Di norma i lettori cosiddetti “forti” (come dire un bevitore forte, un fumatore forte, insomma, uno che ha proprio il vizio compulsivo) leggono più libri contemporaneamente. Il che non so se è un bene o no.
In uno dei libri che in questo momento ho per le mani, Nero. Storia di un colore, di Michel Pastoureau (con cui ho avuto occasione di confrontarmi sull’uso sociale del colore in giardino), ti vengo a scoprire una cosetta interessante.
Per spiegare come , a partire dal XIII secolo, il nero perde la sua connotazione di lutto e paganesimo, ma inizia a diventare un colore elegante, cristiano e anche alla moda, Pastoureau porta ad esempio il Santo Maurizio, il Prete Gianni, il Magio Baldassarre, e la Regina di Saba.
Eccola qui, la Regina etiope in una miniatura del manoscritto del Bellifortis di Konrad Kyeser, inizio XV secolo.
Se vi stupisce il volto nero, non è perché l’ho scansionata male, è proprio nera come il carbone.
La regina di saba. Gottinga, Niedersachsische Staats- und Universitatsbibliothek. Cod. Ms. Philos. 63 fol. 122
A colpirmi, oltre al nero pesante del viso, i toni del giallo del verde e dell’azzurro mescolati per dare un cromatismo ad un abito verde, è stato il movimento sinuoso del corpo.
Probabilmente un ricordo stilistico delle miniature, in cui tutte le madonne, le sante, le regine e le eve varie, erano curve come un ramoscello di salice e sembravano incinte o con un grave attacco di flatulenza e borborigmi.
La Filosofia presenta le sette arti liberali a Boezio (dettaglio), miniatura di un manoscritto francese della Consolazione della Filosofia attribuito al Maestro Coëtivy , circa 1460–70
Ma per fare un gran balzo in avanti nei secoli, di questa “esse” della bellezza in effetti non ci siamo mai liberati, e ciò non riguarda solo la moda, analizzata qui in maniera preferenziale, ma tutte le arti, giardino compreso.
Nel 1752 William Hogarth pubblicò un testo intitolato L’analisi della bellezza, in cui proponeva una soluzione semplice quanto apparentemente banale, ad un problema che da millenni faceva discutere artisti e filosofi.
Secondo Hogarth, la bellezza è nella giusta curva. Una curva che non sia nè troppo arzigogolata, nè troppo rigida.
Proponeva ai suoi lettori di scegliere il corsetto più bello:
Hogarth confida che la maggior parte dei lettori sceglierà uno dei tre corsetti al centro della serie.
Secondo Hogarth, la bellezza è qualcosa che sta a “metà tra la noia e la fatica”.
La rappresentazione che Hogarth ne fece è questa:
In effetti la serpentina veniva dal lontano oriente, dalla Cina, per essere precisi, proprio nel periodo in cui Hogarth scrisse il suo trattato, in coincidenza con i viaggi in Cina di Sir William Chambers.
La serpentina, la curva, lo schema a quadri, tipici dei giardini cinesi, si sposano benissimo con l’ordine nuovo dell’Inghilterra, che tagliò la testa di un paio di re molto prima dei francesi, e fece la sua rivoluzione borghese cento anni prima. Dal 1660, re, regine, lord e squire, avevano gli stessi giardini, gli stessi hobby, gli stessi vestiti, e molte volte, lo stesso potete in parlamento.
Che affare! Sembra che non esista un carattere realmente europeo di giardino: viene tutto dall’Oriente, vicino o lontano che sia.
Una delle prime manifestazioni della diffusione che ebbe la serpentina furono i giardini francesi e i labirinti a curva.
Altri giardini furono “convertiti alla curva”. Ne nasce uno stile incerto, non particolarmente apprezzato nè per i risultati estetici, nè per le capacità seduttive; fu chiamato in molti modi, ma spesso “francese pre-rivoluzionario”.
Labirinto curvo di Choisy-Le-Roy
la “esse” è sempre stata un simbolo di bellezza femminile, di grazia, e le crinoline e i sellini usati ne accentuavano le curve.
Joshua Reynolds, Miss IngramMrs Hugh Bonfoy
Thomas Gainsborough, Lady LigonierThomas Gainborough, Mr e Mrs William Hallett
Alcuni di questi quadri rappresentano forse l’apice della bellezza dell’abito nella moda femminile anglosassone, una bellezza che poi venne corrotta dalla moda francese delle enormi crinoline e in seguito dei sellini. Ma dopo questa mega-sfilata di ladies in tiro, beccatevi questo! ( e scusate se la disposizione delle immagini nella pagina è così strana, ma io non so farla ordinata come molti miei colleghi bravi con l’html…
Un quadro che ha molti significati politici nascosti, guardate voi, proprio nei colori. Michel ne sarebbe entusiasta! Che forza! Siamo a due anni dall’unità d’italia, in Inghilterra era in pieno fermento il Preraffaelitismo, e lui ti spara un quadro che sembra dipinto un secolo prima e che descrive un ambiente medievale! Fantastica la esse di lei, altro che Rossella e Retth Butler!
E ancora la “esse” non perde il suo fascino da sirena nelle incisioni dei Secessionisti viennesi e dell’Art Nouveau (in Germania con lo Jugendstjil si preferivano forme più lineari).
Un esempio per tutti è Mucha, Profeta del Kitsch.
pare che si vergognava di fare pubblicità?
La “esse” non scomparve neanche con il diminuire dell’ampiezza delle crinoline, anzi, possiamo dire che fu proprio il sellino, un attrezzo scomodissimo da portare, ad accentuarla.
Se volete dare un’occhiata ai quadri degli impressionisti, ne troverete migliaia di queste “esse”.
Ma il momento magico, autocosciente della “esse” nell’abbigliamento fu a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
ma chi incarnò la bellezza del vitino da vespa, dei seni e dei fianchi prosperosi, e della capigliatura raccolta in alto a boule, come un fiore Liberty, fu Camille Clifford
Nel Novecento i seni andavano di moda meno pieni e i capelli più sottili e aderenti alla testa. ma non si rinunciava alla “esse”. E se questa non doveva essere data dai fianchi, che per motivi socio-culturali le donne non gradivano mettere in mostra, allora c’era sempre la gamba.
Ancora oggi, modernizzata, decontestualizzata, privata della sua storia, la vediamo comparire su cataloghi per tutte le taglie (idealmente rappresentate da una platonica 42) e tutte(?) le tasche, sulle passerelle, negli stock di foto delle più importanti agenzie fotografiche italiane. Cambia l’abbigliamento, invece dello chignon chi sono i rasta, e al posto di una gonna di velluto ci sono i jeans…ma poco cambia.
Signor Hogarth, lei che ne pensa? I bei tempi andati… Fotolia, finto elegante da copertina Supergambe, modernissimo e allegro
Si può immaginare una vita più triste di quella delle dracene? Utilizzate come arredo, annaffiate occasionalmente, se in cattivo stato gettate nei cassonetti, vendute per pochi euro come spam giardinicolo?
Spostala, no, sta meglio là. Lì dà fastidio a chi entra, mettila nell’angolo.
Servette tra le piante da interno solo perchè sopportano ogni sevizie. tappezzeria
Blu di prussia steso ad olio. A destra è più denso, appena uscito dal tubetto, a sinistra meno saturo (più liquido)
Non so quanti di voi ricorderanno il libro da cui proviene questa frase, ma l’acido prussico non ha colore, nonostante per la nomenclatura Iupac si chiami cianuro di idrogeno, il che farebbe pensare ad una colorazione azzurra.
Il blu di Prussia non ebbe sulle prime l’enorme fortuna di cui godette in seguito, proprio perchè in molti temevano che decadendo si trasformasse in acido prussico, diventando mortale.
La storia dell’invenzione del Blu di Prussia è, come spesso accade nella storia dei colori e degli alimenti, piuttosto casuale.
Il colore azzurro era sempre stato difficile per i pittori e i tintori. Per alcune popolazioni era considerato poco importante, mentre oggi è il colore più amato nei paesi occidentali e in assoluto il meno sgradito.
La cravatta di pessimo gusto. I soldi del blu li anticipò il Papa
Fino al 1700 si tingeva e si dipingeva con il lapislazzuli (un minerale di origine estrusiva, raro e costosissimo- con cui è dipinto il fondo del Giudizio Universale della Cappella Sistina), o in alternativa con l’azzurrite, una sorta di lapislazzuli di seconda scelta, o con coloranti vegetali tipo l’indaco e il guado (Isatis tinctoria).
I dipinti e soprattutto le stoffe tinte di questi colori non avevano splendore, profondità, non tenevano ai lavaggi, e sbiadivano, soprattutto considerando che l’importazione dell’indaco (prima dall’Asia e poi dalle colonie americane), che aveva una resa migliore, era vietata.
Solo nel 1737 il divieto cadde.
Intanto a Berlino, all’inizio del secolo, era stato già “scoperto” il Blu di Prussia.
La storia è molto divertente. C’era un droghiere e venditore di colori che aveva un rosso molto bello nel suo catalogo. Lo otteneva aggiungendo del potassio a un decotto di cocciniglia (sì, stramaledette, crepate! Noi siamo animalisti!), a cui prima aveva aggiunto del solfato di ferro. Un giorno che gli era finito il potassio mandò il suo gatto a comprare del filo color ciliegia….no, questa è un’altra storia. COMUNQUE! Un giorno esaurì le sue scorte di potassio e l’andò a comprare da un chimico di sinistra fama, tale Johann Konrad Dippel, che gli vendette del carbonato di potassio già utilizzato per i suoi esperimenti, quindi adulterato.
