Prateria americana (e sidernese)

Questo articolo vuole essere una piccola tabella di aiuto per la scelta delle erbacee utili a comporre un meadow, cioè un campo fiorito. Per informazioni più dettagliate sulle singole specie trattate si rimanda alla letteratura specializzata.

Introduzione: la prateria dietro casa
Quant’è povera la lingua italiana per quello che riguarda il giardino! Gli inglesi, o meglio, gli americani, per dire che in un prato ci sono erbe spontanee, fiori, graminacee e altre piante, lo chiamano meadow, non prairie, nè lawn, che sono due cose diverse.
Quando gli inglesi arrivarono in America e videro le praterie, non riuscirono a trovare una parola che le descrivesse, e dovettero prendere a prestito la parola francese prairie.
Noi abbiamo la parola “prateria”, che sarebbe la prairie anglo-francese, abbiamo il “prato”, che sarebbe il lawn, ma non abbiamo una traduzione efficiente per meadow che per tradurre dobbiamo ricorrere alla locuzione “prato fiorito”, che però non è la stessa cosa.
La parola che si avvicina di più a meadow è “campo”, che però è incompleta, perchè non si sa se coltivato o spontaneo, e un “campo”, strettamente parlando, può essere un campo di fagioli almeno quanto di barbabietole o di grano.
Pare che per i prairie gardens ci sia una vera e propria moda, di certo consacrata da Oudolf ma partita molti anni fa con Karl Foerster. Non so quanto il libro di Least Heat-Moon, Prateria, che io amo alla follia, abbia a che fare con questa nuova tendenza…in fondo il volume è stato scritto in dieci anni, ma è di recente pubblicazione.
Io perlomeno sono arrivata ad interessarmi alla prateria per motivi ecologici, letterari e personalissimi.
Dietro casa mia, infatti, c’è un ampio spazio incolto. E’ un po’ “il luogo” dove nei libri di Steven King i bambini coltivano le amicizie che dureranno una vita.
Prima c’era un agrumeto, poi la proprietà è stata progressivamente abbandonata e nel tempo l’aggressione cementizia si è moltiplicata.
E’ comunque un grande appezzamento, era il posto dove mi rifugiavo da bambina per evitare gli strepiti di casa, o quando litigavo con i miei, o quando volevo scappare da un’iniezione o dalle lezioni private di matematica. Nella prateria dietro casa non mi sono solo rifugiata, ma ci ho giocato a Sandokan, agli esploratori, alle Giovani Marmotte. E quando sono cresciuta ci andavo a cercare i fiori spontanei e le erbe aromatiche con il libriccino tascabile, e quando sono crescita più ancora, ci andavo a raccogliere le more per fare le conserve. E’ nella prateria dietro casa che ho capito, durante la mia vita adulta, che esistono le Fate e gli Gnomi, anche se non li ho mai visti direttamente. Chissà quante volte ho sfiorato la possibilità di incontrare quadrifogli, erbe fatate, piote vaganti, Leprechaun, e sicuramente per puro caso non avrò calpestato un Goblin.

Dopo la morte del proprietraio la proprietà è passata ai numerosi figli che l’hanno portata ad un regime di minima manutenzione, diserbandola periodicamente per evitare intrusioni di mafaldine, fidi e topolini. Nel tempo, attraverso incendi e appianamenti, le cupole di rovi dove le Fate facevano i nidi sono sparite, gli alberi bruciati, le erbe spontanee diminuite. Ha iniziato a crescerci l’avena selvatica e io ho iniziato a portarci i cani perché potessero correre liberi.
Così è come si presenta oggi:

Prateria sidernese 1

Prateria sidernese 2

Purtroppo non mancherà molto che anche la prateria dietro casa sparirà e al suo posto sorgeranno condomini e villette, e io ho vissuto buona parte della mia vita con questa paura.
Nel frattempo infatti che scrivevo l’articolo la prateria è stata nuovamente rasata.

Dopo il taglio

Almeno ci porto i cani

Tene 'i ricchi a grattarola, una pi' intra, l'atra pi' fora
Guarda mamma, vado senza mani!

La prateria è quindi qualcosa che mi sta a molto a cuore. E visto che in questo periodo stiamo vivendo un felice interesse per questo tipo di giardini, mi permetto di dare qualche suggerimento a chi volesse creare un giardino a bassa manutenzione. Tralasciando impressioni di tipo sentimentale e suggestioni letterarie e parlando solo tecnicamente, i benefici di un giardino di questo tipo sono numerosi: prima di tutto un impatto ambientale più basso per via della minore necessità di concimazione, irrigazione e trattamenti antiparassitari. In secondo luogo un meadow è molto più attrattivo per i piccoli animali che non un prato tradizionale. Insetti e piccoli mammiferi possono facilmente trovarvi rifugio, inoltre uno strato d’erba più alto del comune prato rasato determina un percettibile abbassamento della temperatura del suolo.
Senza contare che un giardino tenuto a meadow offre un aspetto calmo e riposante, specie in inverno, quando le erbe si avvantaggiano delle piogge. Il meadow è inoltre un ottimo modo per inserire l’edificio nell’ambiente circostante e per impegnare vasti spazi anche là dove non si arriva con gli attrezzi.

Il sito
Bisogna ovviamente scegliere con molta cura le erbacee adatte e conoscere il microclima del proprio giardino, le zone più o meno drenate, quelle più sassose o più umose, drenate o meno. Ma non spaventatevi, le grasses (Poaceae, Restionaceae, Amaryllidaceae, Liliaceae) sopportano molto bene una gran quantità di suoli, basta saper scegliere quella giusta. Considerate che dove sono costruiti nuovi edifici il suolo tende ad essere più calcareo e le piante necessitare di fertilizzazioni.
Ciò che è veramente importante, se si vuole fare un lavoro fatto bene, è rivoltare il terreno, fare crescere le infestanti e poi eliminarle prima che vadano a seme, sarchiare bene per eliminare le radichette e i rizomi ed estirpare man mano quelle infestanti che inevitabilmente si ripresenteranno. Una volta che il meadow avrà preso compattezza questo lavoro sarà più semplice.
Potete anche includere le eventuali infestanti nel vostro meadow, purchè non abbiano il sopravvento.
Esistono molte piante utilizzabili per creare un meadow, non solo le tradizionali graminacee o poacee, ma anche le giuncacee (Restionaceae), le liliacee, le iridacee e le amaryllidacee.
Si può creare un meadow in qualsiasi punto del giardino, non occorrono necessariamente ettari di spazio, c’è ad esempio chi li fa sui tetti. Anche il vialetto d’ingresso può diventare una piccola prateria.
Se avete colline o diseguaglianze nel terreno, tenete conto che le piante in cima dovranno essere più resistenti alla siccità e quelle al fondo più amanti dell’umido.
Non combattete il sito, ma cercate di valorizzarne al meglio le qualità. Il meadow si presta sia in composizioni molto formali che in insiemi molto eterogenei ed informali, può essere tutto verde o avere colori squillanti, ci possono essere fiori o solo piante da foglia, piante rare o molto comuni, arbusti, alberi o piante basse. I fiori non devono essere molto numerosi, ne bastano pochi e piccoli.
Se piantate grasses con bei colori autunnali, fate in modo che vengano controluce al tramonto.

Warm-season e cool-season
Le piante che ci interessano, che gli inglesi chiamo genericamente grasses, “erbe”, si possono dividere con una certa sommarietà in due grosse categorie, quelle che vegetano anche in inverno e quelle che vegetano solo in estate.
Le warm-season grasses tendono ad essere in riposo in inverno e a vegetare solo nella stagione calda, le cool-season grasses invece riescono a vegetare anche nella brutta stagione.
Alcune hanno un periodo di dormienza in caso di siccità estiva.
Le warm-season grasses tendono ad avere colori autunnali molto forti, soprattutto dove le temperature si abbassano al punto da provocare degli stress citologici, mentre le cool-season sono sempreverdi da un anno all’altro (e sono queste quelle che ci interessano di più). Generalmente iniziano a crescere con l’arrivo della stagione delle piogge di cui beneficiano grandemente e che gli consentono di mantenere il colore verde intenso. Il gelo può danneggiarle riducendole al livello del terreno, ma poi riprenderanno.
A seconda dei climi generalmente fioriscono dalla primavera o dall’estate fino all’autunno, molte hanno colori interessanti appena germogliano, e come alcuni frutti , per prosperare hanno bisogno di “sentire il gelo”, cioè di inverni freddi.
Sebbene un meadow possa essere fatto di warm-season grasses, sono proprio le cool-season grasses che gli danno quell’aspetto tipico.

