazie al suo portamento conico-piramidale è una opzione ottimale.
Altra categoria da menzionare è quella dei pioppi. Essi vanno a costituire la tipica vegetazione azonale che si ritrova dove vi sia la componente acqua. Sono quindi piante idro-esigenti e se ne consiglia l’utilizzo vicino ai corsi idrici o in stazioni particolarmente umide.
Alcune specie hanno dimostrato un perfetto adattamento e vengono adoperate sempre più spesso per i nuovi impianti: Sophora japonica, sorprendente per la sua indifferenza alla siccità, dalla quale sembra quasi che tragga vantaggio; Koelreuteria panicolata, un albero completo per tutto quello che sa offrire; Albizia julibrissin, piacevole per le sue contenute dimensioni; Eleagnus angustifolia, per il suo bel fogliame argentato; Cercis siliquastrum, per la sua fioritura sorprendente; Prunus pissardii ‘Nigra’ per la sua tenacia; Gleditschia triacanthos, con le sue cultivar ‘Inermis’ e ‘Sunburst’; Brussonetia papyrifera, per gli insoliti amenti grigio polvere.
Merita un appunto anche la comune mimosa, Acacia dealbata, che negli ultimi tempi supera agevolmente gli inverni bolognesi e fiorisce profusamente.
Infine la Robinia (Robinia pseudoacacia) e l’Ailanto (Ailanthus altissima), alberi che spesso vengono associati al degrado o, come direbbe Gilles Clemént, al “terzo paesaggio”. Ebbene queste due essenze devono essere viste con ottica differente e cioè come alberi da sfruttare per la loro capacità di resistere ad ambienti particolarmente inquinati. Mentre per la robinia si è già lavorato per ottenerne cultivar importanti, per l’ailanto c’è ancora molta strada da fare. Ad esempio sarebbe interessante una cultivar che produca frutti sterili o particolarmente colorati.
– CONIFERE
Un vero fallimento è rappresentato dall’utilizzo del pino laricio (Pinus nigra subsp. laricio), che vegeta perennemente in stato comatoso, con la chioma disintegrata dalla processionaria. I tecnici continuano a tenerli in piedi soltanto perché fanno numero nell’inventario degli alberi.
La conifera che ha avuto più successo è il tasso (Taxus baccata). Di dimensioni contenute è un albero delizioso in tutte le sue parti. Può fungere da sfondo per arbusti fioriti o con fogliame colorato, può essere potato in forme topiarie, è lento nella crescita e quindi adatto a piccoli spazi.
Una specie curiosa per la sua presenza in qualche esemplare è il pino silvestre (Pinus sylvestris). In viali alberati sulle colline, spesso battute dai venti secchi provenienti dall’Appennino, sarebbe perfetto. Bello nella forma, per la corteccia color cannella, rustico e frugale, non patisce assolutamente nei terreni poveri e regge tranquillamente la siccità estiva bolognese.
Esiste però un regolamento del verde ridicolo che impedisce l’abbattimento degli alberi se non per motivi particolari: se recano danno a proprietà o alla viabilità e se risultano vicini alla morte. Non è contemplato l’abbattimento a scopo di diradamento per lasciare una distanza adeguata tra un individuo e l’altro, cosicché spesso incontriamo essenze di statura notevole a una distanza di 5 o 6 metri.
I nuovi impianti non tengono conto di questa lunghezza e si continuano a piantare tigli o platani a 6 o massimo 10 metri l’uno dall’altro.
Tenendo conto che in città non è concepibile ottenere la distanza massima che le specie avrebbero a sviluppo completo sarebbe comunque auspicabile un compromesso fra queste due misure, oppure l’impianto di specie aventi dimensioni minori.
Questa considerazione ovviamente non è valida per le fasce boscate ai margini di certi parchi, dove invece una fittezza maggiore è richiesta come filtro contro l’inquinamento atmosferico e acustico.
Ecco le tre parole chiave che bisogna tenere a mente per la manutenzione degli alberi:
• Aspetto, cercando di conservare il più possibile una chioma armonica e ben equilibrata, piacevole alla vista.
• Salute, cercando di mantenere più alti possibili gli standard di sterilità degli strumenti utilizzati dai manutentori. Un albero sano, perdonate il luogo comune, è anche più bello.
• Sicurezza, cercando di non sbilanciare la chioma verso una parte o l’altra, cosicché l’albero sarà più resistente agli agenti meteorici (vento, temporali e neve).
A Sylvia Crowe prenderebbe un colpo se vedesse come vengono trattati i nostri alberi e si chiederebbe come fanno a stare ancora in piedi. Forse la selezione naturale e lo stress hanno isolato individui forti e tenaci.
E allora dovremmo cercare di convincere i nostri tecnici che, se le specie sono opportunamente distanziate, le potature drastiche non servono e che sono necessari solo interventi saltuari di ripulitura lieve della chioma. Ciò rappresenterebbe anche un bel risparmio di denaro da dedicare ad altre opere cittadine.
Ogni albero ha il proprio tubo di irrigazione che viene attivato a seconda dell’andamento climatico (certe volte si inizia già a maggio), cercando di irrigare per i primi due o tre anni e poi lasciando che l’albero se la cavi da solo. Diradando i cicli di irrigazione già a partire dal secondo anno si può infatti abituare l’albero ad approfondire il proprio apparato radicale, facendo in modo che dal terzo anno sia autosufficiente. In annate particolarmente siccitose si potranno effettuare interventi di soccorso facendo affidamento ai tubi già presenti.