Fu così che invece del rosso, il droghiere vide formarsi un precipitato di un magnifico e intenso colore blu. Purtroppo il droghiere non comprese il valore di questa accidentale scoperta, ma Dippel sì. Dopo un po’ di prove iniziò a commercializzare il nuovo colore col nome di Berliner Blau.
Polvere di Blu di Pussia
Nel 1724 (mancavano più di dieci anni all’abolizione del divieto di importazione dell’indaco), un chimico inglese riuscì a ripetere l’esperimento e rese pubblica la formula chimica del colore e il metodo per ottenerlo. Nel frattempo il Berliner Blau era diventato Blu di Prussia, ed ebbe via libera in tutta Europa.
Il losco e disonesto Dippel, che non aveva mai voluto rivelare la sua formula, fu rovinato e si rifugiò in Scandinavia, dove divenne cerusico del re. Lì potè dare libero sfogo alla sua inventiva e mise a punto una serie di farmaci pericolosissimi che gli valsero l’espulsione dalla Scandinavia e la deportazione in Danimarca. Salute.
Arrivando più vicino a noi, nel 1800, i tintori se ne servirono per lanciare il “Blu marino”, cioè quello che noi chiamiamo “Oltremare Francese” che sarebbe diventato un vero e proprio fenomeno sociale della moda.
Blu oltremare per l'abbigliamento sportivo moderno
A consacrarlo come colore della legge fu la Prima Guerra Mondiale, quando le divise, fino ad allora nere, divennero blu scuro. Un nero brillante, profondo, che tenesse il colore, era difficile da ottenere e molto costoso, perciò si pensò a Blu Oltremare come colore meno austero e più a buon prezzo, oltre che più gradevole. Da qui viene la moda del colore blu delle tute e delle uniformi da lavoro, postino, meccanico, falegname, grembiuli, sopravesti da lavoro, ecc. “Colletti bianchi e tute blu” è un detto che vale ancor oggi per indicare la separazione tra classe dirigente e quella lavoratrice.
Jeans tinti in Blu di Prussia
Un capitolo a parte lo meritano i jeans, che assunsero quel colore per cause accidentali (una partita di tela da velatura non conforme alle richieste, finita per diventare stoffa per le tute dei lavoratori americani). In italia divennero simbolo della contestazione studentesca (certo, non in questo colore austero, ma in colori più chiari e slavati). Ma la verità che oggi possiamo dire è che il ’68 fu un movimento borghese, ove non alto-borghese.
Insomma, dire che ci piace il blu è un po’ un non dir nulla, essere nella media. Il blu è apprezzato da tutti, nelle sue varie sfumature.Incredibilmente rustico.
Country blue, cosy, gentle and lovely
Come anche del tutto sciccoso.
Bulgari, Blu di Prussia, a volte detto Blu Ottanio
Il blu è un colore riposante, pacificatore, e questo sin dall’epoca medievale. E’ un colore onirico, dell’irraggiungibile, del sogno, del fantastico (Der Blaue Reuter, il Principe Azzurro)ma anche della tristezza malinconica rassegnata, della nostalgia romantica (to feel in blue), è il colore della notte, (Blue Velvet), nell’America Settentrionale, l’ora blu è l’orario di uscita dagli uffici. In tedesco ubriaco di dice blau. Colore del freddo, colore della tecnologia (Blue-ray), della nobiltà (sangue blu).
E qui mi fermo, perchè volevo parlare solo della curiosa scoperta del galantuomo di Dippel e del Blu di Prussia.
Ora vi metto un Blues che vi sdirenerà il cuore
It was down in Old Joe’s barroom,
On the corner by the square,
Drinks were being served as usual,
And a goodly crowd was there.
When up steped old joe McGuinny
His eyes were bloodshot red;
As he poured himself more wiskey,
This is what he said:
I went down to the St. James Infirmary
I saw my baby there,
Streched out on a cold white table,
So sweet, so cold, so fair.
So Let her go, let her go, God bless her;
Wherever she may be **see note**
She may search this wide world over
but she’ll never find a sweet man like me.
When I die, want you to dress me in straght laced shoes
A box back coat and a Stetson hat;
Put a twenty-dollar gold piece on my watch chain
So the boys know I died standin’ pat.
**verses not in original recording**
There are sixteen cold black horses,
Hitched to her rubber tired hack;
There are seven women goin’ to that graveyard,
and only six of ‘em are coming back.
Now that you’v heard my story,
pour me one more shot of booz;
And if anyone comes askin’ about me,
Tell ‘em I got, Saint James Infermery blues.
Some people exchange “She never did love me” for the line “Where ever she may be” that was in the original.
Anche Hugh Laurie ne canta una bella versione, strumentisticamente più articolata ma non così toccante
Segnalo questo bellissimo sito creato e custodito da Soira Bazzo, Saul Marcadent e Filippo Santarossa.
Il progetto Limno è molto ampio, numerosi i professionisti che vi hanno collaborato.
Riporto una parte della pagina d’apertura:
Limno è un progetto che indaga i temi della natura – e delle nature – attraverso l’incontro, il ripensamento di luoghi, il video.
Nel 2010 ha posto l’attenzione sull’acqua, mettendo in comunicazione ambiti disciplinari in apparenza lontani – biologia, filosofia, architettura del paesaggio, arte contemporanea – tentando di mostrare la vicinanza e l’organicità tra sapere scientifico e ricerca artistica.
Nel 2011 sono stati approfonditi i temi del giardino, del paesaggio e della natura in contesto urbano, con una serie di incontri in un appartamento privato. La scelta di inserirsi in spazi in cui la funzione viene ribaltata è un aspetto centrale di Limno che, attraverso interventi minimi, a volte solo spostamenti di sguardo, cerca di adeguare sedimenti e usi primari dei luoghi a nuove necessità.
Avviso ai naviganti: l’articolo è molto lungo, ma il complesso argomento richiede una trattazione profonda. Se avrete la pazienza di leggerlo integralmente sono sicura che troverete molto su cui pensare o ripensare a proposito dell’estetica quotidiana. Si prega di fare attenzione alle doppie virgolette, che introducono esclusivamente delle citazioni, in caso contrario si sono usate le virgolette semplici. Vendo desideri e speranze in confezione spray
Il Kitsch è l’arte che segue delle regole stabilite, proprio in un’epoca in cui tutte le regole artistiche sono messe in dubbio da ogni artista
Harold Rosenberg La tradizione del nuovo
Introduzione
Il Kitsch è un fenomeno a cui da qualche anno a questa parte si dedica molta attenzione da parte di artisti, critica e pubblico (a dire il vero ‘troppa attenzione’ secondo molti). Spesso considerato come semplice espressione di cattivo gusto e per anni archiviato come fenomeno marginale nella storia del design e delle arti, ha nel tempo acquisito un interesse via via crescente e sempre più centrale all’interno delle manifestazioni artistiche. Non c’è a dire il vero da stupirsene, come non c’è da stupirsi dell’accresciuto interesse per questo fenomeno che in verità attualmente coinvolge tutte le arti, mettendone in discussione i principi fondanti.
E’ infatti per questa sua inattesa ‘qualità’ che il Kitsch è oggi materia di studi molto dibattuta, proprio per comprendere non tanto il fenomeno in se stesso, ma ciò che comporta per le arti e la società in cui esse esistono.
Generalmente si attribuisce al Kitsch lo status di processo di inflazione della qualità delle arti, ciò è senza dubbio vero, e il Kitsch di epoca romantica era diverso dall’attuale, come quello del futuro sarà diverso dal nostro, e l’attuale Kitsch è diverso da quello ormai considerato ‘classico’ (anni ’80). Ma il tempo ha dimostrato che il Kitsch ha acquisito dei caratteri precisi, tipici degli stili artistici, degli stilemi, quindi, perfettamente riconoscibili e catalogabili.
Dunque se da un lato il Kitsch è un processo, dall’altro è anche uno stile o per meglio chiarire, diremmo uno stile polimorfo e in mutamento.
E’ questa capacità mutante che affascina di più i designer, stimola i critici, preoccupa il pubblico. Buona parte di quello che ieri era Kitsch oggi è storicizzato e quindi riconoscibile e innocuo. Ma mentre io scrivo e voi leggete, il Kitsch, come processo, sta mutando insieme a noi, il che lo rende sfuggente e pericoloso perché più difficile da riconoscere. A questo punto è ragionevole che la critica desideri analizzarlo e che il pubblico se ne senta preoccupato: sarà Kitsch questa cosa che ho comprato? E se non lo fosse oggi e lo fosse domani? Come verrò giudicato dai miei pari?
Le porcellane della bisnonnaIn un passo di grandi qualità comiche e di arguzia sociale, Jerome K. Jerome in Tre uomini in barca, già a fine Ottocento preconizzava con un buon margine di precisione sui nostri gusti attuali ( cito a memoria )
‘L’imparaticcio della nostra figlia più grande sarà venduto come “arazzo vittoriano”, il cane di porcellana, pur avendo perso coda e orecchia, sarà motivo di interesse per gli uomini del Duemila che si interrogheranno sulle virtù estetiche della coda mancante. I notabili giapponesi compreranno calici di vetro usciti male, con una sottile rete di incrinature, per portarli a Jedo e bervi prelibati liquori, i prodotti della grande industria come i servizi da tè bianchi ed azzurri saranno considerate “preziose porcellane di Margate”, come se questo fosse un suggello di qualità’.
