Mixed border excusatio non petita

A parte qualche raro numero, “Rosanova” mi dà sempre intensi spunti di intensa riflessione.
Questo in particolare (n°24, aprile 2011) sembra una excusatio non petita del mixed border, o bordura mista, nota su questi schermi con l’epiteto di brodura mista.
Perchè mai le alte sfere si preoccupano di tirare fuori la brodura mista dagli impicci in cui inevitabilmente, per la sua conformazione strutturale, si sarebbe prima o poi cacciata?
Il giardinaggio è lento a muoversi, le mode si succedono in modo dilatato per via della materia con cui son fatti i giardini: le piante, che s’accrescono con lentezza e possono essere sostituite da altre più alla moda a prezzo di grandi esborsi di danaro. Senza contare che dietro al giardino vien quasi sempre una casa o un edificio, come dietro ad una palla viene sempre un bambino. Mettersi a spostare i muri è un’attività costosa.
Insomma, un giardino è “per sempre”, come un diamante, un condono edilizio e la cellulite? Può darsi. I vecchi giardini dimostrano marcatamente questo carattere, come accettano più disinvoltura le sovrapposizioni stilistiche (Villa d’Este è l’esempio classico che si porta in questi casi: vai a fare i baffi ad un quadro meno vecchio della Gioconda…).
E’ anche per questo che i nuovi paesaggisti si muovono su linee completamente diverse: progetti preferibilmente “pronto-effetto” (o se non pronto, almeno rapido), stilismi individualizzati che evidenziano una “firma” personale (le graminacee per Oudolf, le curve concentriche per Jencks, il fogliame spadiforme e i colori squillanti per Lloyd …), che rendano quella realizzazione perfettamente riconoscibile anche al mezzo-profano, che vi appiccica il suffisso iano (oudolfiano, jencksiano, clémentiano, lloydiano, blanchiano, e alla via così).
Il suffisso iano rende contenti tutti:1) l’architetto che si fa riconoscere e che si mette al riparo da eventuali copie o tramite il quale imprintizza eventuali epigoni o sinopisti 2) l’amministrazione o il comune o l’ente che ha pagato i soldi per quella realizzazione, poichè quel iano ai suoi occhi è sinonimo di “qualità” e c’è una folta schiera di pubblico votante attento alla “qualità” 3)il pubblico stesso, a cui è garantito, a mezzo firma, di star passeggiando attraverso se non un’opera d’arte, almeno a qualcosa che vi si avvicini 4)i giornalisti, che a quel iano s’attaccano come ad una mammella per spremerla fin quanto è possibile, costruendoci sopra articoli di costume, infographics, newslines, indirizzando l’opinione pubblica e cercare di mettersi alla testa del lungo corteo degli ecologisti 4)la critica, che del iano fa oggetto di riflessione estetica e lo storicizza all’interno del percorso artistico in cui si è evoluto.

L’articolo “Un’inarrestabile creatività” pubblicato a pag.25 a firma dell’abituale Giubbini, con un corredo fotografico dubbio (sulle cui mancanze già l’autore del pezzo si scusa, a parer mio non adeguatamente), e che non fa certo onore alle grazie del giardino, parte proprio con un lead storico per inquadrare l’arrivo della bordura mista in Italia. Gli articoli di Pizzetti, i pochi vivaisti specializzati, le traduzioni dei grandi testi inglesi, le fiere di giardinaggio.
Sia ben chiaro che la domanda di piante in Italia non nasce dagli articoli di Ippolito Pizzetti, ma dall’entrata del mercato italiano nella rete di quello europeo e globale, di cui questi ed altri articoli non sono che una manifestazione sensibile.
Il resto lo conosciamo un po’ tutti, dalle raccolte a fascicoli, ai primi vivai anche in piccoli centri periferici, ai castighi meridiani e post-prandiali degli infliggimenti di consigli ecologici da parte di personaggi di dubbia sanità mentale, come Luca Sardella e Luigi Carcone.

