Cipresso invadente

senza didascalia
Davanti al cancelletto arrugginito della piccola cappella del cimitero di Siderno Superiore, dove ora è sepolto mio padre, è cresciuto un cipresso inclinato e contorto.
Attorno a questo cipresso sono state fatte molte questioni. “Va tagliato, bisogna parlare col comune, ostruisce la porta, le radici hanno sollevato il pavimento, non si apre più il cancello, sfonderà il tetto, è nato da una semenza, attira umidità”.
Ed altro ancora.

A me quel cipresso piace moltissimo. E’ inclinato, è vero, e l’anta sinistra del cancelletto si apre solo per metà. Credo sia stato piantato da qualcuno, dato che ce n’è un altro piantato esattamente di fronte. In più dubito che “attiri” umidità, semmai che la smaltisca, assorbendola, e penso che tagliandolo il pavimento della cappelletta crollerebbe, essendo tenuto appunto insieme dal pane di radici.
E poi, anche se fosse?
Infine non credo che sfonderà il tetto, essendo l’albero che per eccellenza leva i suoi rami verso l’alto, né mi risulta che i cipressi, o qualunque altro albero, abbiano istinti aggressivi verso gli edifici, semmai sono gli edifici che vengono “piantati” a sproposito troppo vicini agli alberi, che ne fanno regolarmente le spese.

Cipresso invadente

Quel cipresso ha una insolita forma a “s”, che sarebbe tanto piaciuta a un William Hogarth o a un Lord Shaftesbury. Il tronco, dopo questa pendenza che lo fa sembrare un ubriaco, si contorce seguendo con bella curva l’elaborato cornicione del vecchio tetto. Da lì la chioma si leva ampia e scapigliata in una sorta di grumo color verde ossido di cromo.

A me questo cipresso sembra appartenere carnalmente alla cappelletta, mi sembra che vi si sia sviluppato in maniera simbiotica. Le conferisce una originalità e una unicità che neanche la finitura più elegante e costosa potrebbero avere, una ricchezza che nessun marmo può eguagliare, una spiritualità pari a quella del più sacro dei simboli sacri.

Questo tanto per dire che quando natura e artificio si compenetrano in questo modo sublime, del tutto casuale, si raggiunge l’apice del risultato artistico ed estetico in un giardino o in architettura.

La mia povera anima pop

Ah! Quanto vorrei la penna di Cechov per descrivere una famigerata “ramaglia” della mia parentela! Chi altri potrebbe descrivere tutti i tic, i protagonismi, l’involontaria ridicolaggine di cui si rendono protagonisti nelle nostre conversazioni familiari?
Di loro non si potrebbe certamente dire che sono poetici, ma che sono dei veri e propri poemi, o meglio, delle tragicommedie.
Tra le altre manie e stronzismi ipertrofici, soffrono tutti di quella mi è stato spiegato chiamarsi sindrome del dottore, cioè di coloro che appena si laureano guardano gli altri da sotto in su (salvo poi farsela sotto quando incontrano un ordinario, un rettore, persino un assistente o un portaborse).
Insomma, sono dei veri personaggi in cerca d’autore. Chi non ne ha almeno un paio in famiglia?

Veniamo al dunque: quando pubblicai il mio libro mi fu sottolineato che avevo fatto male ad inserire una poesia di Pascoli. Cito a memoria: “Lidia, non acquista maggior valore quello che scrivi inserendo una poesia di un poeta famoso (il che voleva dire “famoso a torto”, ovvero “tutt’altro che valido” ), mi dispiace invece che tu ne abbia inserita solo una di tua mamma”.

Già ma quale poeta è più pop di Pascoli? E per molti aspetti è pop il mio libro. Sono due stili che collimano, che corrono appaiati. E poi, diciamocelo, anche la poesia di mia mamma ha un’anima pop. Usare un poeta considerato ormai fuori moda, banale, trito, barboso, languido e melenso come Pascoli per me è stata una scelta ben ponderata, anche se sapevo che qualcuno l’avrebbe vista come una caduta di intelletto e di sofisticatezza. Non m’importa molto di come la pensano gli snob. Anzi, forse dovrei dire (magari senza forse), che oggi il top dello snob è usare Pascoli e non Cielo d’Alcamo.

Come spiegarlo alle mie apparentate ramaglie? Impossibile. E poi sarebbe stata una cattiveria minare i capisaldi dell’universo di borghesismi in cui sono stati indotti a vivere.

In effetti loro mi considerano una stupida. Ma senza un’oncia di falsità e autocelebrazione, anche se con un pizzico di revanchismo, posso dire che sono tanto intelligente da riuscire a passare per stupida, al solo scopo di non avere a che dibattere con loro.