Perché la bordura mista non è una tappa obbligata

mixed border_flickr_ riutilizzo non commercialeTanto per sottolineare l’ovvio a chi non ha orecchie per intendere, le riflessioni che sto mettendo in campo in questo periodo sono frutto di pensieri rimasti quiescenti a lungo. Quiescenti, ma sempre presenti, come un rumore di fondo, il ronzio di di una batteria, il tic tac di un orologio.

Non sia una sorpresa se riprendo un vecchio articolo del 2011, incentrato sulla bordura mista. Se vi va di capire perché la considero la mia nemesi, leggetelo.
Ma adesso mi voglio soffermare su un concetto espresso più volte nell’ambito di appassionati e anche di critica, cioè che la bordura mista sia una tappa obbligata del giardinaggio (Guido Giubbini, Rosanova n°24, aprile 2001).
L’affermazione è palesemente scorretta, e dovrebbe forse muovere un sussulto di diasappunto che provenga da un critico del giardino. In realtà non mi stupisce più di tanto.
Avendo un approccio storicista non posso che considerare l’affermazione di Giubbini frutto di una ideologia volta al mantenimento dello status quo giardinicolo.

Perché la bordura mista sarebbe una tappa obbligata del giardinaggio? Per la difficoltà di manutenzione e la complessità di pianificazione (non maggiore di altri stili, a pensarci). Tutto questo direbbe che un giardiniere è tanto più “bravo” quanto è maggiore la sua capacità di curare le piante, risolvendo il giardino (in quanto struttura estetica) nella pratica di mantenimento orticolo, cioè nel giardinaggio.
Un errore clamoroso, insomma, che viene non solo da una visione ideologica monca e parziale, ma anche dalla immaturità della discussione sul giardino in Italia, tale che -detto ciò- nessuno se n’è accorto. Nessun critico d’arte confonderebbe l’opera con la tecnica pittorica, ma nel giardino questo accade di continuo.

In verità mi chiedo cosa ne penserebbero Leon Battista Alberti, di questa cosa, o André Le Nôtre, o Capability Brown. “Ommioddio! -direbbero- E adesso che facciamo? Le scuole serali, paghiamo la multa, ci arrestano?”.

In tempi in cui la brodura mista era ancora nella mente di Satana, la pianificazione dello spazio-giardino non era meno complessa e direi che non sortisse effetti sgradevoli. La capacità di cura delle singole piante era invece perfino più elevata, perché se perdevi una camelia oggi, non andavi domani a comprarne un’altra al garden dietro casa, ma dovevi mandare qualche esploratore a Cipango o in Cocincina. Le piante erano pregiate, anche quelle che appaiono banali e comuni, considerate individui più botanici che non materia compositiva, ma le conoscenze dei giardinieri erano impressionanti. Basti pensare a Philip Miller, che pur ostinando un rifiuto alla nomenclatura binomiale, era considerato autorità assoluta in materia di giardinaggio, e i suoi dizionari delle bibbie per gli appassionati.

La bordura nasce dal campo da tennis e dai cataloghi di vendita per posta e non è l’acme del giardinaggio, è un episodio della storia del giardino, come le siepi di bosso e di tasso, le “stanze”, i labirinti, i parterre, le catenarie d’acqua.
Ma se siamo pronti a dar ragione a Quest-Ritson nel suo rimprovero a Capability Brown che avrebbe cancellato i giardini Tudor (???), siamo restii a non vedere quanto la bordura mista sia ormai una copia fotostatica sbiadita, e quanto sia indulgente verso il narcisismo giardinicolo.

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Delirium tremens

Trattato dell'alienazione mentale_ Pinel

storia dei giardini suona malissimo ed è errato, perché la storia è qualcosa di antropico, non esiste in senso stretto una “storia” di qualcosa di inanimato, sia esso un vulcano o un palazzo, ma, nel secondo caso esiste la storia di quelli che l’hanno creato, abitato, ecc. Per questo non mi sognerei mai di intitolatre una voce come “storia dei palazzi” nè tantomeno “storia dei giardini”. Piuttusto parlerei di paesaggismo o di giardini storici, con una corposa sezione storica, o tutt’al più di evoluzione degli stili . –Sailko 01:16, 14 mag 2013 (CEST)