Ebbene, è tutto vero, perlomeno per l’Inghilterra a cui si riferisce l’autore. Noi ci affanniamo dietro all’antiquariato come api intente a costruire un alveare. Raccogliamo antiche porcellane del tempo di Jerome (già molto difficili da trovare) e dei tempi successivi, incorniciamo gli imparaticci e gli accostiamo un vaso di giacinti forzati. L’effetto incrinato (craquelé) , quando non è disponibile lo ricreiamo noi stessi tramite vernici e vernicette. VintageIn Italia sono più di moda i vecchi numeri di «Topolino» o le scatole dei biscotti Lazzaroni, i dischi dei cartoni animati, i cartelli pubblicitari del Campari, la Vespa e gli anni ’50.
Ogni paese ha un suo vintage a cui è molto attaccato.
‘Quel’ vintage era un tempo considerato robaccia, roba di scarto. La domanda legittima è: era robaccia allora e lo è anche adesso, oppure la patina del tempo ha cancellato tutte le impronte di bruttezza, lasciando solo il bello? Sarà anche la nostra roba di scarto ‘vintage’ per l’umanità del futuro, come in Wall-e? Wall-e era solo un maniaco pazzo o un raccoglitore di bellezza?
Politica, economia e società
In realtà la questione del Kitsch e del deterioramento della qualità delle forme artistiche ha origine, come era prevedibile, nel sostrato economico e politico della nostra società, con buona pace di chi crede –ahimè nella sua miopia- che politica e giardinaggio siano due cose disgiungibili, spesso opposte.
Come è spiegato audacemente nel piccolo saggio Masscult e Midcult di Dwight MacDonald sembra proprio che le conquiste della società (nella fattispecie della società democratica di tipo occidentale) si debbano scontare sul piano dell’arte. Come ribadito da Bauman (La società sotto assedio) le masse non sono gruppi di individui, ma organismi sociali legati di volta in volta da un luogo (un parco giochi, un punto di ristoro, un supermercato) o da un’attività (andare allo stadio, guardare la televisione, far la spesa). MacDonald chiarisce che nella società contemporanea gli individui sono uniti gli uni agli altri solo da alcuni astratti principi organizzativi e sono in un continuo stato di esaurimento psicologico, poiché è naturale star male quando non si hanno contatti umani.
“Così il Masscult tenta di fornire distrazioni allo stanco uomo d’affari –o allo stanco proletario. Questo genere d’arte è necessariamente distaccato dall’individuo, dato che è espressamente studiato non già per influire su ciò che lo differenzia da chiunque altro- vale a dire ciò che è di più vitale interesse ai suoi occhi- bensì per operare sui riflessi ch’egli condivide con chiunque altro. In tal modo l’individuo è isolato”.
Clicca su "mi piace"! E’ così che noi diventiamo ‘pubblico’.
Il pubblico, secondo Kierkegaard- non sarebbe potuto esistere in tempi antichi perché ognuno in corpore partecipava alla politica, alla discussione sopra la città (credo che Kierkegaard omettesse i problemi di sovrappopolazione del globo, di certo all’epoca meno pressanti). Solo con la stampa si creò quell’astrazione di individui irreali che non potranno mai essere uniti realmente, astrazione moltiplicata e rafforzata da mezzi di comunicazione di massa più veloci come la televisione e internet. L’individuo, ancora secondo Kierkegaard, vede se stesso riflesso come pubblico e tende a identificarsi in esso.
La cultura di massa, insomma, è un prodotto del benessere economico, un prezzo da pagare se vogliamo, alla seppur poca eguaglianza conquistata negli ultimi 60 anni.
“Oggi –scrive MacDonald- danaro, tempo libero e conoscenza, i prerequisiti della cultura, sono più abbondanti e distribuiti che mai”.
Anche Lyotard e Hosbawm sono fondamentalmente di questo avviso.
Analizziamo un po’ di storia e geografia:
Il Kitsch è un fenomeno che riguarda le arti e le arti applicate che si è imposto con vivacità sempre crescente dagli anni ’50 in poi, fino ad avere proprie connotazioni formali di stile o genere, esattamente come le hanno guadagnate due stili affini e per certi versi sovrapponibili come il Trash e il Camp Gillo DorflesUno studio approfondito, in Italia, è stato compiuto solo da Gillo Dorfles con Le oscillazioni del gusto e il suo più che celebre Kitsch. Antologia del cattivo gusto.
Probabilmente considerare il Kitsch un’aberrazione del buon gusto è pratica usuale in Germania, dove la parola è nata (Umberto Eco, in Elogio della Bruttezza, riporta la versione secondo cui i turisti inglesi in Germania chiedessero uno schizzo (sketch) per pagarlo meno caro di un quadro). Secondo altri è da ricondurre al verbo tedesco etwas verkitschen= etwas billig losschlagen cioè “trasformare qualcosa in Kitsch = vendere qualcosa a poco prezzo, specie se ne hai in gran quantità”. Secondo il Knaursche Konversations Lexicon il Kitsch è : “scheinkunstlische Gestaltung ersetzt mangelnde Formkraft durch inhaltliche (erotische, politische, religiose, sentimentale) Phantasiereize”, cioè una “pseudo arte o un design (oggi diremmo uno ‘styling’)che sostituisce ad una carenza di creatività con una stimolazione artificiosa della fantasia mediante un contenuto standardizzato (erotico, politico, religioso, sentimentale)”.
La traduzione non è univoca, ma una buona approssimazione è ‘far del vecchio con nuovo, spazzatura artistica, paccottiglia artistica’.
Questo per quanto riguarda il nome e la parentela. Ma per la data di nascita?
Ci sono varie correnti distinte che possiamo sintetizzare nei due estremi:
1) il Kitsch è sempre esistito come espressione di cattivo gusto o di gusto deteriore rispetto alla norma codificata da quell’epoca o quella società
2) il Kitsch nasce alla metà dell’Ottocento dopo la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte e la nascita della società di massa, la volgarizzazione dello stile romantico e l’emancipazione della piccola borghesia.
3)Vi sono teorie intermedie, che personalmente trovo meno che soddisfacenti, che vedono il Kitsch nascere in periodo post-Barocco, decadentista, che qui non saranno neanche considerate.
Lo studioso tedesco Ludwig Giesz è a favore della prima ipotesi, portando dalla sua l’asserzione che le società di massa sono sempre esistite a partire dall’epoca alessandrina, passando per l’ellenismo romano, gli ozi di Capua, fino ad arrivare all’uomo magrittiano ad una sola dimensione del XX secolo.
Nei suoi studi sul Kitsch, Ludwig Giesz si rifà all’analisi di Freud sulla psicologia dell’artista, visto come uomo che non riesce a placare i suoi stimoli (erotici e di ambizione) nella realtà, ma nella fantasia. L’artista quindi crea una nuova realtà che lo ricollega alla realtà concreta. In tal modo egli diventa l’eroe (e qui ci scappa un ‘oh Wagner! oh Germania!’), ma forse potremmo meglio definirlo demiurgo, cioè esattamente ciò che desiderava essere, ma senza dover seguire tutta la normativa sociale, morale e politica che una vera modifica della realtà avrebbe comportato (Freud, Ges. Schriften, IV, 19).
Vi starete chiedendo: se così è, cosa distingue un buon artista da un cattivo artista o da un non-artista? La luce e la preziosità che gli altri vedono nelle loro opere, come riflessi della realtà vera.
Giesz quindi è convinto: la radice del Kitsch è l’uomo stesso. Il Kitsch lo ha sempre accompagnato e lo accompagnerà sempre. Vedremo più avanti che anche Abraham Moles è di questo avviso.
Gietz però trascura (o fa finta di trascurare?) un importante elemento: la riproducibilità dell’oggetto in un numero illimitato di copie. Senza questa ‘conquista’ definitiva del procedimento tecnico -avvenuta in tardo XIX sec., non è neanche ipotizzabile parlare di Kitsch senza prestare il fianco a mille e mille obiezioni valide e incontrovertibili, tra cui la funzione iniziatica, religiosa e sociale, etico-politica dell’oggetto d’arte, che in qualche modo lo rendeva immutabile ed eterno (nell’ambito di quella società/epoca storica). Per questi oggetti non si può parlare di ‘problema di gusto’, perchè di tale problema non si avvertiva neanche la vaga presenza.
Per quel che riguarda me, dirò che la tesi di Giesz affronta il problema del Kitsch da un lato del tutto errato, che è quello psicologico, rifacendosi peraltro alle tesi che proprio nel XIX secolo mettevano a nudo certi comportamenti delle masse. Inoltre non c’è traccia nella letteratura antica di saggi che trattassero in maniera così approfondita e monografica il problema del cattivo gusto. Ci sono accenni sparsi in tutta la letteratura latina, da Cicerone ad Alberti, a Marziale, ma lì rimangono.
Gli antichi non si posero mai questo problema.
Ciò che noi vediamo come cattivo gusto nelle opere del passato è solo presunto cattivo gusto in virtù del fatto che non ci sono congeniali, consanguinee.
Gillo Dorfles, come Hermann Broch, è del parere opposto. Le esigenze a cui l’arte è chiamata ad assolvere nella nostra società sono mutate, e questo mutamento inizia a metà del XIX secolo. Fermo restando che ogni epoca si caratterizza per un suo ‘standard of taste’, cioè ‘regola del gusto’ (cfr. Hume) che -per fortuna a differenza di quella morale- è fortemente connotata formalmente all’interno delle singole epoche e dei singoli paesi, il Kitsch non è solo ‘bruttezza’ o ‘cattivo gusto’ ma anche e soprattutto un’errata interpretazione delle costanti formali di un’epoca, quasi sempre per ragioni etiche, politiche, tecniche, non solo estetiche.