Perenni ed annuali
Le grasses possono essere perenni o annuali. Alcune possono vivere pochi anni e poi morire, altre hanno cicli molto più lunghi. Alcune piante perenni, a seconda dei climi, vanno in dormienza se la siccità è eccessiva.
Il meadow deve essere di prevalenza fatto con piante perenni, che devono dare una base su cui lavorare con accenti e altri elementi.

La base: groundcover e struttura del meadow
Il primo punto da cui partire è la scelta di una o più grasses che funga da scheletro al vostro meadow. queste devono comporre dal 45 al 65 per cento del vostro prato. Ogniqualvolta possibile, usate piante native del vostro sito specifico, questo garantirà una crescita più veloce e una maggiore resistenza ad altre erbe infestanti. Solitamente si preferisce scegliere una pianta a vegetazione anche invernale (cool-season). In luoghi molto freddi possono arrestare la crescita, ma non vengono distrutte fino a terra come le warm-season.
Una delle migliori groundcover è il Carex, ma anche la Festuca è molto apprezzata.

Grouncover grasses
Bouteloua gracilis
Brachypodium sylvaticum
Bromus benekenii
Carex
(il divulsa è uno dei miei preferiti)
Deschampsia cespitosa
Festuca mairei
Leymus triticoides
Muhlenbergia
Pennisetum spathiolatum
Poa arachnifera
Schizachyrium scoparium
Sesleria

Piante background, da sfondo, confine o transizione
Le grasses sono utilissime piante per ottenere effetti di transizione tra un luogo e l’altro del giardino, per “ancorare” visivamente un edificio al terreno, o per mascherare i confini del giardino o mascherare qualche infrastruttura brutta a vedersi. A questo scopo si possono usare anche molti bambù, ma in questa sede stiamo considerando solo le piante da prateria.
Le piante da background necessitano di molto spazio.

Background grasses (erbacee alte ottime per lo sfondo)
Arundo
Cortaderia selloana
Miscanthus
Muhlenbergia
Neyraudia sp.
Panicum virgatum
Saccharum ravennae
Setaria palmifolia
Spartina bakeri
Sporolobus wrightii
Thysanolaena latifolia
Tripsacum dactyloides
Vetiveria zizanioides

Piante a portamento verticale per effetto pennellata
Se volete potete lasciare il vostro meadow piatto oppure con poche variazioni di altezza. Le grasses stesse si distribuiranno in maniera ondulata con il tempo e comporranno un insieme fluttuante e morbido. Questa scelta può andare bene soprattutto se avete un grosso spazio a disposizione, in modo che il meadow sia una sorta di naturale copertura del terreno. Tuttavia si renderà sempre necessario porre qualche accento qua e là, soprattutto in un giardino di dimensioni contenute, oppure dove si voglia dare un po’ di movimento all’insieme.

Grasses a portamento verticale per effetto pennellata
Andropogon
Bouteloua curtipendula
calamagrostis x acutiflora
Elytrigia elongata
Juncus
Molinia
Muhlenbergia
Pennisetum spathiolatum
Phormium
Saccharum ravennae
Schizachyurium scoparium
Schoenoplectus
Typha
Vetiveria zizanioides

Filler, vialetti e sentieri, erbacee profumate
Le piante filler, letteralmente “riempitivo”, sono usate tra le piante di base. Hanno portamento ricadente e arcuato e le foglie arrivano a toccare il prato preesistente, sono perciò ideali per collegare il meadow ad una bordura di arbusti o più semplicemente ad essere piantate vicine ai viali e ai sentieri. La circolazione è importante in giardino e i meadows non fanno eccezione, perciò erbacee troppo invadenti possono invadere lo spazio destinato al transito. Una delle piante migliori e più usate è la Sesleria, molto affascinante e morbida. Si possono usare anche piante dalla vita più breve come Anthoxanthum. Condiderate che più è piccola una pianta, più ce ne vorranno per ottenere un discreto effetto e ciò ovviamente comporterà una spesa maggiore. Alcune erbacee possono essere ottenute da seme, producendo risparmio, ma aumentando il tempo di crescita.
Un vialetto ben disegnato può rendere molto emozionante il passeggio in un meadow perchè non ci si muove dentro di esso, ma lo si attraversa letteralmente. Non di rado la sensazione è quella di tornare bambini, a quando cioè eravamo bassi di statura e anche un piccolo campo erboso ci sembrava alto. Alcuni poi sostengono l’esistenza del cosiddetto “gene della prateria”, che sarebbe quello che ha fatto diventare eretto l’uomo primitivo, che doveva poter scorgere prede e predatori attraverso il folto dell’erba della grandi savane africane.
In un meadow i sentieri possono facilmente svolgersi in un percorso sinuoso che si snoda attraverso diversi punti focali importanti, conducendo a degli elementi che si vuole mettere in risalto.
In giardini molto grandi considerate che più persone vorranno stare appaiate o che dovranno circolare dei veicoli a motore.
A seconda dell’uso e della larghezza, i sentieri possono essere realizzati con molti tipi di superfici: la soluzione più semplice è semplicemente un passaggio col falciaerbe. Tra l’altro questo consente di modificarne il tracciato qualora lo si desideri o sia subentrata una necessità specifica. Oltre alla pietra si può usare il trito semilegnoso ottenuto da un biotrituratore (in questo caso lo strato deve essere alto e rinnovato spesso). La ghiaia chiara si adatta in maniera particolare a questo tipo di giardini, benchè produca un rumore sgradevole al calpestio e sia poco adatta alle ruote (comprese quelle delle sedie a rotelle), ha però il pregio di mantenere le suole molto pulite e asciutte. Pietre piatte o ceppi possono fungere da piccoli ponti o zone di sosta nelle macchie più umide. In Giappone si usano molto i passaggi sospesi, ottenuti con delle passerelle di legno. Sono molto gradevoli a patto che la superficie da attraversare sia variegata e diseguale, possibilmente che ci siano delle zone palustri, e che il giardino abbia una certa dimensione.
Un altra raccomandazione è di piantare lungo il viale, dove possano essere calpestate, delle erbe profumate come timo, rosmarino strisciante, menta e camomilla, che rilasciano profumi balsamici se calpestate.
Alcune grasses sono esse stesse profumate, come il famoso Cymbopogon citratus (citronella) e resistono discretamente al calpestio. Se pensate di usarle come fondo per un viale, rasatelo di rado o meglio per nulla.

Filler grasses
Acorus
Agrostis
Alopecurus
Anthoxanthum odoratum
Bouteoloua gracilis
Briza media
Buchloe dactyloides
carex
Eragrostis
Festuca rubra
Koeleria macrantha
Poa
Sesleria

Erbacee profumate
Acorus
Anthoxanthum odoratum
Cymbopogon citratus
Cymbopogon nardus
Hierochloe occidentalis
Hierochloe odorata
Sporolobus heterolepsis

Erbe aromatiche e da fiore da piantare nelle fessure o ai bordi dei vialetti
Aegopodium podagraria ‘Variegatum’
Ajuga reptans
Alchemilla mollis
Aptenia cordifolia
Bergenia cordifolia
Carpobrotus acinaciformis, C. edule
Convolvolos cneorum
Convolvolus sabatius
Erigeron karvinskianus
Eschoscholzia californica
Evolvolus convolvuloides
Helichrysum italicum
Hottuynia cordata
Hydrocotyle
Lysimachia nummularia ‘Aurea’
Melissa suaveolens
Mentha
Mentha suaveolens
Mesembryanthemum
Nepeta x faassenii
Origanum vulgare
Oxsalis
Papaver roheas
Primula
Rosmarinus prostratus
Ruta graveolens
Santolina chamaecyparrisus
Saponaria
Stachys lanata
Tanacetum parhenium
Tanacetum parthenium
‘Golden Moss’
Thymus citrodorus ‘Aurea’
Tradescantia
Viola

Accenti
Una volta che lo scheletro del meadow è stato deciso, bisogna provvedere a degli accenti per dare movimento. Questi possono essere dati da piante a portamento verticale per effetto pennellata o da piante per ottenere un effetto nuvola, che ingentiliranno il giardino.
Non solo le grasses, ma anche arbusti e rose possono essere usati come accenti, o altre piante perenni o annuali. Vanno molto bene anche le piante che hanno un portamento simile a quello delle grasses, come alcune liliacee o amaryllidacee. Se si utilizzano le piante giuste un meadow può essere interessante quasi per tutto l’anno, oppure si possono concentrare le fioriture in una o due stagioni, magari alternando i colori. Si può ad esempio creare un meadow con un certo colore predominante in primavera e un altro in autunno.
In climi caldi molti colori possono essere dati dal fogliame vistoso di alcune piante dall’aspetto tropicale come Musa e Canna.
Se volete un meadow molto naturale usate apiacee e umbrellifere.
Persino le statue e le opere d’arte funzionano molto bene come accenti, poichè le erbacce non entrano in competizione con le strutture artificiali.