Questa discussione andrebbe cambusata, non ha senso che si svolga qui, tra l’altro con rimandi da 3 altri progetti. qualcuno un po’ più pratico la sposti in Discussione:Storia_del_giardinaggio, grazie. Qui il tema si fa un po’ sottile, cercherò di spiegarmi più chiaramente possibile. Storia del giardino o dei giardini suonano male per chi è abituato a intendere la storia nel senso che gli ha dato Marc Bloch. Suona male come suonerebbe “storia delle chiese” o “storia dei palazzi”.. il palazzo, per restare in un esempio facile, è il prodotto di un’attività umana che, una volta portata a termine non subisce un’evoluzione indipendente: posso scrivere una storia di “quel palazzo”, di come ad esempio sia stato aggiornato in forme da barocche a neoclassiche, ma non posso generalizzare per tutti i palazzi, perché suonerebbe come se ogni edificio gradualmente si trasformasse, in maniera naturale e indipendente, da barocco a neoclassico. “Storia del telefono” o “storia dell’automobile” sono più accettabili perché questi oggetti si sono evoluti per lo più in blocco in seguito a determinate innovazioni tecniche, ma i palazzi non si sono evoluti tutti il blocco da barocchi a neoclassici, tanto per restare nell’esempio. Non so se fin qui è chiaro. La storia che scrivo dei palazzi è invece legata all’evoluzione dell’attività umana che li crea, cioè la progettazione architettonica e le tecniche costruttive. Posso quindi scrivere una “storia dell’architettura (o della progettazione) dei palazzi”, ma non la “storia dei palazzi” in quanto tale. Considerazioni analoghe valgono anche per i giardini. Il giardinaggio è un’attività umana, per questo storia del giardinaggio suonava bene, ma “storia dei giardini” è errato, perché i giardini sono solo il prodotto di quell’attività, e non si evolvono a prescindere (al massimo diventano sterpaglia, questa è effettivamente la “storia del giardino”). Ci siamo?
Adesso c’è da capire come chiamare l’attività che è all’origine della creazione dei giardini. Nonostante google dia un’ampia gamma di risultati, dico subito che “architettura dei giardini” è sbagliato, perché l’architettura crea edifici, non spazi aperti (definizione di Bruno Zevi), sebbene anche la crezione di uno spazio aperto abbia a monte una progettazione per molti versi analoga a quella degli edifici. Possiamo allora fare una “storia della progettazione dei giardini”? Nì, perché se per i secoli recenti è sicuramente applicabile, a risalire indietro nel tempo (prima del medioevo) si trova una “progettazione” senz’altro più blanda, legata più al caso e all’estemporaneità, che non è neanche il caso di chiamare “progettazione”. E’ stato proposto di parlare di “arte dei giardini”: a me sembra una dizione un po’ enfatica, tipo quando si trovano in edicola i fascicoli sull'”Arte del ricamo” o sull'”Arte culinaria”… non metto in dubbio che il ricamo, la cucina o la creazione di giardini siano delle forme di arte, nel senso più ampio del termine, trovo tali modi di dire però un po’ ampollosi, e poco in linea con lo spirito dell’enciclopedia. Appurato quindi che il giardinaggio sta ai giardini come le tecniche costruttive agli edifici, quello che propongo per la ridenominazione della voce si riduce a un semplice “Storia della creazione di giardini” o, semmai, “evoluzione stilistica delle forme di giardino”. –Sailko 16:18, 16 mag 2013 (CEST)

Cara LidiaZara, mi sembra chiaro che ci rifacciamo a fonti diverse: io te ne cito alcune e tu ne citi altre, in disaccordo. Ti posso assicurare comunque che qui in Wikipedia la, nelle varie ramificazioni, non contiene mai piazze, spazi aperti e giardini: si tratta di urbanistica, non di architettura, sono discipoline affini, ma non intercambiabili. So benissimo che i nomi dei corsi universitari posaano generare confusione, ti posso fare una mezza dozzina di esempi di discipline che danno il titolo a un corso universitario, ma che negli studi teorici sono ritenute dizioni deprecate. Siccome stiamo parlando del titolo da dare a una voce di un’encilopedia e non a un corso di laurea è bene restare concentrati e non prendere decisioni affrettate. Tu ti lasci un po’ troppo influenzare per partito preso, ti ho già spiegato perché “storia dei giardini” è impreciso, e dovresti rispondere sulla base di quelle considerazioni, non solo perché l’hai sentito dire così tante volte che ora sei troppo pigra per metterlo in discussione. La “storia dei giardini” è: vengono progettati, vengono mantenuti con le tecniche di giardinaggio e, quando queste si interrompono, ritornano sterpaglia. Questa è la storia comune a tutti i giardini. L’evoluzione delle forme di giardino (che non mi sembra niente di arzigogolato) è invece quel processo che viene (malamente) descritto nella voce presente. Le tue divagazioni tra arte e artigianato sono una tua opinione personale che si basa su teorie alquanto superate… già che c’eri potevi citare anche Vasari, o a risalire fino a Vitruvio ed Erodoto, ma nel frattempo gli studi teorici hanno fatto anche dei progressi, per cui il confine tra arti minori a maggiori, tra arte e artigianato è qualcosa di ben più sottile e complesso, che adesso non mi pare certo il caso di tirare in ballo. Vai a spiegare a chi possiede le coperte ricamate per Michelangelo Pistoletto quanto il ricamo sia “artigianato” e non “arte”, tanto per fare un esempio. –Sailko 18:17, 16 mag 2013 (CEST)