Il Kitsch quindi non è una caratteristica dell’arte in sé, ma un fenomeno che caratterizza l’arte di massa. Il Kitsch non viene scelto dal fruitore, ma viene in qualche modo proposto con una tale violenza che anche chi non ne fruisce vi è diventato insensibile.
Nel tempo si sono definite le caratteristiche dei fruitori abituali del Kitsch, chiamati Kitsch-menschen (‘uomini-Kitsch’). Si tratta non solo di persone che hanno poca dimestichezza con l’arte più elevata (è noto a tutti che le persone intelligenti, ancorché di bassa cultura, se hanno una sistematica frequentazione con le opere d’arte finiscono per comprenderle e amarle). L’uomo-kitsch è ben diverso: non si tratta solo di bassa cultura o di una generale ottusità verso l’arte, soprattutto quella moderna o contemporanea, più impegnativa, ma di persone che siano convinte che dall’arte si debbano trarre solo impressioni gradevoli, piacevoli e zuccherate, o addirittura che l’arte serva come ‘suggestiva cornice’ ad altre attività, come il turismo, il divertimento, il mangiare, il ballare, etc. o ancora che essa sia considerata un simbolo di uno status sociale (cfr. Thorstein B. Veblen, L’agiatezza vistosa, Pierre Bourdieu, Critica sociale del gusto, La moda di Norbert Elias) per fare bella figura in società, non certo come cosa seria, attività impegnata e critica.
Il giardinaggio -degradato nel corso di tre secoli da arte ad hobby- ne è un buon esempio: chi crede che debba solo ‘insufflare serenità’, invariabilmente sarà un garten-kitsch-mensch. blu, bianco e mussolinaIl Kitsch-mensch interpreterà Raffaello come pittore di cartoline, giudicherà Verdi o Wagner per il contenuto romantico o truculento, troverà interessanti i romanzi storici più farraginosi e improbabili per via della storia sentimentale, troverà un’aiuola più bella solo perchè più colorata e più variata.
Ma quali sono le caratteristiche del Kitsch?
<caption id="attachment_4094" align="alignleft" width="150" caption="a tutto klimt"][/caption]-La prima, quella che più sensibilmente salta all’occhio, è l’imitazione degradata di altre forme d’arte più elevate. Klimt sull’accendino, tanto per rimanere sui temi più vicini a noi, le stampe degli Impressionisti nelle sale d’attesa dei dentisti e nei corridoi degli ospedali, le varie Pietà di Michelangelo come fermacarte, l’uso di versi danteschi per pubblicizzare un reggiseno, ecc. oh, benevenuto nel mondo di noi piccolini!-La miniaturizzazione: le riproduzioni miniaturizzate di monumenti e opere d’arte non si contano, dal Colosseo alla Torre Eiffel, al busto di Napoleone, alla Paolina Borghese. Lo sfalsamento delle dimensioni è anche una caratteristica della Pop Art, con cui il Kitsch condivide alcune strutture formali e alcuni personaggi chiave, come Andy Wharol. Free, Claes OldenburgMa se nella Pop Art l’oggetto, generalmente sovradimensionato, come sigarette, mollette dei panni, cucchiai ed altri oggetti d’uso, perdeva il suo scopo funzionale, nel Kitsch questo scopo ‘funzionale’ diventa cultuale e si mantiene. Il bicchiere da brandy sovradimensionato mantiene ancora la sua funzione e viene portato in tavola, magari diventando protagonista di un goffo tentativo del padrone di casa di berci. La Torre Eiffel sul comodino, tra un Padre Pio e un portafiori di falso cristallo, mantiene per il Kitsch-mensch (ma solo per lui) la sua dimensione funzionale, supplendo effettivamente in tutto e per tutto alla vera Tour Eiffel.
-Lo slittamento di materiale e la combinazione di forme è forse la caratteristica più disgustosa del Kitsch. L’orologio a forma di chitarra, ma fatto in vetrino tipo Swarowski, il boccale da birra a forma di testa di Stalin, la radio a forma di automobile, l’accendino a forma di veliero, un accendino che sembra un rossetto, il rossetto che sembra la Torre di Pisa . C’è un camuffamento della funzione, o il contrasto tra la forma dell’oggetto e la sua struttura esteriore che si presenta sotto forma di un altro oggetto assolutamente ben distinguibile.
-Oltre a tutto ciò c’è una comicità non voluta dell’oggetto o della situazione, una bruttezza che non è solo brutta, ma anche ridicola. Difficilmente gli oggetti Kitsch possono sembrare tristi o squallidi, anche se sono brutti, perché il Kitsch, come sostiene Abraham A. Moles, è ‘l’arte del buonumore’. Questo è uno dei motivi principali per cui certe espressioni del Kitsch (come i nanetti) sono stati ripresi nel design moderno. Nano-tavolo e nano-sgabello di Philippe StarkQuesti sono alcuni dei cliché del Kitsch, perlomeno quello cosiddetto ‘classico’, storicamente inteso (quello dei nanetti, ad esempio). Questo genere di Kitsch, per così dire ‘postmodernista’, ha delle regole formali molto più rigide di molti altri stili, proprio perché basato su cliché che risultino immediatamente riconoscibili al Kitsch-mensch. Ha fatto sue alcune formule dello stile Postmoderno, la linea frazionata, gli svolazzi, le forme spigolose e triangolari, le geometrie, le asimmetrie, l’antistematicità, la commistione di stili antichi e moderni, di materiali (si guardi in rete ‘Charles Moore, Piazza d’Italia’).
Tutti elementi che in architettura condurranno poi al Decostruttivismo.Pizza d'Italia, Charles Moore Tanadori Yokoo
Basti pensare alle copertine dei dischi anni Ottanta, i vari video musicali dell’epoca, italiani e stranieri, e alle strampalate mise dei cantanti come Boy George o Pete Burns, di Madonna, di David Bowie, dei Duran Duran. Cantanti che nei Novanta, anni del nero e del rigore minimalista, hanno poi rinnegato il loro fantasioso abbigliamento tornando al loro autentico colore d’occhi e di capelli e a vestiti morigerati.
Che il Kitsch sia sovrapponibile al Postmoderno è un incidente o una causalità? In parte è una causalità, poiché uno dei principi del Postmoderno è l’abolizione delle distinzioni tra arte d’élite e quella di massa (cioè del Masscult, inteso nel senso che gli ha dato Dwight McDondald).
Tuttavia esistono diverse teorie sul fatto che il Postmoderno sia uno stadio dell’arte, quindi una sua caratteristica intrinseca. La teorizzazione del Postmoderno nasce con Lyotard (La condizione postmoderna) alla fine dei Settanta (ma arrivò in Italia negli Ottanta), che considera il Postmoderno una caratteristica precipua dell’arte. Lyotard, pur non amando il marxismo, definendolo una “metanarrazione del mondo”, in realtà analizza non una fase artistica, ma una fase socio-economica che produce i suoi effetti sull’arte. Il Postmoderno trova il suo massimo sviluppo in USA, dove si sente maggiormente la disgregazione delle posizioni politiche di Destra e Sinistra, dovuta ad un forte avanzamento dei servizi, con il risultato di diminuire il peso della classe operaia. Eric Hobsbawm definisce il XX secolo come ‘il secolo breve’ e lo colloca tra lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e la fine del regime russo. Ed è proprio alla fine del ‘secolo breve’ che il Posmoderno ha il suo apice. Insomma, il Postmoderno, per dirla con parole molto povere, nascerebbe semplicemente dalla globalizzazione e dalla rapidità di comunicazione delle forme artistiche dai vari gruppi culturali.
Questo è il paradigma del Kitsch moderno e in buona parte contemporaneo, poiché nonostante varie opinioni, il Postmoderno non accenna ad esaurire le sue energie, perlomeno a livello di figurazione pubblicitaria.
Ask me no more, Lawrence Alma-TademaIl paradigma formale precedente è -ovviamente- la degradazione delle forme romantiche. Il Kitsch nasce in epoca romantica ed è dunque evidente come abbia formato la propria struttura esteriore sull’estetica di quel periodo. Le cartoline con languidi volti di donna, cigni in volo, la luna che si specchia nelle acque di un lago, non sono altro che il vampirismo artistico delle raffigurazioni del Romanticismo più tradizionale. A posteriori sono stati accusati di essere Kitsch alcuni risultati dei Preraffaeliti, ed effettivamente alcuni quadri, come La dama di Shalott di William Holman Hunt lasciano quantomeno perplessi. Per non parlare dei disastrosi epigoni, come Arthur Huges ed Henry Wallis. The Lady of Shalott, Willim Holman Hunt
Queste forme di Kitsch sono state ampiamente rivalutate come espressioni di un ‘gusto sociale’ (non necessariamente felice, ma spesso ‘vitale’ da un punto di vista culturale, come -ad esempio- le riviste erotiche come Frigidaire o il genere fumettistico ‘Underground’) e dello stile di un’epoca (quella dello ‘styling’, cioè il camuffamento della funzione di un oggetto con una maggiore quantità di elementi decorativi inutili, in buona sostanza una sorta di ‘plastica’) che è poi, in fondo, quella del boom economico, degli anni Cinquanta, della ‘Gloriosa Trentina’. Super-mega alettone, sproporzione, rinuncia alla funzioneLe automobili con alettoni aerodinamici sono ormai pezzi da multi-multi che fa il bagno nelle monete d’oro, le radio a forma di mobile sono ricercatissime nei mercatini dell’usato.