Grasses a portamento vaporoso e fiori a nuvola
Aristida purpurea
Blepharoneuron tricholepsis
Briza media
Calamagrostis brachytricha
Deschampsia
Eragrostis
Melica
Melinis
Miscanthus
Muhlenbergia
Nassella
Panicum virgatum
Sporolobus

Altre piante che possono essere usate come accenti
Acanthus mollis
Achillea
Aconitum
Actaea
Agastache cana

Allium (tutti gli Allium vanno bene come accenti, dal giganteum allo sphaerocephalon)
Alcea
Althaea
Anemone x hybrida
Angelica achangelica
Agapanthus
Amaryllis
Anchusa azurea
Anthiscus sylvestis
Aquilegia
Argemone
Argyranthemum
Artemisia
Aster
Babiana stricta
Belamcanda
Bidens
Campanula persicifolia C. pyramidalis
Castilleja
Chelone obliqua
Chysanthemum
Cimicifuga racemosa
Clematis tangutica, C. terniflora, C. texensis, C. virginiana
Consolida ajacis
Cotula
Crinum
Cynoglossum amabile
Daucus carota
Delphinium elatum
Dhalia
Dierama pulcherrimum
Dietes vegeta
Dimorphoteca
Diplacus aurantiaucus
Echinacea purpurea
Echinops
Encelia
Eschoscholzia californica
Eomecon
Eryngium
Eupatorium
Euryops
Felicia amelloides
Ferula communis
Foeniculum vulgare
Fritillaria imperialis
Gaillardia
Gaura lindheimeri
Gazania
Grindelia
Helenium
Helianthus annuus, H, tuberosus
Helleborus
Hemerocallis
Hesperaloe parviflora
Hippeastrum
Iris
(anche gli iris utilizzabili sono numerosissimi come I. confusa, cristata, dandfordiae, ensata, foetididissima, japonica, laevigata, sibirica ecc. )
Ixia
Lamium
Lavatera
Linaria maroccana
Liatris spicata, Liatris ligulistylis
Macleaya cordata
Meconopsis cambrica
Malva
Mimulus
Monarda
Myrrhis odorata
Neomarica
Ospeospermum
Papaver roheas, Papaver nudicaule, P. orientale, P. somniferum
Penstemon
(i Penstemon sono numerosi e sono piante utilissime come accenti)
Phytostegia virginiana
Pimpinella
Prunella
Pulsatilla
Ratbida columnifera
Romneya coulteri
Rudbeckia
Sanguinaria
Scilla peruviana
Solidago
Tagetes
Veronica spicata
Veronicastrum virginicum
Salvia
(le salvie sono numerosissime, le più belle e conosciute sono la Salvia azurea, S.cacalifolia, S. guaranitica, S. coccinea, S. leucantha, S. nemorosa,S. sclarea, S. spathacea,S. uliginosa ecc.)
Sisyrinchium
Smyrnium olusatrum
Sparaxis
Tanacetum
Thalictrum aquilegifolium
Tithonia
Trigridia
Verbena bonariensis
Veronica spicata
Zinnia
Watsonia humilis

Bulbi
Bulbi per climi temperati e meadows a crescita lenta

Anemone blanda
Chionodoxa luciliae
Colchicum
Crocus
Cyclamen
Freesia
Galanthus nivalis
Hyacinthoides hispanica
Ipheion uniflorum
Muscari armeniacum
Narcissus varr.
Oxalis
Scilla

Bulbi per climi caldi e asciutti e meadows a crescita lenta
Allium
Babiana
Calochortus
Habranthus robustus
Lachenalia
Ledebouria
Moraea
Rhodophiala
Sparaxis
Tritonia
Zephyranthes candida, Z. rosea

Bulbi per meadows di media altezza
Allium
Anemone coronaria
Camassia
Fritillaria
Narcissus
Ornithogalum
Tulipa
Zantedeschia

Bulbi per meadows mediterranei alti
Albuca
Amaryllis
Asphodeline
Bulbinella
Chasmanthe
Crocosmia
Cypella
Eremurus
Gladiolus
Gladiolus psittacinus
Kniphofia
Urginea maritima

Bulbi per meadows tropicali
Begonia
Canna
Colocasia
Crinum
Habranthus robustus
Haemanthus
Hedychium
Hippeastrum
Velthemia
Xanthosoma
Zephyranthes candida, Z. rosea

Grasses per effetti di colore
Argento e blu metallico
Andropogon
Carex laxiculmis
‘Bunny Blue’
Elytrigia elongata
Eragrostis chloromelas
Eragrostis elliotti
Festuca
Helictotrichon semprevirens
Juncus patens
‘Elk Blue’
Juncus polyanthemos
Leymus
Muhlenbergia emersleyi
Muhlenbergia lindheimeri
Panicum amarum
paspalum quadrifolium
Sorghastrum nutans
‘Sioux Blue’

Giallo, oro e bianco per effetti luminosi
Acorus gramineus ‘Ogon’
Acorus gramineus ‘Pusillus Aureus’
Alopecurus pratensis ‘Aureus’
Arrhenatherum elatius var. bulbosum ‘Variegatum’
Arundo donax ‘Variegata’
Calamagrostis x acutiflora ‘Avalanche’
Calamagrostis x acutiflora ‘Overdam’
Carex dolichostachya ‘Kaga Nishiki’
Carex elata ‘Aurea’
Carex oshimensis ‘Evergold’
Carex siderosticha
Cortaderia selloana ‘Gold Band’
Glyceria maxima ‘Variegata’
Hakonechloa macra ‘Aurea’
Luzula sylvatica ‘Aurea’
Milium effusum ‘Aureum’
Miscanthus
Phalaris arundinacea ‘Feesey’
Phalaris arundinacea ‘Luteopicta’
Phalaris arundinacea ‘Picta’
Phalaris ardundinacea ‘Woods Dwarf’
Shoenoplectus tabernaemontani ‘Albescens’

Grasses con bei colori autunnali e invernali
Andropogon
Imperata cylindrica
‘Rubra’
Mischanthus
Molinia
Panicum
Pennisetum
Schizachyrium
Sporolobus
Themeda
Vetiveria zizanioides

Infiorescenze
Grasses con infiorescenze interessanti ed attraenti
Achnatherum
Andropogon
Aristida purpurea
Bothriochloa barbinodis
Bouteloua gracilis
Briza media
Calamagrostis
Carex pendula
Chondropetalum tectorum
Cortaderia selloana
Deschampsia cespitosa
Eragrostis
Melica
Melinis
Milium effusum
Miscanthus
Molinia
Muhlenbergia
Nassella
Panicum virgatum
Pennisetum
Phleum pratense
Schizachyrium scoparium
Sporolobus
Stipa gigantea

Un elenco alfabetico delle specie più interessanti. per ciascuna è indicato l’uso più proprio

Legenda:
G= groundcover, per la base o lo scheletro
B=background, per gli sfondi
F=fillers, collegamenti tra il meadow e gli accenti
A=accenti di forme o colori
PN=prato naturale, vialetti e sentieri, che richiede scarsa o nulla rasatura e che resiste al calpestio, possono essere graminacee o falaschi, anche mischiati.