Ultimamente per prevenire l’insorgenza di infestanti e mantenere il terreno fresco attorno al pane di terra si stanno adottando diversi espedienti.
La ghiaia risulta inefficace perché spesso lo strato applicato è talmente esiguo che le erbe spontanee si insediano comunque.
La corteccia di pino, è efficiente in particolar modo quando è di pezzatura fine, ma ha un costo eccessivo per le tasche del comune.
Ecco che allora recentemente si stanno diffondendo delle valide stuoie di iuta, o materiale simile, di forma e dimensioni adattate alla buca quadrata per gli alberi. Di aspetto simile ad uno zerbino, si stanno dimostrando efficaci: alzando la stuoia si può notare che il terreno rimane fresco, le infestanti non crescono e l’effetto è abbastanza gradevole. In più sono economiche e la durata è garantita almeno per i primi due anni.
Altro punto importante dopo l’irrigazione è quello delle distanze d’impianto. Visto che le spazi fra le buche di nuova fattura non cambiano (dai 6 ai 10 metri), la scelta dell’essenza è di fondamentale importanza. Oltre a quelle già citate nei paragrafi precedenti se ne possono nominare altre che stanno prendendo sempre più piede.
Ad esempio il Prunus serrulata ‘Kanzan’ si sta diffondendo molto ed è apprezzabile durante tutto l’arco dell’anno, oltre ad essersi dimostrato tollerante allo smog. Se proprio vogliamo attribuirgli un difetto questo è riferito al punto di innesto che risulta particolarmente visibile quando l’albero comincia ad avere diversi anni.
Si sta facendo un largo uso anche di Prunus ‘Amanogawa’ e di Pyrus calleryana ‘Chanticleer’: infatti ben si adattano alle strade più piccole per le loro misure contenute, inoltre sono molto spettacolari quando sono fioriti.
A volte dalle inconsapevolezze si può trarre spunto; a Bologna, per esempio, alcune strade sono state ornate con alberature di Melia azedarach, una specie non proprio indicata per i climi freddi del nord Italia. Probabilmente, complice l’isola di calore urbana, nella città hanno trovato la loro nicchia climatica ideale. Esse prosperano egregiamente, tollerando i normali interventi manutentivi del comune.
A volte ci si può anche sbilanciare e correre un rischio: nell’orto botanico sono presenti alcuni esemplari imponenti della semi-rustica Firmiana simplex, appartenente alla famiglia delle Sterculiaceae. Vista la bellezza di questi alberi perché non utilizzarli anche fuori dalle mura dell’orto per alberature e parchi?
Ci si può affidare anche a cultivar sterili per superare il problema dei frutti che imbrattano le auto: per esempio con Morus alba ‘Fruitless’ o ‘Stribbling’ rinunciamo ai frutti del gelso bianco, senza perdere le qualità di resistenza che ci interessano per un suo uso urbano.
Oppure possiamo fare ricorso al sesso di una pianta dioica (ossia che ha frutti maschili e femminili su individui separati) per bypassare certi inconvenienti: utilizzando Populus nigra var. italica di sesso maschile, orneremo una strada con una alberatura insolita e in più il problema dei piumini allergeni dei pioppi sarà ridotto.
Laddove lo spazio è davvero angusto da non poter inserire specie arboree si può far ricorso a piantagioni “non convenzionali”, inserendo nelle apposite buche alti arbusti scelti per la forma e dimensioni adeguate. La stessa Photinia x fraseri ‘Red Robin’ potrebbe essere usata a tale scopo invece di costringerla sempre negli spazi stretti di una siepe. Oltre a questa anche molti viburni (es. Viburnum lantana), le lonicere arbustive (Lonicera tartarica, Lonicera fragrantissima), i lillà (Syringa spp.), i Philadelphus, i cotoneaster (es. Cotoneaster roseus), gli evonimi decidui, i Berberis e innumerevoli altre possibilità.
Riguardo a Bologna si può dire che, per quanto concerne le alberature, la situazione è buona solo in parte.
Se da un lato la maggiore variabilità nella scelta delle essenze è palese, dall’altro vi sono ancora gravi problemi dovuti a una gestione non proprio ottimale del complesso verde e alle distanze delle nuove piantagioni.
Se i tecnici dell’ufficio competente riuscissero a comprendere che ciascun individuo vegetale va trattato come tale (e non come un oggetto da correggere e modificare costantemente con interventi superflui), la qualità del verde urbano aumenterebbe in maniera significativa. Basterebbe recarsi in campagna, o nei boschi, per capire cosa vuol dire evoluzione della forma di un individuo vegetale e di conseguenza il potenziale valore compositivo dell’albero nell’architettura urbana.
Il percorso da fare è ancora lungo. Si dovrebbe puntare alla migliore preparazione e formazione da parte delle università (scuole o corsi) per la risoluzione di tale problema.
Anche il cittadino comune, senza essere eccessivamente pedante o scrupoloso, deve intendere il significato di questo passaggio e pretendere una buona qualità del verde che lo circonda.