Il deperimento e la rinascita di nuove forme si alternano a ritmi velocissimi, grazie alla rapidità di comunicazione e di passaggio tra i vari ‘brow’ culturali, tanto che non è difficile che nel giro di un decennio o un ventennio oggetti considerati privi di valore vengano rivalutati. Se questo avvenne per il Liberty, considerato in epoca razionalista “orribile Ottocento”, non accadrà mai con la statuaria da giardino, a meno che un violento disastro globale non si porti via almeno due terzi del prodotto internazionale lordo di Eoli e Gongoli (possiamo a questo punto rispondere che Wall-e non è un maniaco pazzo, ma un raccoglitore se non altro di storia che simbolicamente diventa bellezza). La rivalutazione del Liberty è dovuta al fatto che quegli oggetti passati di moda erano effettivamente pregevoli. Lo stesso non si applica per le copie del Liberty che impazzano nelle fiere di paese.
Questo è per ciò che riguarda la morfologia del Kitsch classico, divenuto da fenomeno di massa a vero e proprio genere.
Fenomeno di risalita e oscillazioni del gusto
C’è un concetto che bisogna avere assai chiaro per comprendere tutto questo ‘sistema’, (perché di un sistema si tratta). Gillo Dorfles l’ha chiarito bene nel suo libro Le oscillazioni del gusto e anche Mac Donald lo spiega nel suo Masscult e Midcult.
Finché l’arte è stata solo di due tipologie, arte accademica e arte popolare, senza nessuna via di mezzo, non si è posto il problema del Kitsch. Il fenomeno del Kitsch si presenta solo dopo la Rivoluzione Industriale e l’invasione dei mercati di oggetti e arte per la massa. Non che le masse non esistessero, ma erano solo i committenti con una certa facoltà di acquisto a potersi permettere arte di buona qualità. D’altronde MacDonald, come Bourdieu, nega recisamente che le masse possano essere produttrici d’arte, mentre ne sono grandi consumatrici. Quindi il Kitsch è non solo un fenomeno artistico, ma anche e soprattutto sociologico ed economico.
Dorfles spiega che dalla Pop Art in poi si è instaurato un rapporto vivacissimo tra l’arte e i suoi consumatori. Prima erano sempre state le élite a dettare modi e mode, mentre con la Pop Art avviene il contrario. Da quel momento in poi questa oscillazione si è mantenuta nel tempo: periodicamente e in maniera sistematica qualcosa che è finita nel cassettone dei ricordi viene tirata fuori e spolverata, viene messa sul mercato delle élite e poi introdotta in quello delle masse, dove viene di nuovo consumata e infine archiviata. La si lascia un altro paio di decenni, e poi la si tira fuori di nuovo per ricominciare un ciclo ogni volta diverso, ogni volta uguale. Questo accade soprattutto quando si hanno poche idee, come in questo momento (noi tendiamo a conservare o ripetere oggetti d’arte vecchi piuttosto che produrre oggetti d’arte nuovi) e quando il meccanismo della citazione –sempre esistito- diventa via via più veloce con le moderne tecniche di comunicazione.
Se guardiamo la cosa dal nostro punto di vista potremmo dire: -E’ un bel casino.
Ricordo un mio collega di illustrazione che quando inserì dei personaggi felliniani fu accusato dal professore di avere copiato. Lui rispose seccamente: -Oh bella, quando lo fate voi la chiamate ‘citazione colta’! Viulentemente mia! la poliziotta della squadra buoncostume
Il Kitsch secondo Abraham A. Moles
Se avete la vecchia ma incredibilmente precisa Enciclopedia del Novecento della Treccani, sapendo come solo le voci più sensibili siano contemplate, sareste forse sorpresi di trovarvi la voce ‘Kitsch’, trattata da un inflessibile Abraham A. Moles, autore anche del bel libro Psycologie du Kitsch, l’art du bonnheur. Il pensiero di Moles è estremamente illuminante perché mette a nudo tutte le nostre debolezze. Esattamente come da Masscult e Midcult di MacDonald capiamo di vivere all’interno del Midcult, leggendo Moles comprendiamo che il Kitsch è ovunque intorno a noi, come un blob, un fluido che uccide (citazione non casuale).
Secondo Moles il Kitsch è
“un processo sociale di inflazione dell’attività estetica nella società dei consumi di massa; esso comporta una ‘degradazione’ attraverso la ripetizione multipla e dà luogo a forme artistiche secondarie, prive di autenticità, ma che soddisfano tuttavia un bisogno umano”
.
Il termine è bavarese e ha fatto la sua comparsa a Monaco verso il 1860 ed era principalmente applicato al mobilio, tra il 1920 e il 1940 si diffonde come termine dispregiativo in tutta la critica artistica tedesca. Il Kitsch è connesso secondo Moles ad una sorta di “patologia estetica” delle masse, onnivore divoratrici di prodotti che il mercato mette in circolo, per soddisfare un innato bisogno umano, quello di quiete e serenità.
Il problema estetico sollevato dal Kitsch è il seguente: è concepibile un’arte a buon mercato? Laddove buon mercato non è reso solo in senso economico (anche i fautori delle Arts&Crafts volevano fare buon design a buon mercato, con risultati mai più raggiunti) ma
“nel senso più generale adottato dagli psicologi motivazionali[…]il prezzo di uno sforzo culturale, di un dispendio di materiale e di tempo, di una volontà, di un minimo d’impegno intellettuale, la cui entità, assai più del prezzo in unità monetarie, costituisce il ‘costo d’accesso’ all’arte” .
Dunque il Kitsch si configura non tanto come uno stile ma come un atteggiamento mentale (quello del Kitsch-mensch). Vi è un Kitsch per ogni cosa, per ogni pensiero, per ogni azione, c’è sempre un succedaneo a buon mercato. Moles fa l’esempio di un bellissimo tramonto trapunto stelle. Un fotografo ne fa uno splendido scatto e poi la sua fotografia diventa una cartolina. Ecco il Kitsch. Non importa chi l’abbia mandata, cosa ci sia scritto, chi l’abbia ricevuta e dove. L’arte si dissolve nella quotidianità, si svaluta e “perde forza, importanza e valore”. Se ne deduce che il Kitsch è universale.
Il Kitsch si presenta spesso sotto forma di neo-qualcosa e d’altra parte un neo-non importa cosa.
Il Kitsch non è mai puro e se vi è un pizzico di Kitsch in ogni arte (Broch), v’è un pizzico d’arte in ogni Kitsch.
Tracciare delle frontiere nette dunque è impossibile, per il fatto che esso coesiste con l’arte nello stesso territorio. Il Kitsch è permanente (Eggenter). Caratteri oggettivabili del Kitsch. accumulazione1)L’abbondanza, l’accumulazione. Caratteristiche tipiche della borghesia trionfante della fine dell’Ottocento. Il Kitsch si serve di quelle arti che della sovrabbondanza, della profusione, dell’ostentazione hanno fatto cifra stilistica, come il Rococò, a cui Ludwig II di Baviera (cugino di Sissi, proprietario del famoso castello che ispirò Disney)attinse a piene mani. Ma ecco il dubbio: il re del Kitsch sarà anch’esso Kitsch o la sua dismisura costituisce il trascendimento del Kitsch? Sproporzione2) La sproporzione fra mezzi e fini. Un ciabattino che voglia pubblicizzare il suo negozio costruisce la scarpa più grande del mondo: un eccesso rispetto alla mediocrità dello scopo.
3) La mancata rinunzia alla funzione. Gli oggetti Kitsch sono spesso sovradimensionati o iperlavorati, come ad esempio un lampadario troppo fragile per reggere delle lampadine, o un piatto troppo decorato per poterlo lavare. Eppure a questi oggetti non si nega la funzione per la quale in teoria sono nati.
4) Sinestesia. Il Kitsch vuole coinvolgere tutti i sensi, ad esempio la rosa finta che suona un’aria di Mozart se si preme un bottone, e che se se ne preme un altro, emana profumo di gelsomino.
5) Uso di materiali poco pregiati. Negli oggetti Kitsch i materiali non sono mai pregiati, l’argento viene sostituito dall’alluminio, la pietra con il cemento, i fiori veri con i fiori finti. Cenni storici.
Anche Moles, come Gietz sostiene che il Kitsch è correlato alla società umana e che è sempre esistito sin dalle prime società di massa dell’Impero Romano. Tuttavia –ammettendo che mancano analisi storiche in merito- Moles più prudentemente colloca l’inizio del Kitsch nel periodo tardo-romantico e alla nascita della manifattura, dapprima artigianale e poi industriale, destinata ai grandi magazzini. Il Kitsch pertanto si sovrappone inevitabilmente ai movimenti artistici nati in periodo romantico:
“Se Angelus di Millet è stato un’opera d’arte (e certamente lo è ancora per qualche amatore o per qualche studioso che vi individuano una autenticità profonda e un’emozione genuina e irripetibile), riprodotto sugli almanacchi, ripetuto in infinite riproduzioni cromolitografiche e perfino nei ricami delle ragazze, è diventato uno dei pilastri dell’atteggiamento Kitsch nelle campagne di tutta Europa”.
Angelus, Millet
Non sorprende che Moles arrivi a attribuire velatamente l’epiteto di Kitsch anche ad uno degli architetti più amati del Mondo, Hector Guimard.
La degradazione delle forme romantiche porta –come abbiamo già visto- ad un Kitsch molto produttivo a cui si porrà un forte stop con l’ascetismo estetico della Bauhaus.