Achnatherum calamagrostis (G, F, A)
Achnatherum coronarium (A)
Achnatherum hymenoides (G, A, F)
Achnatherum speciosum (F, A)
Acorus calamus (F, B)
Acorus calamus ‘Variegatus’ (B, A)
Acorus gramineus ‘Licorice’, A.g. ‘Ogon’ (G, F, A)
Acorus gramineus ‘Pusillus’, A.g. ‘Pusillus Aureus’, A.g. ‘Variegatus’ (G,F,A)
Agrostis hallii, A.pallens (G,F,PN)
Ammophila arenaria, A. breviligulata (G,F,A)
Ampelodesmos mauritanica (B, A)
Anthoxanthum odoratum (G,F,A,PN)
Aristida purpurea (G, F, A)
Arrhenatherum elatium, var. bulbosum ‘Variegatum’ F,A)
Arundo donax (B)
Arundo donax ‘Gold Chain’, A.d. ‘Slender Gold’, A. d. var. versicolor (B,A)
Arundo formosana, A. f. ‘Oriental Gold’ (B,A)
Austrostipa ramosissima (B,A)
Baurnea rubiginosa ‘Variegata’ (F,A)
Blepharoneuron tricholepsis (G, F, A)
Bothriochloa barbinodis (F,A)
Bouteloua curtipendula (G,F,A)
Bouteloua gracilis, B. gracilis ‘Hachita’ (G,F,A,PN)
Brachypodium sylvaticum (G,F,A)
Briza media (F,A)
Bromus benekenii (G,F,A)
Buchloe dactyloides, B.d. ‘Surfer Boy’ (G,F,PN)
Calamagrostis x acutiflora, C x a. ‘Avalanche’, C. x a. ‘Overdam’ (G,F,A)
Calamagrostis brachytricha (F,B,A)
Calamagrostis epigeios (G, F,A)
Calamagrostis foliosa (G,F,A)
Calamagrostis nutkaensis (G,F, A)
Carici o falaschi (fam. cyperaceae)
Carex albolutescens (G, F, PN)
Carex appalachica (G, F, PN)
Carex ‘Beatlemania’ (G,PN, F)
Carex buchananii, C. b. ‘Viridis’ (F, A)
Carex comans, C.c. ‘Bronze’, C.c. ‘Frosted Curls’ (F,A)
Carex dipsacea (F,A)
Carex divulsa (G,F)
Carex dolichostachya (G,F,A)
Carex eburnia (G,F, PN)
Carex filifolia (G,F,PN)
Carex flacca (G, F, PN)
Carex flagellifera, C.f. ‘Bronze Delight’, C.f. ‘Coca-Cola’, C.f. ‘Tofee Twist’ (F,A)
Carex grayi (G,F,A)
Carex laxiculmis (G,F,A)
Carex morrowi, C.m. ‘Gold Band’, C.m. ‘Ice Dance’, C.m ‘Variegata’, C.m. var. temnolepsis (G, F, A)
Carex muskigumensis, C. m. ‘Ice Fountains’ , C.m. ‘Little Midge’, C. m. Oehme’ (G,F, A)
Carex oshimensis, Carex oshimensis ‘Evergold’ (G,F,A)
Carex pansa (G, F, PN)
Carex pendula (G,F,B,A)
Carex pensylvanica, C.p. var.pacificum (G,F, PN)
Carex perdentata (G,F,PN)
Carex phyllocephala (G,F)
Carex phyllocephala ‘Sparkler’ (G,F,A)
Carex plantaginea (G,F)
Carex platyphylla (G,F,A)
Carex praegracilis (G,F, PN)
Carex remota (G,F)
Carex retroflexa (G,F,PN)
Carex siderosticha, C.s. ‘Banana Boat’, C.s. ‘Lemon Zest’, C.s. ‘Variegata’ (G,F,A)
Carex testacea (A,F)
Carex texensis (G,PN, F)

Chasmantium latifolium (G,F,A)
Cortaderia selloana, C. s. ‘Gold Band’, C.s. ‘Pumila’, C.s. ‘Silver Stripe'(B,A)
Cymbopogon citratus (erba citronella) (B, A)
Cymbopogon nardus (A,B)
Cyperus albostriatus, C.a. ‘Nanus’, C.a. ‘Variegatus’ (F,A,G)
Cyperus alternifolius (B,A)
Cyperus involucratus (A,B)
Cyperus longus (G,A,F)
Cyperus papyrus (B,A)
Cyperus papyrus ‘Tutankhamun’ (A,F)
Cyperus prolifer (F,A)
Deschampsia cespitosa, D.c. ‘David’s Choice’, D.c. ‘Goldgehange’, D.c. ‘Goldtau’, D.c. ‘Schottland’ (G, F, A)
Distichlis spicata (F,G, PN)
Eleocharis acicularis (G,F)
Elymus canadensis (F,G,A)
Elymus virginicus (F,G,A)
Elymus hystrix (F,A)
Elytrigia elongata (G,A,F)
Equisetum hyemale (G,A,F)
Equisetum scirpoides (G,A, F)
Equisetum telmateia (G,F,A)
Eragrosris (G,F,A)
Eragrostis chloromelas (G,F,A)
Eragrostis curvula (G,F,A)
Eragrostis spectabilis(G, F,A)
Eragrostis trichodes (G, F,A)
Erafrostis superba (G,F,A)
Festuca amethystina (G,F,A)
Festuca glauca (G, F,A)
Festuca californica (G,F,A)
Festuca idahoensis (G,F,A, PN)
Festuca mairei (G,F,A)
Festuca rubra (G,F,PN)
Glyceria maxima ‘Variegata’ (F,A)
Hakonechloa macra ‘Aureola’ (F,A)
Helictotrichon sempervirens (F,A)
Hierochloe occidentalis (erba vaniglia) (G,F,A)
Hierochloe odorata (F,G,A)
Hordeum jubatum (F)
Imperata cylindrica ‘Rubra’ (F,A)
Isolepsis cernua (F,A)
Juncus effusus (fam. Juncaceae) (G,F,A)
Juncus effusus, seguenti cultivar: ‘Carman’s Japanese’, ‘Gold Strike’ (G,F,A)
Juncus effusus ‘Unicorn’ (A,F)
Juncus inflexus (G,F,A)
Juncus mexicanus (G,F)
Juncus pallidus (B,A,F)
Juncus patens (F,G,A), Juncus patens ‘Elk Blue’ (G,F,A)
Juncus polyanthemos (B,A)
Juncus tenuis (G,F)
Koeleria macrantha (G,F,A,PN)
Leymus arenarius ‘Findhorn’, L.a. ‘Glaucus’ (G,F,A)
Leymus cinereus (B,G,F,A)
Leymus condensatus (B,G,A)
Leymus condensatus ‘Canyon Prince’ (G,A)
Leymus mollis (G,F,A)
Leymus triticoides, L.t. ‘Elkhorn Green’, L.t. ‘Gray Dawn’ (G,F)
Luzula nivea (F,A)
Luzula sylvatica, L.s. ‘Aurea’, L.s. Hohe Tatra’, L.s. ‘Marginata’ (F,A,G)
Melica altissima, M.a. ‘Alba’, M.a. ‘Atropurpurea’ (F,A)
Melica californica (G,F,A)
Melica imperfecta (G,F,A)
Melica ciliata (G,F,A)
Melinis nerviglumis (F,A)
Melinis repens (F,A)
Milium effusum, M.e. ‘Aureum’ (F,A)
Miscanthus floridulus (B,A)
Miscanthus junceus (B,A)
Miscanthus sinensis (B,A, F, G)
Miscanthus sinensis ‘Adagio’, M.s. ‘Little Kitten’, (G,F,A)
Miscanthus sinensis ‘Gold Bar’, M.s. ‘Little Zebra’ (F,A)
Miscanthus sinensis ‘Morning Light’, M.s. Yaku Jima’, M.s. ‘Zebrinus’ (F,B,A)
Miscanthus transmorrisonensis (B,A)
Molinia caerulea e le varietà: ‘Dauerstrhal’, Hedebraut’, ‘Moor Hexe’, Strahlenquelle’, ‘Variegata’ (F,A)
Muhlenbergia capillaris, M.c. ‘White Cloud’ (G,F,A)
Muhlenbergia dubia (G,A,F)
Muhlenbergia dumosa (G,A, F)
Muhlenbergia emersleyi (G,A,F)
Muhlenbergia involuta (G,F,A)
Muhlenbergia lindheimeri (F,G, A,B)
Muhlenbergia pubescens (G,F,A)
Muhlenbergia rigens (G,F,A, B)
Nassella cernua (G,F,A)
Nassella pulchra (G,F,A)
Nassella tenuissima (G,F,A)
Panicum amarum, P.a. ‘Dewey Blue’ (B, A, G, F)
Panicum bulbosum (G,F,A)
Panicum clandestinum (G,F,A)
Panicum virgatum e le varietà: ‘Amber Wave’, Hanse Herms’, ‘Heavy Metal’, ‘Northwind’, ‘Prairie Sky’, ‘Rehbraun’, ‘Shenandoah’ (G,B, A,F)
Paspalum qudrifarium (G,B,A,F)
Pennisetum advena ‘Rubrum’ , P.a. ‘Green Form’ (G,F,B,A)
Pennisetum advena ‘Eaton Canyon’, P.a. ‘Little Pinkie’ (G,F,A)
Pennisetum alopecuroides, P.a. ‘Hameln’ , P.a. Moudry’, P.a. ‘National Arboretum’ (G,F,A)
Pennisetum alopecuroides ‘Little Bunny’ (F,A)
Pennisetum ‘Fairy Tails’ (G,F,A)
Pennisetum glaucum (B,A)
Pennisetum incompum (G,F,A)
Pennisetum macrostachuym ‘Burgundy Giant’ (B,A)
Pennisetum massaicum ‘Red Bunny tails’ (G,F,A)
Pennisetum ‘Oceanside’ (B,A)
Pennisetum orientale, P. o. ‘Karley Rose'(F,A)
Pennisetum orientale ‘Tall Tails’ (B,F,A)
Pennisetum purpureum (B,F,A)
Pennisetum purpureum ‘Pince’ e P.p. ‘Princess’ (B,A)
Pennisetum setaceum (G,F,A)
pennisetum spathiolatum (G,F,A)
Pennisetum villosum (G, F, A)
Phalaris arundinacea e seguenti varietà: ‘Feesey’, Luteopicta’, ‘Picta’, ‘Woods Dwarf’ (G,F,A)
Phleum pratense (G,F,A)
Phragmites australis, P.a. ‘Candy Stripe’ , P.a. ‘Variegatus’ (B,A)
Poa arachnifera (G, A, F, PN)
Poa compressa (G,F, PN)
Pogonatherum paniceum, P.p. ‘Variegatum’ (F,A)
Reineckia carnea (G,F)
Rhyncospora latifolia (A,F)
Saccharum officinarum, S.o. ‘Pele’s Smoke (B,A)
Schizachyrium scoparium (little bluestem), Schizachyrium scoparium ‘Blaze’, s.s. ‘The Blues’ (G,F,A)
Schoenoplectus californicus (B,A)
Schoenoplectus tabernaemontani, S.t. ‘Albescens’, S.t. ‘Zebrinus’ (F,A)
Sesleria autumnalis (G,F)
Sesleria caerulea (F,G)
Sesleria ‘Greenlee’s Hybrid’ (G, F)
Sesleria heufleriana (G,F)
Sesleria nitida (G,F,A)
Setaria palmifolia (B,A)
Setaria palmifolia ‘Dwarf’ (A)
Sorghastrum nutans, S.n. ‘Indian Steel’, S.n. ‘sioux Blue’ (B,G,A)
Spartina bakeri (B,A, G)
Spartina pectinata (G,B)
Spartina pectinata ‘Aureomarginata’ (G,B,A)
Sporolobus airoides (G,A)
Sporolobus heterolepsis, S. h. ‘Tara’ (G,A)
Sporolobus whrightii, S. w. ‘Los Lunas Form’ (G,B,A)
Stipa gigantea (G,B,A)
Thysanolaena latifolia (B,G,A)
Tripsacum dactyloides (G,B,A)
Tripsacum dactyloides ‘Cajun Dwarf’ (G,F,A)
Tripsacum floridanus (G,F,A)
Typha angustifolia (B,A,G)
Thypha domingensis (G,B,A)
Typha latifolia, T.l ‘Variegata’ (G,A,B)
Typha laxmannii (G,B,A)
Typha minima (G,A)
Vetiveria zizanioides (vetiver), V.z. ‘Silver Rockets’ (G,B,A)

