Il mithos fondativo di Lavinia Taverna

Un blog è un blog: una recensione di un libro può essere di “pancia” e personalissima. Mi sento quindi autorizzata nel recensire a mio modo la riedizione del libro di Lavinia Taverna Un giardino mediterraneo.

Il vecchio testo del 1982

Il libro di Taverna è stato per tantissimo tempo fuori catalogo. Introvabile già quando ero alle prime armi, anche su siti “potentissimi” come AbeBooks. In precedenza era stato pubblicato da Rizzoli nella celebre collana “L’Ornitorinco” diretta da Pizzetti, che ne fece a suo tempo l’introduzione.
Quest’anno la Pendragon, casa editrice che ormai ha al suo attivo una solida esperienza con i giardini, ha deciso di ripubblicarlo, cosa per cui si merita la mia personale gratitudine, come credo di tutti coloro che non sono mai riusciti a trovarlo o leggerlo.
Per dovere di cronaca ne dico i difetti subito subito, così ce li togliamo dai piedi: 1)copertina amorfa, generica e non particolarmente gradevole o attrattiva, leggermente sfuocata, mal ritoccata. Grossa pecca nella confezione del libro. Tuttavia vedo dalla rete che la copertina dev’essere stata cambiata in una successiva ristampa: ottimo. 2) Mancanza di un’introduzione che riepilogasse la storia del volume, del suo successo editoriale e della sua scomparsa dalle librerie, che raccontasse la figura della Marchesa, della sua amicizia con Pizzetti e Page, della sua influenza sullo stile italiano di molti giardini contemporanei. 3) La mancanza di una postfazione dedicata ai Giardini della Landriana, dai suoi fasti al suo innegabile decadimento, fino ad arrivare alla Fiera omonima e ai suoi molteplici aspetti.

Quante me ne hai combinate!

Per il resto ho solo una cosa da dire: ho capito quanto sia stato importante questo libro per me, pur non avendolo mai letto, solo adesso, appunto, leggendolo. Su questo libro si appoggia il mithos fondativo che alimenta la mia storia di giardiniere e buona parte di quella di essere umano. Questo tanto per dire di che potere sia animato questo libro, che ha influenzato le giovani leve del giardinaggio italiano che magari non ne conoscono neanche l’esistenza.

Il giardino della Landriana e l’ormai mitizzata figura della Marchesa Taverna sono stati una sorta di iniziazione viatica per me, e mi hanno accompagnato per molti anni, e mi accompagnano ancor oggi. Molte delle persone che ho conosciuto e conosco hanno gravitato nella sfera della Marchesa: Sandra, direttrice dei giardini, che ho conosciuto sotto lo pseudonimo di Alahambra, che oggi è la proprietaria del forum di CdG. Quando seppi che era lei la responsabile dei giardini ne fui immensamente colpita, perchè allora ero giovane e implume, non mi riusciva di capire che il mondo del giardinaggio è in fondo molto piccolo, e non pensavo di poter arrivare a conoscere un personaggio così in vista. Lucilla, amica della Marchesa, che ne vede ogni tanto lo spirito, o forse immagina di vederlo, soprattutto nelle serate con la luna.
Gabri, che del giardino della Landriana ha preso a modello molti aspetti, rimaneggiandoli poi secondo il suo gusto personale. Gabri che cucina, fa la marmellata di cipolle di Tropea e accudisce i nipoti teneramente.
Maurizio, cioè Noor, l’ispiratore di tutto il mio mondo giardinicolo, e mia musa. Amico, nemico, ostacolo o spalla su cui piangere, confidente, affinità elettiva, amico tra gli amici, con il quale ci siamo accapigliati, scontrati, schiaffeggiati, dato la morte civile, per poi riprenderci, ritrovarci, ridarci sberle, parlare per ore al telefono, tenerci il muso, mandarsi sms. Per me Noor è -e sarà sempre- l’incarnazione stessa del giardino, e del mio amore per esso. Racchiude in sé, come giardiniere e come persona, tutti i misteri, le contraddizioni del giardinaggio e del fare i giardini, le domande senza risposta di cui sono da anni sulle tracce. Per lui ho dei sentimenti che vanno al di là della semplice amicizia e della collaborazione professionale, sentimenti più accomunabili alla fratellanza, alla geminità. Noor ama molto la Landriana, e l’ha sempre evocata come spirito di perfezione e ispirazione. Quando da giovanissimo approdò sul forum di Giardinaggio.it, capii subito che era fatto di una pasta diversa, di quell’amalgama speciale che il padreterno tira fori solo ogni tanto dal suo fuoco creativo. Diamante, gomma arabica e ardesia, poco zucchero.
Noor possedeva quel libro nell’edizione Rizzoli, lo lesse e Lavinia lo imprintizzò. Noor ha poi imprintizzato me e molti altri nel forum, sia in G.it che in CdG. Fu così tramite della lezione di Lavinia Taverna presso i due più importanti forum italiani. Certo non è stato solo per questo che la lezione di Lavinia è arrivata ovunque, in Italia, dove ci fossero le condizioni climatiche ed economiche perchè si sviluppasse un giardino di tenore stilistico elevato. Altri libri, guide, articoli, gli stessi giardini conformati sul modello Landriana, hanno ispirato altri giardinieri.
Oggi molte cose -come direbbe Lucilla- sono andate di moda: la bordura grigia, più appartenente all’Ottocento che al Novecento, a Gertrude Jekyll e a Vita Sackville-West che non a Christopher Lloyd o Piet Oudolf. Le piante grigie sono ancora oggi uno degli “articoli” più amati del giardinaggio, ma si badi bene, di un giardinaggio ormai fatto di grandi numeri, seriale.
Altri problemi che lei sollevava, come il difficile lavoro sul rosso, sono stati poi abilmente risolti da Christopher Lloyd con il suo “espressionismo pop” (cit. Giudo Giubbini).
Alberi a parte ho avuto nell’arco di un decennio metà delle piante di cui parla, di cui conosco la metà delle cose che sapeva lei. Ma la verità è che ogni pianta che lei descrive mi parla, mi parla dei vecchi amici del forum che non ho più riincontrato, Kathleen Harrop, Zia Lilli, Alex da Ferrara, Chiarina la spammer, Pietro Puccio, e altri che ancora sono rimasti nella CdG ma un po’ discosti, Chicca, Lucia, Paola. Ricordo l’emozione nello scoprirle, per conto mio o su suggerimento dei forumisti, la fatica per mettere da parte le cifre per acquisti all’estero, la gioia di averle nel mio giardino, i confronti con gli altri, i consigli dati e ricevuti, la disperazione quando non ho più avuto acqua e tutto, pian piano, si è perso.
Senza saperlo mi sono trovata per le mani un libro che è un viaggio a ritroso nella mia vita, che mi riporta al passato, alla freschezza di quando un narciso appena sbocciato stillava gocce di pace nella mia anima.
Ora che il giardino è diventato un mestiere o un mezzo mestiere, parecchia della sua carica emotiva si spegne in quella razionalista, e questo è un bene solo a volte. La riedizione della Pendragon mi ha portato all’acquisizione di un tassello mancante nella mia vita e a capire che questo libro racchiude tra le sue pagine buona parte del mio cuore. In sostanza un atto gnoseologico. Una agnizione.