“A questo punto mi aspetto le consuete obiezioni-dice Giubbini-Che senso ha copiare un modello, quello inglese, con cento e più anni di ritardo?Che senso ha trasferire un modello straniero in un ambiente e in un clima e con una storia così diversi? E non si tratta di un fenomeno elitario, di nicchia, che infatti sinora non è riuscito a smuovere la situazione del giardino italiano nel suo insieme, che rimane ancora oggi, a dir poco, miseranda?
Non credo che queste obiezioni abbiano un senso.”

Tuttavia per prevenirne altre, spiega:

“Il modello del giardino inglese, quale è stato elaborato da Robinson, dalla Jekyll e dalle Arts and Craft, non è soltanto il prodotto di un determinato momento storico-la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, cioè il liberty e il déco per intenderci-, ma un’acquisizione permanente della storia del giardino, allo stesso modo del giardino formale o del landscape garden. Si è trattato non solo di uno stile o gusto o moda del momento, ma di un nuovo corso del giardino moderno, con cui in ogni caso bisogna fare i conti. Inoltre, proprio perchè si è trattato di una nuova struttura linguistica (io avrei usato la parola “sintattica”) e non solo di uno stile o di una moda, il giardino inglese può applicarsi a qualsiasi situazione, anche la più diversa (climaticamente e storicamente) rispetto a quella originaria. Infine, il carattere ancora elitario della pratica del giardino, almeno da noi, è solo una tappa obbligata sulla via di una (ragionevolmente possibile e probabile) estensione ed elevazione del gusto.

Bravo, ci hai quasi convinti.

Personalmente dubito fortemente che il giardino inglese possa adattarsi a qualsiasi luogo (climaticamente magari sì, storicamente no). Questa è una balla grande quanto Nettuno. Ci sono luoghi che griderebbero disperati se sui loro suoli venisse realizzata anche la più sofisticata bordura inglese.

La bordura inglese ieri è stata un linguaggio dell’arte del giardino, e lo è ancor oggi in mano di pochi fortunati (pochi, molto pochi fortunati).
Se questo è vero-come è vero- non significa che essa sia la summa del giardinaggio e che oltre vi sia scritto Hic Sunt Leones. Che un giardino non sia tale per i suoi accostamenti di piante e giochi di colori. Come è finito il dinosauro, come è finito il comunismo, finirà la bordura inglese: come un episodio della storia, da studiare, archiviare e da cui imparare per procedere oltre, altrimenti non sarebbe forse “velato populismo” il voler tornare indietro o peggio restare dove siamo? Non bisogna chiedersi cosa è stata la bordura inglese per la storia del giardino, quello è il passato: bisogna guardare alla bordura oggi e a quello che di negativo comporta nell’intendere la pratica orticola e la filosofia del giardino. Il semplice fatto di non farlo è una quiescenza sospetta.

Oggi la bordura inglese, nel migliore dei casi, non è altro che una tela prestampata con numerini per i colori, buona per ragazzine che non vogliono sbagliare.
Non è una tappa obbligata, tecnicamente, intendo. Se lo è per lo storico, non lo è affatto per il giardiniere. Non è affatto necessario imparare a dipingere copiando Poussin anzichè Michelangelo: si può imparare a disegnare anche imparando a copiare due bicchieri e una brocca, un albero, una casa, o il proprio gatto, o un vaso di fiori. L’importante è -di solito- avere un buon insegnante.
La bordura inglese non è una tappa da bruciare, non è neanche una tappa, come non lo sono il giardino formale o il landscape gardening.

La bordura inglese inoltre contiene al suo interno due marcate forme di antisocialità che io non ammetto in nessun grado:
la prima è l’esclusività, il mondo elitario nel quale dopo un po’ -quando si inizia a conoscere un buon numero di piante- volenti o nolenti, si inizia a veleggiare. Esclusività ed elitarietà veicolate dalle riviste che non fanno proprio nulla, ma ripeto nulla, per una sincera “elevazione del gusto”, anzi, mantengono questi giardini enclave riservati a pochi intimi, in genere facoltosi.