Come costruire un meadow e mantenerlo nel tempo. Controllo delle infestanti

Piantagione
La cosa più importante nella costruzione del meadow è la corretta scelta delle piante e una adeguata preparazione del terreno. Si tratta di elementi assolutamente imprescindibili: qualsiasi tentativo di ottenere un meadow senza una corretta preparazione pedologica sarà inevitabilmente frustrato o riuscirà male.
E’ importante pulire l’area dalla vegetazione lasciando solo quelle piante che si vuole mantenere (erbacee, arbusti). Potete usare anche un decespugliatore, purchè utilizziate sempre le adeguate protezioni per il corpo(non vorrete mica frullarvi i piedi, vero?). Non occorre vangare, anzi, questa pratica impoverisce il terreno perchè porta in zone troppo profonde le sostanze umifere del terreno. Sarà sufficiente una comune zappatura fino a 10-20 cm di profondità. Questo è in generale il tipo di manutenzione consigliato anche per gli anni a venire.
Il terreno va preparato così tra l’autunno e l’inverno, in zone rigide prima dei geli. Dopodichè va lasciato nudo per un paio di settimane, in attesa che si formino i germogli delle piante infestanti. Questi vanno tolti con una seconda zappatura o meglio con una sarchiatura (questo sistema si chiama falsa semina). Le infestanti più pericolose sono quelle con radici fibrose e stolonifere, come il rovo spinoso, che si propagano con molta facilità per pollone o propaggine, e che sono veramente la dannazione di ogni giardiniere. Con una metodica zappatura localizzata si possono tenere sotto controllo queste infestanti, in zone più decentrate si possono lasciare crescere come siepe (che offrirà riparo e cibo ad avifauna e piccoli mammiferi) ma se avete rovi proprio al centro del vostro giardino sarà necessario lavorare il terreno accuratamente e ripuirlo da ogni radice rimasta con un sarchiatore . Il diserbo manuale periodico sarà ovviamente imprescindibile, lavorate molto di sarchiello a mano. Per le annuali infestanti dovete senza dubbio cimarle o tagliarle prima che portino a compimento la maturazione dei semi. Per piante più resistenti si potrà usare un pirodiserbante e ripetere il trattamento ogni volta che si renderà necessario.
Tuttavia le infestanti sono portate dal vento, vengono dai giardini e dai campi vicini, possono intrufolarsi nei vasi delle ornamentali comprate in vivaio o possono nascere contemporaneamente alle vostre piante nelle seminiere. Se volete un meadow all’americana dovrete senza meno far uso dei diserbanti chimici, ma sono convinta che l’utilità e la bellezza del meadow, nei nostri climi, siano da ricercarsi proprio nella capacità di convivere con piante considerate invadenti. Altrimenti un meadow è solo una moda o un capriccio, la frontiera più recente del giardinaggio italiano, un carretto a cui attaccarsi per sentirsi all’ultima moda. Il valore del meadow è nella sua immensa capacità di accogliere specie differenti: ciò non significa che potrete lasciare tutto in totale anarchia e in negligenza, anzi. Anche se gli interventi saranno sporadici dovranno essere il più possibile tempestivi ed efficaci.
Piantare un intero meadow da soli è un’opera improba, se il giardino è molto grande, sarà perciò opportuno farsi aiutare da amici (diffidate dalle “ditte specializzate”, a meno che non siano veramente tali). Nell’acquistare le piante tenete conto del loro sviluppo, quindi considerate che se una pianta arriva ad un diametro di 50 cm, due piante andranno sistemate a 50 cm di distanza (25+25), a meno che non vogliate un effetto più affollato o più rado. Non discostatevi troppo però da queste indicazioni, perchè un meadow con piante troppo rade non rende bene, le piante appaiono disgiunte, mentre invece se sovraffollate tutto, avrete certamente un effetto “finito” in minor tempo, ma vi troverete a dover dividere le piante entro pochi anni, con conseguenti aggravi nella manutenzione e danni estetici.
La spaziatura non è una scienza esatta, inoltre le piante crescono in maniera differente a seconda del suolo e del luogo, più rigogliose in zone moderatamente irrigate, più piccole in zone pesanti e secche. Se sono battute da venti tenderanno a rimanere più basse. In realtà il fattore determinante è spesso il budget a disposizione per acquistarle. Se volete ottenere un effetto omogeneo, piantate gli esemplari a quinconce. Ricordate che se piantate altri tipi di erbacee perenni, anche queste avranno diritto al loro spazio vitale per non entrare in competizione radicale e estetica con le grasses.
Le piante possono essere acquistate già in vasi o in contenitori alveolari o per seme, alcune sono difficili da reperire, mentre le annuali si trovano quasi sempre solo da seme. Alcune piante sono sterili o sopportano male la divisione dei cespi, quindi è necessario comprarle in vaso. Se preferite seminare avrete certamente un risparmio, ma vi conviene farlo l’anno prima di piantare il vostro meadow, e comunque avrete bisogno di un sacco di spazio per tenere e dividere le plantule (seminare direttamente a dimora è costosissimo e poco efficace, perchè le semenze verrebbero inghiottite dalle infestanti). E’ meno economico comprarle in vasi, ma dà un effetto discreto già al secondo anno dall’impianto. Con le plantule in contenitori alveolari ci si impiega di più e qualcuna potrebbe morire per strada, però è molto più economico che comprarle in vaso.
Il miglior periodo per piantare le grasses è dall’inizio dell’autunno all’inizio della primavera, evitate di farlo in estate o in inverno. L’ideale sarebbe preparare il terreno in autunno , effettuando diserbi, falsa semina, zappatura e pulizia periodica, e piantare le vostre erbacee la primavera successiva. L’estate successiva dovrete irrigare regolarmente. Se si vuole evitare l’irrigazione, allora si invertano i tempi di preparazione del terreno e piantumazione, ma tenete conto che se piantate le erbacee in primavera, beneficeranno di una crescita più veloce e accestiranno meglio.
Le groundcover saranno ovviamente necessarie in maggiore quantità, per cui inviate l’ordine il prima possibile, e dato che in Italia le grasses sono una “novità”, la disponibilità di molti esemplari di una stessa specie potrebbe essere un problema, specialmente se in vasi piccoli ed economici. Inoltre non tutti i vivai forniscono un servizio di consegne durante l’intero arco dell’anno. Siate previdenti e telefonate sempre per accertarvi che le quantità richieste siano disponibili.
Per quanto riguarda la disposizione sul terreno, diremo subito che non è elementare. Alcuni giardinieri preferiscono disporre le piante nell’area che devono coprire, altri realizzano schemi su carta che però è poi complesso trasferire sul terreno. Aiutatevi con qualsiasi tipo di segnalatore: bandierine e sabbia colorata sono gli strumenti tipici. C’è anche chi preferisce piantare le grasses a cicli, ad esempio prima le grouncover, poi gli accenti, poi le altre erbacee perenni, poi i bulbi, ecc. Questo ovviamente richiede più tempo, ma il risultato finale è in genere molto più modulato e gradevole.
Perpiantare le grasses si usa lo stesso sistema usato per le altre erbacee. Con il terreno smosso e lavorato, adeguatamente areato e ammendato, basterà una semplice zappetta per praticare una buca dove inserire le radici. Abbiate cura che il colletto sia all’altezza del terreno (dopo la prima irrigazione) e che le radici siano state un po’ allargate ed entrino nella buca senza essere costrette. Se invece avete dei vasi, dovrete praticare delle buche un po’ più grandi e smuovere un po’ il pane di terra, ma sarà più semplice non interrare troppo il colletto delle piante. Irrigate a fondo dopo la prima piantagione non con un irrigatore a spruzzo, ma lasciando la canna dell’acqua, in modo che le sacche d’aria siano espulse. Ripassate il giorno dopo e controllate il livello del colletto, e se necessario aggiungete terriccio.
Non piantate mai con suolo troppo secco o troppo bagnato.