“Il Kitsch prende coscienza della propria colpa e la borghesia quasi si vergogna della sua esistenza. Era infatti la borghesia che aveva inventato un’arte del vivere, imposto da un modello complicato e rigido risultante dall’ibrida combinazione di modelli ereditati dall’aristocrazia, dai costumi vittoriani, dagli atteggiamenti appresi nelle colonie conquistate: erano riti inderogabili, diffusi dai manuali del ‘saper vivere’, dai romanzi a buon mercato, dai grandi magazzini, dalla pubblicità. Ogni cittadino, ai diversi livelli della piramide sociale, si faceva di quel rituale, un compendio compatibile con le proprie risorse”.
La comparsa del neo-Kitsch: come Moles ha già avvertito, il Kitsch perseguita qualsiasi fenomeno artistico, anzi, è insito in ogni artista, in ogni uomo: nessuno al mondo è immune da questa malattia socio-estetica. Il neo-Kitsch, nato dopo gli anni ’50, si accaparra e reimpiega i principi estetici e funzionalisti della Bauhaus. Questo modello è accettato dai leader del comportamento e dagli arbiter elegantiarum, pertanto viene propagato a tutti i brows socio-culturali. Ovviamente però il mercato non ama l’ascetismo estetico e il minimalismo, per cui le istanze economiche mondiali mettono in campo tutta una serie di propensioni estetiche ed artistiche che anche oggi comunemente vengono scambiate per arte o per quella sorta di suo succedaneo, il design. Ed ecco lavatrici e frigoriferi all’avanguardia, iper-tecnologici, puliti, di linee scultoree, di design, insomma. Portacenere dai colori marcati, neri o rossi, pesanti, dagli angoli smussati. Si ha quindi l’impressione, acquistando oggetti ‘di design’ di pagare un tributo alla morale della buona estetica, del buon gusto da ‘conoscitore’, da colui che apprezza ‘le cose belle’. Lavabo-fiore
Moles sottolinea che in questi casi si verifica una situazione psicologica e sociale già analizzata a fondo da Pierre Bourdieu (La distinzione. Critica sociale del gusto) e Jean Baudrillard (Il sistema degli oggetti), cioè l’identificazione del borghese con le cose che possiede. Si tratta di un momento sociologico di grande spessore e complessità al quale nessuna trattazione può sottrarsi e su cui invitiamo il lettore ad un attenta riflessione. Foto di FlickrL’anti-Kitsch: Moles non si limita a descrivere il Kitsch ma si sofferma a domandarsi se esistano al mondo
“esseri, fenomeni, situazioni che siano completamente estranei a questa tendenza generalizzata che è il Kitsch”.
Moles in questo caso rivela tutto il suo rigore di esteta e le sue risposte sono così dure e pesanti da porre il lettore in uno stato di quasi catatonia. Viste le premesse (“nessuno al mondo può considerarsi immune da questa malattia socio-estetica”), la fermezza di Moles non può meravigliarci.
Eventi che escludono il Kitsch sono anche quelli che escludono qualsiasi momento estetico. Moles fa l’esempio di un ufficiale che segua punto per punto una strategia bellica, in cui evidentemente la funzione estetica è presente solo a livello psicologico nella mente delle persone coinvolte, ma non nell’azione prodotta. Similarmente –mettendo per un momento da parte Moles e citando il grandissimo esteta polacco Jan Mukarovsky- la funzione estetica è in opposizione alla funzione teoretica. Anche qui l’estetica è presente a livello personale, di individui (nel senso che uno studioso di astronomia, nell’osservare una nube gassosa multicolore di una stella T-Tauri può essere rapito dalla sua bellezza), ma il dato estetico è confinato a livello personale e non ha alcuna rilevanza scientifica.
Per quel che concerne l’arte Moles non lascia scampo: il Kitsch NON è presente quando l’arte in oggetto non sia riconosciuta come tale da chi la produce e da chi la riceve, come in società poco avanzate tecnologicamente in cui NON esiste la riproducibilità tecnica degli oggetti in numeri illimitati di esemplari. In quel caso siamo ‘noi’, gli ‘evoluti’, a vedervi dentro un’arte pura e sincera.
Vi prego di prestare particolare attenzione al periodo seguente:
“[…]l’attività del calzolaio indiano che, nel suo villaggio primitivo, al di sotto del primo gradino dell’arte, e senza preoccupazione di arte e anti-arte, adempie al suo compito sociale secondo un comportamento in cui l’estetica è così profondamente incorporata alla funzione dalla quale è indissociabile, che tale attività non può emergere ad alcuna espressione cosciente e per essa, come nella formula enunciata da Gropius, “la bellezza è in sovrappiù”. La bellezza, in quel tipo di lavoro, è casuale, un residuo oltre l’adempimento del compito, che sarà percepito e individuato coscientemente solo ‘dall’esterno’, dall’etnologo o dall’artista di passaggio, il cui intervento introduce ad un tempo le categorie di arte e di anti-arte: la bellezza del fiasco di Chianti e il Kitsch del canestro di vimini realizzato in plastica”.
Tuttavia Moles lascia una scappatoia: il ‘Kitsch a rovescio’, o per meglio precisare, la capacità di introdurre ed esaltare elementi celebrati o tipici del Kitsch in un contesto tuttavia estremamente raffinato:
“Un vero atteggiamento anti-Kitsch, in un universo tuttavia estetico, sarà quello del surrealista, che nella sua ricerca autonoma, guidata da un’etica precisa, si approprierà degli elementi Kitsch di uno spettacolo, di una situazione, di un insieme, per ‘riorganizzarli’ attraverso il pensiero. In un impulso veramente ‘creativo’ saprà collocare un teschio messicano di zucchero rosa su un foglio di carta nera, con un’operazione creativa e raffinata che è agli antipodi del pensiero Kitsch”.
A chi scrive viene in mente l’opera teatrale Rumori fuori scena, o l’opera di Almodovar, la scena finale delle valige di White oleander, e naturalmente il celebre ‘Indietro tutta’ e molta altra produzione, anche musicale, di Renzo Arbore. Indietro tutta
Infine c’è un altro anti-Kitsch:
“Possiamo infine considerare la ricerca ostinata, appassionata e riflessiva dell’ ‘estetologo’ o dell’ ‘antiquario’ che battono le campagne alla ricerca del ‘Kitsch degli altri’, del bell’oggetto Kitsch che potranno mettere nella loro collezione e valorizzare: essi studiano valori dei quali non partecipano in proprio e la loro stessa prossimità al fenomeno li immunizza necessariamente dal contagio”.
Possiamo presumere che Moles si senta collocato in questa ultima categoria. Chissà se il suo sistema di vaccinazione funziona davvero. Kitsch e movimenti artistici:
“[…]il Kitsch è soprattutto divulgatore e ripetitore: riducendo la trascendenza accresce l’accessibilità”
. Pop Art e Surrealismo hanno utilizzato stilemi o soggetti tipici del Kitsch, in opere destinate al microambiente degli intellettuali. Come già spiegato da Dorfles in Le oscillazioni del Gusto, arte d’élite e Kitsch si trovano in uno stato di simbiosi, attingendo di volta in volta una dall’altro in un circolo vizioso.
Moles sostiene, concludendo il suo saggio, come sia di importanza capitale svincolarsi dal Kitsch, dalla pittura leccata e dalla precisione fotografica, per arrivare a proiettare sul mondo dei valori.
Secondo Moles- e non gli si potrebbe dar torto- il Kitsch è l’arte del buonumore, e come tale è anti-arte, poiché l’arte nasce non già dalla perfetta serenità, pace, felicità, ma dalla tensione, e dallo sforzo (in questo senso il nostro Moles è decisamente eracliteo).
Con una provocazione degna di un romanzo tra il fantascientifico e il tragi-comico, Moles si chiede se il Kitsch non possa diventare la nostra nuova forma di arte universale, epigona del pensiero unico e della globalizzazione più spietata. I rimedi sono “l’ascetismo o la volontà creativa”.
Per un bagno regale
Affrontiamo dunque l’estetica del Kitsch nel giardino contemporaneo.
L’analisi formale dello stile Kitsch ci consente di affermare che alla base di ogni Kitsch c’è uno slittamento dal principio artistico-costruttivo all’effetto finale, una confusione tra valori psicologici e valori estetici, in cui il termine ‘psicologici’ indica sempre uno stato emotivo positivo, superficiale, edulcorato, fasullo (non quindi un autentico abbracciare la vita, ma solo una minima parte di essa).
Quando la psicologia del soggetto si identifica con i suoi beni –come sopra spiegato- ecco comparire infallibilmente il Kitsch-mensch. Quando il soggetto identifica la bellezza con il piacere che trae dai suoi beni, ecco comparire il Kitsch-mensch. Frasi tipiche che accompagnano questo atteggiamento sono ‘A me piace e questo mi basta’, ‘Io non ti dico cosa non mi piace del tuo giardino, perciò per favore sii altrettanto gentile con me’, ‘In questo giardino c’è tutta la sua personalità, e quindi dire che è brutto sarebbe un’offesa alla persona’ (con le parole di Wilde possiamo smentire chiarendo che l’arte deve svelare l’opera e celare l’autore ), o ancora ‘Ognuno dà un’impronta diversa alla sua vita, nessuno ha diritto di criticarla’.
La rinuncia alla critica –che è poi del tutto verbale e pro domo sua – a cui in privato seguono in genere maldicenze e vituperazioni in grande assortimento, è uno degli atteggiamenti più visibili del Kitsch-mensch. L’arte, quella vera, quella che proietta sul mondo i suoi valori, è letteralmente costruita dalla critica. Il detto ‘La bellezza è negli occhi di chi guarda’ dovrebbe mutare in ‘L’arte è negli occhi di chi guarda’. Siamo noi stessi a costruire l’arte, osservandola e giudicandola. Uno dei motivi per cui l’arte contemporanea è così poco compresa è proprio perché la ‘storicizzazione’ della critica è ancora molto giovane.