La seconda cosa che non ammetto della bordura inglese è il suo dimenare il didietro a seconda delle mode e alle piante più in auge del momento. Si può affermare con una certa sicurezza che questo polimorfismo sintattico, per parafrasare Giubbini, sia spinto dalle esigenze del mercato, che ci fanno apprezzare l’Oudolfiano quando vogliono venderci le graminacee, l’Austiniano, se vogliono che compriamo rose inglesi, il blanchiano se invece ci vogliono ad ogni costo irretire con quegli assurdi muri verdi.

Per non parlare delle reali brodure che combinano fatui giovani ritenendosi già saggi, che pur di non rinunciare alla piantina al vivaio fanno a meno dell’abbonamento per i giga (no, ho sbagliato esempio: diciamo che comprano una sottomarca di croccantini per i loro gatteeney).

La bordura inglese è insomma una caricatura di quello che è stata in passato, e come se ciò non bastasse non possiamo fare a meno di citare l’articolo, sempre di Giubbini, sul numero di Luglio 2009: Le jardin Plume (ancora sul concetto di copia) in cui il Nostro ci fa una testa così sulla copia e ci dice che quando dell’originale non si comprendono neanche più le strutture formali, entriamo nel campo del Kitsch (il che è vero, ma solo in parte).

La domanda tuttavia rimane irrisolta: perchè le alte sfere si muovono per difendere una struttura formale che nel tempo ha cacciato fuori tanti di quei difetti da essere ormai pronta per la demolizione e il passaggio ad un nuovo concetto di giardinaggio, meno improntato sull’esclusivismo, sull’individualismo, sull’effetto superficiale?

L’amara risposta, amici, è che si deve pur vivere.

Valore di esposizione

Walter Benjamin (che qualcuno definì un “imbucato” della filosofia) propose di aggiungere al “valore d’uso” e al “valore di scambio” della merce quello di “esposizione”. Nei Passages codifica la regola secondo cui una merce acquista valore aggiunto per il semplice fatto di essere esposta.

Etica della bordura inglese

09/22/08
Etica della bordura inglese
Filed under: Giardinaggio e natura, Arte ed Estetica
Posted by: Lidia @ 2:44 pm

Nel tempo ho maturato un certo scetticismo nei confronti della bordura all’inglese, che anni fa sembrava anche a me il vertice ultimo delle aspirazioni giardinicole.
La bordura all’inglese, codificata così com’è oggi, trova le sue basi
culturali ed estetiche nell’Idealismo Romantico, periodo in cui sono
sedimentate le radici della moderna cultura Occidentale. Colin
Campbell fa risalire proprio al Romanticismo la nascita dell’ideologia
consumista, e se tanto mi dà tanto, posso tranquillamente spingermi abbastanza in là da dire che la bordura mista è l’incarnazione del consumismo sfrenato della società moderna, e che solo raramente riesce ad ottenere significativi livelli estetici.

La bordura mista è un po’ come una collezione di quadri, nella quale il collezionista si rispecchia e si ritrova, si autogratifica con la continua ricerca di qualcosa al quale tende ed a cui non può e non vuole giungere, mette una croce sulla pianta appena conquistata, per mirare direttamente alla successiva, nell’illusione che questo compensi la propria mortalità. In poche parole, crea il (falso) mito della “sua” personalità, tant’è che non sono rare le frasi del tipo:
“Difficilmente gli altri possono comprendere il mio modo di fare
giardinaggio”.
Questo produce un solipsismo estetico che non è né più né meno che il frutto della società moderna, basata sull’economia capitalista-liberista, in cui i valori comunitari sono completamente spazzati via. Il giardinaggio, come la vita, viene vissuto con un atteggiamento “distaccato”, isolato, che non vuole più chiedere né ricevere nulla dalla comunità.
Come ebbero a dire Pountain e Robins: “[…]la mentalità “distaccata” è incentrata principalmente sul consumo. Questo è il “cemento” che sana tale stupefacente contraddizione; essere “distaccati” è il modo di vivere con minori aspettative andando a fare shopping[…]. Il gusto personale viene elevato a vero e proprio ethos: sei quel che ti piace e che perciò compri.”