Mantenimento
Un meadow appena piantato è soggetto a numerosi pericoli, il primo dei quali è l’aridità. Le piante nuove non devono mai rimanere all’asciutto, e non temete di abbondare perchè se il terreno è adeguatamente drenato sarà difficile che ricevano tanta acqua da farle marcire. In particolare se avete piantato il meadow in primavera, l’estate successiva dovrete essere regolari come un carabiniere con le annaffiature. Anche le piante che tollerano la siccità necessitano di regolari annaffiature il primo anno d’impianto.
Man mano che le piante crescono eliminate le foglie danneggiate, in modo da favorire la crescita di fogliame giovane e sano. Non vi preoccupate se per un po’ non le vedete andare nè avanti nè indietro, piuttosto tiratele delicatamente verso l’alto: se resistono vuol dire che le radici stanno crescendo e ancorandosi al terreno, mentre se vengono su, vuol dire che non hanno ancora attecchito bene.
Iniziate a concimare dopo un paio di mesi a metà dose di quanto prescritto sulla confezione, poi progressivamente incrementate le concimazioni fino ad alla quota normale. Ancora una volta non preoccupatevi se dopo le concimazioni non le vedete crescere, ci vuole pazienza. Usate un concime 16-6-8. Le cool season grasses crescono maggiormente durante l’autunno e l’inverno, quini non preoccupatevi se la prima estate stanno ferme.
Una volta stabilito il meadow fertilizzare solo le piante che lo necessitano; le grasses amano suolo poveri, se le si concima troppo diventano preda di parassiti e malattie.
Falciare aiuta una buona crescita del meadow, ma cercate di non farlo con troppo zelo: lasciate almeno una metà dell’altezza delle giovani piante e fatelo ogni quattro od otto settimane. Il primo anno non falciate MAI finchè il nuovo fogliame non è cresciuto fino a metà altezza di quello vecchio.

Dal secondo anno in poi
Una volta che il vostro meadow ha preso il via, mantenerlo diventerà sempre più facile e meno impegnativo.
Le operazioni più importanti sono il taglio e l’irrigazione. I prati spontanei in natura sono brucati dal bestiame o bruciati dagli incendi periodici. Alcuni allevatori del Kansas infatti davano fuoco alle praterie per stimolare la crescita di nuovi getti. Se non è periodicamente falciato o bruciato, l’ecosistema si evolve naturalmente verso altri tipi di forme, quindi è necessario tagliate il meadow almeno una volta l’anno. Questa operazione viene confidenzialmente chiamata big chop, “grande taglio”, e si effettua sempre non appena il fogliame giovane inizia a crescere dopo i rigori invernali. Quindi il periodo è variabile da clima a clima: in zone calde è in genere tra dicembre e gennaio, in zone più fredde può arrivare a marzo, ecc.
Se tagliate appena spuntano i giovani getti, non li danneggerete, ma anche se doveste trovarvi in ritardo sui tempi, non vi preoccupate, dove avrete tagliato si svilupperà nuova vegetazione.
Le piante warm-season dovranno essere tagliate rasoterra, mentre le perenni cool-season si tagliano generalmente a un terzo o un quarto della loro altezza.
Tagliando le cool season dalle tre alle quattro volte l’anno si ottiene una vegetazione più rigogliosa in inverno, inoltre l’aspetto del meadow sarà più compatto. Non tagliate invece troppo basse le piante con vegetazione compatta.
C’è chi preferisce lasciare sul terreno i residui del taglio, c’è chi invece preferisce ricorrere ad altri tipi di pacciamatura. Considerate che se falciate in inverno ci saranno spighe con i semi, e che se le lasciate sul terreno, i semi potrebbero germogliare. Ciò può essere un vantaggio o uno svantaggio a seconda dei casi. Potete anche rastrellare la falciatura e triturarla mettendola nel compost, dove le alte temperature garantiscono una quasi totale distruzione del potere germinativo delle infestanti.
Per falciare a dovere un meadow occorrono tre strumenti: le forbici piatte per zone pavimentate e piccole aree o punti delicati, un tagliasiepi per zone vaste e piatte, e un decespugliatore per le piante più alte e tenaci (per bambù adulto occorrerà il seghetto per ferro). molte graminacee contengono silice e corrodono l’affilatura delle forbici. E’ necessario quindi riaffilarle periodicamente.
Se poi avete ettari ed ettari di terreno, occorreranno dei mezzi su ruote.
Dopo il taglio il vostro meadow avrà un aspetto alquanto desolante: è il momento buono per riorganizzarlo e decidere se è opportuno aggiungere degli accenti o spostare qualche pianta. Se organizzate bene la rotazione delle fioriture, i primi bulbi potrebbero comparire già in inverno, dando colore e vita al giardino.
Il meadow è un insieme complesso di molti elementi. Voi piantate qualcosa in un punto, e quella si propagherà da un’altra parte. Il meadow è ideale per chi non si cristallizza su schemi precisi, ma preferisce accettare l’incognita della natura. E’ una scelta estetica, una scelta ecologica, una scelta di vita.