Questo slittamento tra principi psicologici ed emotivi e principi estetici è alla base del Kitsch ed è sempre vero per ogni sua manifestazione. Se il principio dell’arte è “fa’ un buon lavoro” quello del Kitsch è “fa’ un bel lavoro”. fior fiore d'anguriaTale è lo slittamento dei valori psicologici che si sovrappongono a quelli etici ed estetici, da indurre molti studiosi e critici a definire il Kitsch il “male assoluto” nell’arte. Quando a questo si affianca lo sfruttamento delle strutture formali dell’arte solo per il risparmio di tempo e danaro, allora non si tratta di una più o meno lecita fornitura di ‘panem et circensem’ per narcotizzare il pubblico, ma una vera e proprio truffa morale.
L’industria edilizia ha approfittato di principi etici validissimi come quelli del ‘existenz minimum’ di Le Corbusier, o quello di Wright della ‘natura dei materiali’ o di Loos ‘ogni ornamento è delitto’, per costruire rispettivamente case più scomode e piccole, con materiali meno pregiati e duraturi e con aspetto squallido e senza spirito per risparmiare sulla manodopera. Questo non è Kitsch: questo è un crimine ai danni della società dell’Uomo.
Nel giardinaggio lo slittamento dal principio all’effetto è –come per ogni altra arte- multiforme.
Intanto chiariamo subito una cosa: quando un’opera d’arte è ‘fasulla’, lo si vede subito. Quando un giardino è costruito con il solo intento di stupire e di affascinare per le sue collezioni o rarità botaniche, accostamenti di colori, di catturare il visitatore in un viaggio che premia solo il lato psicologico, senza poi lasciargli nulla, si vede. Quando un giardino è fatto solo per ‘tirare su visite’, si vede. Quando di un giardino è raffazzonato, con poche zone curate e “fotografabili”, si vede. Quando un giardino è fatto da un ego ipertrofico che ha solo bisogno di sentirsi investito del titolo di ‘genio’, si vede.
Altrettanto bene si vede quando un giardino è concepito per imitazione pedissequa di altri modelli dovuta alla mancanza di inventiva e originalità.
Mara Miller in Garden as an Art sostiene che non esistono falsi in giardino. Quanto di più errato! Attualmente in circolazione ci sono più falsi che autentici.
Questi giardini finiscono per essere invariabilmente Kitsch, poiché chi li concepisce abdica al ragionamento con la propria testa. ‘Si fa ragionare il giardino’ da una rivista, magari estera, e lo riproduce a casa sua, in scala. Un giardino-Lego, un Colosseo ridotto a portacenere. Abbiamo qui uno degli elementi formali tipici del Kitsch: un camuffamento della funzione e delle forme, della destinazione d’uso, e –cosa che riguarda esclusivamente il giardino- della vocazione del luogo, altrimenti noto come genius loci. Giardino da asporto (Medorra artwork)Grazie a vivai, internet, forum, cataloghi, le piante sono diventate così alla portata di tutti da essere servite su un menù praticamente infinito dal quale ‘l’avventore’, anche esperto, può attingere come gli aggrada (portafoglio permettendo) e comporre così un giardino che tende sempre più ad essere globalizzato, standardizzato, ripetuto in mille declinazioni diverse eppur eguali. Fatto insomma ‘con lo stampino’.
Ne sono un perfetto esempio le villette a schiera che sembrano tutte uguali: la stessa casa ripetuta ossessivamente tra viali alberati e quartieri residenziali, come in un gioco di specchi. brodura mistaLa matrice di questo cliché è lo stile anglosassone in genere e la tanto osannata bordura all’inglese in particolare. La bordura inglese, vecchio golem del giardinaggio occidentale, nasce dalle istanze di rinnovamento e di riscoperta della natura libera e un po’ selvatica proposte da William Robinson, ma arriva al suo compimento formale e sociale con l’incrementarsi dei vivai e delle vendite tramite catalogo e dunque con la piena disponibilità per tutti (o quasi) di un numero pressoché infinito di piante.
Oltre essa, nelle sue numerose varianti più o meno cottagesche, oudolfeggianti o tropicaleggianti, sembra che il giardino non possa neanche essere concepito. Nel corso della sua lunga esistenza, la bordura inglese ha –con esiti a dire il vero molto altalenanti- posto l’accento su una pratica fine a se stessa, e soprattutto chiusa in se stessa, mero risultato da far osservare al proprio ‘pubblico’ da cui ricevere gli applausi per la nostra bravura.
‘Fa’ un bel lavoro (perché gli altri lo ammirino)’ è ciò che viene chiesto alla bordura inglese. La bellezza, la venustas, fine a se stessa, è equivalente al calendario dei Carabinieri: perfettamente disegnato e perfettamente inutile (come già ammonisce Moles). Anzi, non è più venustas ma un’altra cosa, superficialità priva di vero valore estetico proiettato nel mondo, è –appunto- solo buonumore insufflato all’osservatore. E’ l’estrema rinuncia al pensiero individuale e l’accoglimento supino di ogni sollecitazione consumistica proposta dalle riviste o dai ‘connoisseur’.
In sintesi, la bordura all’inglese sostituisce ad un principio estetico un effetto materiale, dunque sull’effetto basa il suo principio.
Il Kitsch dei nanetti è per così dire ‘storico’, classicizzato, tanto da essere rispuntato fuori nelle riviste di design. E’ quasi innocuo tanto è stato assorbito dalla nostra estetica sociale.
Il Kitsch pericoloso è quello proveniente dalle nuove sollecitazioni del mercato e dell’industria dell’informazione. Tutto ciò che usa un principio etico e lo impiega al solo beneficio del commercio è il vero Kitsch, il vero “male dell’arte”. Quindi non solo brutto, ma anche e soprattutto ‘cattivo’ ed anche controproducente, anticulturale.
Ad esempio i giardini privati, privatissimi, piccoli cortili di fianco alla casa, considerati dai proprietari santuario e tempio del relax e del riposo. Terrazzini minuscoli, adorati dai loro possessori e considerati regno e teatro delle proprie emozioni individuali, nonostante siano spesso arredati con sedie di plastica e abitati da piante più che dozzinali e magari mal tenute.
Peggio ancora quei giardini ritenuti così esclusivi da essere visitabili solo dietro intercessione di famosi personaggi della cultura o del jet set dell’ alta società o di qualche giornalista titolata la quale provvederà a farne un articolo di dodici pagine sulla sua rivista. Orto giardino eclettico e musicale (sinestesia)Kitsch saranno gli orti-giardino in città o sul balcone, coltivati da chi desideri illudersi di ritrovare la campagna, magari piantando zucchette ornamentali e lattughine più o meno colorate, per essere ecologici ed ecosostenibili. Pazienza se poi le zucchette marciranno e se i pomodori non fruttificano: l’importante è averli per essere ‘trendy’.
Kitsch sono le ‘bugie da pescatore’ su come si ha costruito il proprio giardino. Bugie subito smascherate e buone solo per tirar su un articolo o vendere un libro. Orto in fiore di DiorKitsch sono alcuni blog o riviste che propongono i fiori come sterile simbolismo grafico, come patina superficiale di un lusso del tutto avulso dal giardino, che –come ci ha già avvertito Moles- soddisfa i criteri della moralità estetica borghese. eco-verde-bioKitsch sono quelle riviste che pubblicizzano mobili, ancora una volta non mobili qualunque, ma mobili di ‘design’, associandoli a dei fiori, o ad un colore particolare. In questo senso niente è più triste delle sfilate di poltrone azzurre tra lobelie messe all’ingrasso. Finto antico in bella mostraKitsch sarà il ripostiglio degli attrezzi dipinto in rosa e verde salvia, con i vasi tinti di bianco e i girasoli ormonizzati alla finestrina, tetra e romantica messa in scena di un passato agreste e ‘country’ che insieme alla bellezza dei cottage georgiani produceva sfruttamento, calli alle mani e morti per fame, freddo e malattie.
Sono criminalmente Kitsch quegli scrittori-guru che proclamano l’assoluta indifferenza se il petrolio dovesse finire, perché tanto loro vanno su in montagna a raccogliere legna, indice di assoluta mancanza di conoscenza di come il sistema ecologico terrestre è unico e non frazionato per individuo.
Kitsch è lo Shabby Chic totale, perché a differenza del vicino stile country, non privilegia la qualità, la durevolezza, le proprietà dei materiali, ma le imbelletta sotto un cerone bianco cimiteriale.
Kitsch sono i manualetti di materiale raccogliticcio, composti secondo un “astratto vangelo di regole fatto tutto di infiniti e imperativi”, come diceva Pizzetti. Altrettanto Kitsch sono tutti quei manualoni colorati su come avere il balcone fiorito tutto l’anno senza rovinarsi lo smalto delle unghie o smagliarsi i collant. Kitsch saranno quelle riviste che propongono soluzioni ‘facili’ per questo o quello. Kitsch sono tutti gli agriturismi che mi sia capitato di vedere, in quanto il giardino è relegato a fare da sfondo ad un’altra attività. Turpemente Kitsch sono i giardini dei ristoranti, con orci coricati e rotti a bella posta, con qualche asfittica agavina che vi cresce dentro, i sassi di ‘spugna aliena’ e il roccioso con le cactacee. Belli e buoni!Altrettanto Kitsch sono i piatti ‘belli e buoni’, le frittatine alla lavanda, le uova fritte alle pansè, l’agretto ai nasturzi, in cui i fiori sono letteralmente un ‘contorno’ di un altro atto che è quello dell’alimentarsi.