Ma il mio riflettere non termina qui, in una mera rievocazione didascalica dei miei ricordi, che non sono neanche tanto importanti.
Il titolo, che dà forma al contenuto, cioè “un giardino mediterraneo”, è secondo me errato. O lo era allora e lo è oggi, o lo è oggi alla luce di una maggiore e più diffusa informazione, di una rinnovata attenzione al territorio e al “localismo” .
Il giardino della Landiana, nel tempo, ha iniziato a incarnare tutti gli stilemi compositivi che dalla grandezza della Taverna e di Page sono percolati nella cultura di massa, contro i quali ho dichiarato aperta battaglia aprendo questo blog. Il giardino di Lavinia Taverna è sostanzialmente inglese e per nulla mediterraneo, se non nel clima, mite ma non troppo, di Tor San Lorenzo, che sarà una USDA 9/b, massimo massimo 10a. Con inverni più freddi dei nostri e piogge più regolari, che permettono la crescita di molte piante che qui in estete soffrirebbero l’arsura.
E’ naturale che il gusto della Marchesa si sia formato sulle letture d’oltremanica, e che abbia cercato di adattare quei principi compositivi al clima più caldo della costa laziale.
Ma ciò non ne fa un giardino mediterraneo. Dubito che un giardino mediterraneo possa esistere al di fuori della Sicilia, della Calabria, della Puglia, della Basilicata, forse della Campania.
Un giardino mediterraneo è improntato nello spirito alla sicilianità. Nè credo si possa ricostruire a piacere, ma solo conservare quei pochi esemplari che ne sono rimasti, ignorati, non catalogati, negletti. Un giardino mediterraneo è una comunicazione di spazi, prima di ogni cosa, spazi vissuti e posseduti da diverse famiglie. Non può dunque prescindere dagli edifici che ne costituiscono le abitazioni, da passaggi, camminamenti, viottoli, sentieri, da muri, cancelli, separazioni e recinti come in una mappa catastale. Viottoli stretti quel tanto per passare che sbucano su stradine sterrate ai cui lati ci sono siepi fiorite. Campi e pascoli in declivio ombreggiati da limoni e altri alberi di agrumi, da cui si domina la casa nobiliare o la serie di edifici collegati. Muri a secco, alti, che proteggono coltivazioni, canalette per l’irrigazione, dotate ognuna della sua “ghigliottina”, per “tagliare il solco” e deviarlo verso altri campi. Un’economia comunitaria, una vita non principesca e raramente ornamentale, basata su un’economia prima di sussistenza e poi destinata alla vendita.
Un giardino mediterraneo è prima di tutto un orto, racchiuso tra mura, separato dal contesto scenografico e ricco nel quale si ricevevano gli ospiti nelle calde sere estive.

Certo, il nucleo dell’operare della Marchesa Taverna fu proprio la scelta delle piante adatte al clima della costa Laziale, a differenza di quelle che crescono con facilità nell’umido clima britannico. Il che a volte è un handicap, ma altre volte un vantaggio. Ci permette, avendo a disposizione un po’ d’acqua e buona terra, di coltivare piante esoticheggianti in giardino, accosatte ad altre più tradizionali. Ecco il motivo della “mediterraneità” del suo libro e del suo agire. Storicamente purtroppo non confermabile.