Nel vostro meadow non dimenticate di pensare ai piccoli animali del giatrdino

Nel reticolo: Maclura pomifera

Maclura pomifera, illustrazione di C. K. Schneid

In Prateria, William Least Heat-Moon scrive circa undici pagine sulla Maclura pomifera, che qui da noi è considerata al più una curiosità botanica. Nelle sue peregrinazioni, Least Heat-Moon desiderava procurarsi un bastone fatto di legno di Maclura, e da tempo cercava un ramo che si prestasse a quell’uso: “lungo un metro e spesso un pollice” (strana commistione di diverse unità di misura).
Cercando un ramo di quella lunghezza e di quello spessore, Least Heat-Moon finisce per esplorare i confini della contea, “finendo, per così dire, nella mente di Thomas Jefferson” e trovando anche un orologio che sfruttava la corrente galvanica data dall’acido della Maclura.

In Kansas la pianta di Maclura viene detta anche “siepe”, un po’ come da noi i fichi d’india sono detti “sipale”. Ma il nome più comune è “arancio Osage” dal nome della tribù che lì viveva prima che i caucasici la sterminassero.
Il frutto della Maclura è commestibile, ma non è buono, tanto che anche gli indiani Osage lo snobbavano. Dire di una persona che vale meno di una “palla di siepe” è dire che è totalmente inutile.
La Maclura è arrivata nella Chase County poco dopo la Guerra Civile, con i primi pionieri fermamente intenzionati ad evitare che i loro campi agricoli fossero brucati dal bestiame (ancora il conflitto pastori-contadini). Per recintare ottanta acri di campo occorreva un gallone di semi di Maclura.

“I primi pionieri non avevano né il tempo né i soldi per costruire muretti con le pur numerose pietre dei campi (pochi posti oltre alla Chase County hanno pietre così ben squadrate che sembrano fatte apposta per costruire muretti), né potevano contare sul legname perché gli alberi del fondovalle erano sufficienti solo per la legna da ardere e per costruire le case e i granai: recintare quaranta acri di frumento con uno steccato era impensabile. Il filo di ferro, a quei tempi non spinato era un materiale così inaffidabile – cedevole in certi punti e fragile in altri- che il caldo, il freddo, o una mucca caparbia potevano romperlo facilmente. I pionieri, come dimostravano le numerose lettere ai giornali, erano convinte che la civiltà non seguisse il bestiame lasciato libero al pascolo, bensì l’aratro a versorio, e che dovesse essere per forza preceduta da un buon recinto. Prima o poi, per delimitare la terra, per appropriarsene, per strapparla agli Indiani, per reclamarne il diritto di proprietà e per renderla produttiva, la recinzione era non meno necessaria dell’aratro. Ben prima che lo dicesse Robert Frost, i pionieri credevano che soltanto i selvaggi si opponessero alle recinzioni – dimora del diavolo secondo i cristiani-. E credevano pure che i recinti non favorissero solo un buon vicinato ma anche il progresso della comunità. E sapevano che i recinti separavano animali e colture ma univano la gente in un vincolo utilitario. Una terra ricca ma impossibile da recintare per mancanza di materiali, era sempre l’ultima ed essere rivendicata, e i contadini impararono presto che il rapporto tra recinti e profitti era diretto: si raccoglieva solo ciò che si poteva proteggere, e un aratro senza recinto era come un martello senza chiodi o un fucile senza pallottole.

I contadini dell’Illinois centrale, che furono i primi a praticare l’agricoltura in un territorio vasto e fertile ma quasi privo di alberi e pietre, dopo aver tentato invano di recintare la terra con muretti di zolle d’erba o con fossi ad alzaia, tornarono all’idea delle siepi dei loro avi inglesi: ma per usare le siepi avevano bisogno di una pianta che, oltre ad avere la capacità di resistere al clima capriccioso della prateria, fosse tanto compatta da essere a prova di maiale, tanto alta da essere a prova di cavallo, e tanto robusta da essere a prova di toro. Essi tentarono col salice, col noce nero, col pioppo, con la robinia, col gelso, col ligustro, con l’uva spina, col rovo, col melo selvatico, con la thuja e con parecchi tipi di rose, ma sempre con scarso successo. Nel 1839 il professor Jonathan Turner di Jacksonville, Illinois – un predicatore dall’animo mistico e scientifico al contempo – affermò che il Creatore non poteva avere commesso l’evidente errore di creare le praterie senza un materiale per cintarle e cominciò a fare esperimenti con una pianta originaria della regione compresa tra i tratti intermedi dell’Arkansas River e del Red River. Nel 1847 Turner cominciò a propagare e vendere quella pianta, fino ad allora nota come il miglior legno da archi del Nord America – e forse di tutto l’emisfero boreale-, un albero che i cacciatori francesi di pellicce chiamavano bois d’arc e che tuttora alcuni abitanti delle Ozark Hills chiamano bodark o, rovesciando i due termini bowdark o bow wood (legno per archi); ma oggi i nomi legati alle recinzioni hanno generalmente sostituito quelli antichi derivati dagli archi indiani. Per una sorta di strana combinazione quell’albero, mentre forniva archi e bastoni che aiutavano gli Indiani a difendere il territorio, consentiva anche ai pionieri bianchi di recintare la terra. Il professor Turner propose di chiamare la Maclura siepe della prateria e disse: – È la nostra pianta, Dio l’ha fatta per noi e noi la chiameremo col nome dell’ «oceano verde» che è la nostra casa.

Meriwether Lewis la descrisse per la prima volta con il nome di «melo Osage» in una lettera del 1804 indirizzata aThomas Jefferson, cui allegò alcune talee prese da un albero del vivaio di St Louiscurato da Pierre Chouteau, un famosissimo bianco dedito al commercio con gli Indiani che cinque anni prima aveva piantato i semi della Maclura comprati da un indiano Osage venuto da una zona distante trecento miglia. Oggi abbiamo fondati motivi per credere che molti degli aranci Osage diffusi nel nord-est degli Stati Uniti discendano dal vivaio di Chouteau, a quel tempo meta di molti viaggiatori: John Bradbury e Thomas Nuttal, ad esempio, lo descrissero nei loro diari. In un messaggio rivolto al Congresso due anni dopo la lettera di Lewis, Jefferson accennò alla possibilità di usare quella siepe per cintare la terra. Poiché la suddivisione del territorio in contee – il grande reticolo americano, espressione tipica del razionalismo settecentesco – era un parto della sua mente, Jefferson aveva compreso quale importanza poteva avere l’arancio Osage nel rafforzare il dominio agricolo e poilitico dei bianchi, e nell’estenderlo alle regioni dell’America situate a ponente degli Appalachi.

Dopo aver letto i rapporti della spedizione di Lewis e Clark, Jefferson si rese conto che nelle pianure il suo sistema territoriale aveva bisogno di una pianta come la Maclura, cioè di una pianta che fosse l’incarnazione vivente della suddivisione territoriale della nuova civiltà americana: un elemento essenziale come la costituzione per il governo, o come una pattuglia di polizia per un quartiere, una cosa che definisce, delimita e impone il rispetto della legge.

Thomas Nuttal, il cosiddetto padre della botanica americana, descrisse la pianta nel 1811 e la chiamò con il nome del suo ricco amico William Maclure, un geologo filantropo che visse per un certo tempo a New Harmony, Indiana, culla della scienza nel West e sede della Geological Survey, l’ente governativo deputato al frazionamento territoriale. Gli anelli della catena che lega la Maclura a William Maclure e alle contee di Thomas Jefferson mi sembrano largamente casuali, ma le strette interconnessioni tra gli archi Osage e la suddivisione territoriale derivano dalla natura stessa dell’albero.