Kitsch è il ritorno all’antico, che poi diventa inevitabilmente ‘finto antico’ proposto da un boom di aziende e vivai che offrono ‘soluzioni per ogni problema’ (cfr. Baudrillard). Le 'onde' di HummeloKitsch è la diffusa idolatria sulle tecniche e i progetti dei ‘grandi’ maestri, dei ‘guru’, locali o internazionali, poiché conduce all’ottundimento della capacità critica. Questo accade spesso in quei luoghi dove è scarsa la conoscenza e l’autocoscienza artistica, o in quelle sedi fortemente vincolate ad associazioni e accademismi soffocanti.
Sono inevitabilmente Kitsch i guerriglieri verdi, o ‘Green Guerrillas’, che nelle più che sopite cittadine di provincia diventano solo moda che trascende i nobili valori da cui questo movimento trae i natali.
Kitsch sono alcuni siti che offrono riposte pronte per ogni domanda, anche la più assurda e improbabile, come fossero panini sfornati da un MacDonald’s.
Oggi le riviste si sono appropriate si una strategia ben studiata: i principi ecologisti usati come esca per i grulli, il riciclaggio tramite tecniche elaborate, più inquinante dell’acquisto di un oggetto nuovo, i rimedi casalinghi, le ricette della nonna. Tutto questo è Kitsch moderno, il lato corrotto del giardinaggio.
Spacciare le piante per oggetti di consumo resistenti ad ogni vessazione, colorarle, decolorarle, arricciarle, intrecciarle, o utilizzarle come soprammobili per appenderci sopra diamantini e brillanti (slittamento di funzione).
Questo è il “male oscuro” del giardinaggio contemporaneo italiano. Niente a che vedere coi nanetti.
Il Kitsch è una caratteristica ormai acquisita dell’arte moderna: è un po’ dappertutto, che ce ne accorgiamo oppure no. Ovunque ci sia arte, il Kitsch la segue come un’ombra di morte. Analizzando le nostre case, i nostri oggetti, vi troveremo senza dubbio qualcosa di Kitsch, il che non vuol dire che siamo dei Kitsch-mensch, ma semplicemente vittime occasionali del consumismo massificato.
La domanda, a questo punto, per chi ha avuto la pazienza di seguire il lunghissimo articolo, sorge spontanea: dobbiamo quindi auspicare un ritorno all’epoca pre-industriale in un impeto di decrescita?
Niente affatto, la risposta non è nel passato, ma nel futuro. La rivolta, lecita ed auspicabile, contro il merchandising, contro la società industriale, l’asservimento all’industria da parte di designer più o meno prezzolati, contro gli accademismi, deve essere compiuta nella piena coscienza di una lotta che dia all’uomo la sua autonomia culturale a tutti i livelli. In pratica per restituirgli la giusta dimensione tra arte e vita. Questo implica uno sforzo di volontà, di studio e di conoscenza. Sforzo a cui al giardino, in Italia, viene negata legittimità in virtù del suo declassamento da arte ad hobby.
Ognuno scelga la sua via per appropriarsi della piena coscienza di ciò che accade e agisca di conseguenza. Questo risultato può essere ottenuto esercitando con responsabilità il proprio senso critico, l’osservazione di ciò che ci circonda, una analisi serrata e non faziosa degli elementi sociali, politi, economici che prendono parte ai processi culturali e artistici.
La via del giardino è molto più impervia di quanto non si creda. Chi la fa facile, romantica e “insufflata di serenità”, vi porta fuori strada.
Bibliografia
Norbert Elias La moda
Pierre Bourdieu La distinzione .Critica sociale del gusto
Thorstein Veblen L’agiatezza vistosa
Bruno Sanguanini Nanetti&Giardini. Microcultura di un pop europeo
«Gardenia»
«Giardinantico»
«Casafacile»
L’orto di Michelle (blog)
Dwight MacDonald Masscult e Midcult
Jean Baudrillard Il sistema degli oggetti
Enciclopedia del Novecento, voce “Kitsch”
Gillo Dorfles Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto
Gillo Dorfles Le oscillazioni del gusto
Abraham A. Moles L’art du Bonheur
Charles Quest-Ritson The English garden: a social history
Zygmunt Bauman La società sotto assedio
Valerio Merlo Voglia di campagna. Neoruralismo e città
Russel Page L’educazione di un giardiniere
Mara Miller Garden as an art
Yahoo Answers
Francesco Poli Il sistema dell’arte contemporaneaqui c’è un buon articolo Masscult_e_midcult
L’autrice tiene a ringraziare Alessandro Salvalaio per l’aiuto prestatole
Salve qui Donato Zoppo,
siamo lieti di segnalarvi un importante evento che il prof. Claudio Sottocornola terrà a Siderno il prossimo 5 agosto,
vogliate prenderne nota e segnalarlo sulle vostre testate,
grazie e buon lavoro:
Nella Locride un suggestivo appuntamento con le opere e la multimedialità del
‘filosofo del pop’: la nuova trilogia, la mostra di collage aperta fino al 31
agosto e una proposta di canzoni dal vivo
Il sacro e il simbolo con Claudio Sottocornola: il 5 agosto a Siderno!
Claudio Sottocornola
presenta: Il pane e i pesci
Velar Edizione 2011
—
Inaugurazione della Mostra di Collage
“80/Eighties (laudes creaturarum ’81)”
Venerdì 5 agosto alle ore 17.00 alla Libreria Mondadori di Siderno (RC) un nuovo appuntamento con Claudio Sottocornola: ancora una volta il periodo estivo del
professore e artista lombardo è una rinnovata occasione per presentare le sue recenti produzioni e da anni la Locride è una delle sue mete preferite per l’affetto e la curiosità che raccolgono le sue presentazioni. Claudio Sottocornola presenterà la trilogia Il pane e i pesci, che raccoglie scritti dal 1980 al 2010, in cui l’autore scandaglia le diverse facce ed evoluzioni della
spiritualità contemporanea, nel tessuto delle relazioni di un quartiere urbano e nel più vasto mondo, con particolare attenzione al decennio degli anni ’80.
Il primo saggio La spiritualità eucaristica di Charles de Foucauld nella sua vita propone una rilettura della straordinaria avventura spirituale del mistico ed esploratore francese, illuminandone alcuni aspetti come il fascino giovanile per l’Islam, il rapporto di amicizia spirituale per la cugina Marie de Bondy, la intensa elaborazione di una “spiritualità di Nazareth”.
Il secondo volume Scritti cristiani per la gente di Colognola è un’antologia di articoli scritti
fra il 1983 e il 1994 per L’Angelo in Famiglia, con particolare riferimento al territorio del quartiere di Colognola in Bergamo, di cui si testimoniano e decifrano le esperienze di volontariato e la sociologia del religioso, con abbondanti riflessioni a carattere ecclesiologico.
Infine Scritti spirituali giovanili, citazioni, appunti, aforismi propone un itinerario di formazione dal 1980 al 2010, di impianto quasi diaristico, ove all’evoluzione personale l’autore accompagna l’elaborazione di categorie teologiche sempre più in dialogo con le culture e le esperienze del contemporaneo. E’ il volumetto introduttivo alla trilogia, My status quaestionis 2010, a fare il punto della situazione e a
inquadrare il senso dell’intero percorso, come rimarca Claudio Sottocornola:
Non si dà tanto questione di essere o no credenti, ma di quale natura sia la
propria fede. Ciascuno – alla fine – trascende il proprio io empirico e si dedica a qualcosa che va oltre la mera individualità…
Claudio Sottocornola inaugurerà anche la Mostra di Collage 80/Eighties (laudes creaturarum ’81) – che resterà aperta fino al31 agosto – con la sua interpretazione di canzoni d’autore, da Franco Battiato a Gianna Nannini, da
Rita Pavone a Ben E. King. Il sacro e il simbolo saranno i fili conduttori della performance che si inserisce in modo trasversale alla proposta editoriale, con le immagini della mostra e la musica stessa. Efficaci le parole di Agostino
Bacchi: “Credo che poche persone abbiano cercato un loro personale percorso espressivo con tanta intensità, con così bruciante fervore come ha fatto Claudio Sottocornola. Da sempre […] egli ha cercato di dare una forma misterica ai
suoi messaggi dell’anima. Lo ha fatto sia per mezzo dell’espressione visiva, sia con la parola scritta, che attraverso la musica ed il canto. Come filosofo,
intende l’arte come suprema categoria dello spirito e, come tale, ricerca costante dello strumento comunicativo più adeguato. I suoi recital mi danno l’impressione del canto e del gesto misterico e mistico dello sciamano guaritore. Musica, canto, gesto, forma, colore per comunicare stati d’animo, cultura, poesia…”.
Docente di Storia e Filosofia, critico e interprete del popular, poeta, artista visivo e giornalista. Ha fatto di un approccio olistico e interdisciplinare al sapere la sua personale metodologia di espressione e ricerca.
"Quando guardiamo il cielo di notte ci soffermiamo ad ammirare le stelle a caso senza seguire uno schema.. lasciamo che la nostra fantasia si perda in questo immenso soffitto brulicante di luci... una stella grande.. qualcuna piccola.. un'altra azzurra ed una rossa! Luci lontane che forse ora non esistono neanche più.. eppure sono lì le guardiamo ogni sera quando le nuvole ce lo permettono.. luci che continuano a brillare .. a vivere.. che continuano a farci sognare! Questo BLOG vuole essere uno spazio semplice, senza pretese, uno spazio dove antichi sorrisi e sguardi continuano a brillare come stelle... semplicemente continuano a vivere nell'immenso cielo della rete." (Domenico Nardozza)