Ed è proprio a questo punto, alla parola “compri” che si inserisce la longa manus delle riviste di giardinaggio, a sua volta mezzo d’azione delle multinazionali del florovivaismo.

2 Responses to “Etica della bordura inglese”
1. Alessandro Says:
September 29th, 2008 at 4:14 pm e
Povera Bordura inglese verrebbe da dire. Lidia non ti viene mai in mente, che anche la povera Bordura inglese sia caduta nel tranello del consumismo e della moda di oggi? Che sia caduta anche lei nell’inganno e ora si ritrova ad essere da te così giudicata? Può essere che la causa in fondo sia da cercare in questo periodo consumistico del nostro mondo occidentale, che ha finito per snaturare la geniale idea della bordura inglese? In fondo anche il Giardino alla “giapponese” ha questo rischio. O perlomeno l’elaborazione di questo, che sempre più spesso vediamo nei sempre più piccoli giardini delle sempre più piccole case di oggi. Basta un acero rosso e della ghiaia bianca con qualche ciottolo più scuro e si ottiene un’esecuzione assai accattivante, per chi vuole farsi un giardino diverso dalla trita e ritrita bordura. Non trovi? E quali motivazioni ci vedi in questo, se non ancora una volta il consumo e la conferma della propria persona attraverso di esso. E allora giudicheresti negativamente anche il giardino giapponese? Che allora si debba puntare il dito su questo periodo e sia invece da riconsiderare tutti gli “stili” in base alla loro forza reale, isolandoli dal consumo che se ne fa di questi? Forse si. In fondo ci saranno dei buoni esempi di sana e buona Bordura inglese.
2. Lidia Says:
September 30th, 2008 at 12:17 pm e
Domanda che richiede una lunga risposta: sì, certo che mi è venuto in mente che la bordura all’inglese sia vittima del moderno consumismo. E’ nata così proprio perchè i suoi canoni stilistici sono stati coniati proprio nel periodo in cui si affermavano le basi del consumismo moderno. E’ anche lei frutto del suo tempo. Ma io leggo il giardinaggio come qualcosa che -al pari di tutte le altre arti- si porta dietro delle implicazioni morali, etiche, sociali, anche politiche, se vogliamo. Detesto la società consumistica di matrice neo-liberista che ha portato allo smantellamento della comunità sociale protezionista e protettiva, che ha distrutto in poche parole, tutte le mie speranze e le mie illusioni. Detesto anche la gente che si chiude nel ridicolo mito di se stessa. Detesto gli ignoranti e i borghesi senza sensibilità artistica, che dileggiano chi ce l’ha e se la tiene ben stretta. Tutto questo trova la sua incarnazione nella bordura inglese, perchè è la bordura inglese ad essere privilegiata dalle riviste, proprio per la sua qualità consumistica. Non mi piace perchè sembra il vertice ultimo del raggiungimento della tecnica. Non mi piace perchè è basata quasi esclusivamente sulla tecnica, e solo alcuni progettisti, come Oudolf e Lloyd la usano con sinceri intendimenti artistici. Non mi piace perchè blocca il giardinaggio al problema tecnico, che è invece solo una parte del problema.
Riguardo al giardino giapponese: il giardino col sasso, la ghiaia e l’acero, fatto a Bergamo o a Novara, non può che essere solo una ingenua imitazione di uno stile nobilissimo ed elevatissimo, che gli occidentali non possiamo neanche sperare di comprendere pienamente. Si tratta semplicemente di una moda, e delle peggiori, che segue la scia della new age e della mania del buddismo e dello zen, che gli occidentali, ed in particolare gli Italiani, dotati di quasi zero cultura artistica, si limitano a copiare pedissequamente. E’ come paragonare un posacenere col Colosseo.