La Maclura pomifera è un monotipo, vale a dire che in tutto il mondo è l’unico membro del proprio genere; però nell’era preglaciale molte specie le erano affini. Come abbiamo già visto nel caso della radice del pane, anche qui i nomi comparativi in lingua volgare sono forvianti perché la Maclura non è un arancione un melo (talvolta chiamato melo dei cavalli), ma è un piuttosto lontano parente dell’albero del pane e del gelso. (Nel XIX secolo durante i tentativi di impiantare l’allevamento del baco da seta nel Kansas orientale, i contadini diedero ai bruchi la foglie della Maclura ma ottennero una seta di qualità scadente). Mentre le foglie somigliano a quelle dell’arancio, il frutto, così affascinante per chi lo vede la prima volta o per un bimbo che voglia giocare con una palla, è grande come un pompelmo e quando è maturo ha un colore intermedio tra il limone e la limetta. Ma il legno interno del tronco ha uno stupendo color ocra screziato dal quale deriva un altro nome della pianta, legno giallo. Pare che le palle da siepe scaccino gli insetti (a tal fine si mettono in cantina e in cucina), ma le quaglie, gli scoiattoli e i topi di bosco ne mangiano il nocciolo dopo averne bucato la spessa polpa intrisa di una linfa lattea e resinosa. Durante la grande spedizione del 1819-20 nei territori del West guidata da Stephen Long, il botanico Edwin James scrisse della linfa: «Eravamo tentati di mettercela sulla pelle dove formava una vernice sottile e flessibile che ci dava, pensavamo, una certa protezione contro le zecche». Nel 1828 Timothy Flint, probabilmente per spiegare l’effetto repellente della linfa, disse del frutto: «All’aspetto è molto attraente, ma al gusto è la mela di Sodoma». Insomma, dire che una palla di siepe è inutile significa ignorare che serve a segnare il tempo, a sfamare gli animali selvatici, a scacciare gli scarafaggi e a proteggere dalla febbre causata dalle zecche, per non parlare del seme che produce un albero insuperabile per costruire gli archi e per realizzare la suddivisione territoriale ideata da Jefferson. Ma in quanto a palla da gioco, anch’io sono d’accordo che la mela da siepe non vale una cicca come il vecchio Jack Tal dei Tali.

Il legno della Maclura che gli uomini hanno ammirato per migliaia di anni, e fra i più pesanti d’America: un metro cubo allo stato naturale pesa più della metà di un metro cubo di calcare, ed è quasi altrettanto duro perché smussa rapidamente le punte da tornio e le lame da sega; inoltre, pur essendo prodigiosamente flessibile, è due volte e mezzo più resistente del legno di quercia: un arco di arancio Osage, fatto con una pianticella ben stagionata e flesso con un tendine di bufalo, può scagliare una freccia di corniolo con tanta forza da farla penetrare in un bisonte fino alle penne, e tutt’oggi alcuni arcieri considerano il suo legno superiore al celeberrimo tasso usato per gli archi inglesi. Nel 1811 John Bradbury, incoraggiato da Jefferson, fece un viaggio di esplorazione lungo il Missouri River e disse che il prezzo di un arco di Maclura era elevatissimo poiché ammontava ad un arco e ad una coperta.

I bianchi erano disinteressati agli archi, ma coi tronchi sufficientemente dritti degli aranci Osage facevano gli assali dei carri, i mozzi delle ruote, le pulegge, i manici degli attrezzi, i pali del telegrafo, gli isolatori, i manganelli e le traversine ferroviarie: un esperimento della Pennsylvania Railroad dimostrò che le traversine di quercia, castagno e catalpa marcivano in due anni, mentre quelle di Maclura dopo venticinque anni erano ancora sane e sembravano praticamente nuove. La Maclura servi anche a costruire la chiglia e le centine di almeno un battello a vapore e il primo vagone-mensa del mondo. Il legno dell’arancio Osage, pur così duro, resistente agli insetti e imputrescibile da servire in certi casi a pavimentare le strade in blocchetti gialli, è tanto morbido ed elastico che i rabdomanti ne usano i rami a forcella per cercare l’acqua. Grazie al suo potenziale calorico, i contadini hanno insegnato ai pionieri a usare il legno e le sue radici poco profonde, arancioni come una carota lavata, per preparare certe tinture con cui ancora all’inizio del secolo si coloravano le divise grigioverdi dell’esercito.

Ma per un certo periodo l’arancio Osage è stato molto utile agli agricoltori americani insediatisi fra il Wabash River e il 100° meridiano grazie ad un’altra caratteristica, e precisamente grazie alle spine. Non tozze e uncinate come quelle delle rose né lunghe e micidiali come quelle della robinia – che dopo la puntura fanno male per ore-, le spine dell’arancio Osage, pur modeste, sono abbastanza lunghe e robuste da respingere sia gli uomini che gli animali senza danneggiarli (a parte i topi catturati e infilzati sulle spine dall’averla maggiore Una volta mi sono imbattuto in una piccola Maclura ornata di minuscoli teschi di roditori: sembrava il territorio segnato da una tribù di omuncoli cannibali). Se le spine dell’arancio Osage sono strumenti perfetti, è quasi perfetta anche la sua capacità di adattarsi al clima e al terreno della prateria, di crescere da semi o pianticelle economicissime e di resistere agli insetti. La pianta, una volta che abbia messo radice, reagisce alla potatura infoltendo i contorti rami laterali e crescendo in altezza di oltre un metro l’anno. I tronchi più grossi servono a fare pali o legna da ardere. I contadini dicono che i pali di cedro, di catalpa, di robinia, e di albero del caffè, usati per i recinti di filo spinato, durano una vita, ma che i pali di Maclura possono durare due vite. E dicono pure che un tempo i cowboy, certi della longevità di quel legno, nascondevano ogni anno una bottiglia di whiskey – indispensabile nelle lunghe notti della prateria – dentro il buco di un palo malfermo di arancio Osage.
Poiché la Chase County si trova a nord della zona originaria della Maclura, in tempi preistorici queste colline ne erano prive, ma oggi, soprattutto sulle alture sudoccidentali, la prateria è disseminata da lunghe e scure file di siepi. Ogni tanto questi alberi costeggiano le strade ombreggiandole – uno stupendo regalo per chi ci cammina in luglio-, in altri casi formano un segno netto nel verde, simile alla firma minuta di un contadino defunto che , apposta in calce ai suoi campi, ne rivela ancora i confini. L’arancio Osage, importato nella contea dopo il 1870, decretò la fine dei muretti di pietra e delle annose dispute fra contadini e allevatori di bestiame sfociate negli incentivi alla recinzione e nelle leggi sul bestiame: gli incentivi consistevano in sovvenzioni di 128 dollari per ogni miglio di recinto a siepe, e le leggi consistevano nelle disposizioni che imponevano agli allevatori l’obbligo di contenere il bestiame. Occorsero però molto tempo e molte azioni legali prima che gli abitanti del Kansas si decidessero a seguire l’esempio dell’Inghilterra dove non erano i contadini a dover proteggere le colture bensì gli allevatori a dover cintare gli animali. Tuttavia la Chase County non adottò mai una legge sul bestiame, e di conseguenza i contadini furono quasi sempre costretti a proteggere i campi; ma con l’andar del tempo alcuni allevatori progressisti compresero che un robusto recinto proteggeva il bestiame sia dagli incroci indesiderati con tori randagi di altra razza, sia dagli animali portatori della febbre del Texas causata dalle zecche.

Le file di siepi tuttora esistenti non sono soltanto il risultato dell’antica battaglia fra coltivatori e allevatori di bestiame. I diari scritti dai primi uomini che avevano esplorato la prateria e le grandi pianure indussero i pionieri a pensare che quelle terre fossero prive di alberi proprio perché non avevano alberi: infatti i bianchi, consapevoli della notevole umidità prodotta da un boschetto per traspirazione, immaginarono che un aumento di alberi avrebbe favorito le precipitazioni aumentando l’umidità (senza pensare minimamente all’assorbimento e alla dispersione del vapor acqueo dovuta ai venti quasi costanti). Di conseguenza la gente si convinse che le siepi di aranci Osage avrebbero portato la pioggia. Dei quattro fattori essenziali alla crescita del seme – sole, terra, acqua, protezione – due erano garantiti dalla terra e gli altri due potevano essere garantiti dalle siepi di Maclura, che peraltro servivano anche da barriera antivento. Queste idee si rafforzarono perché, dopo l’insediamento dei primi pionieri nel Kansas orientale, la media delle precipitazioni aumentò con una certa frequenza. Il primo storico della Chase County, H. L. Hunt, elogiando l’agricoltura bianca che aveva reso fertili quelle inutili vastità desolate scrisse: «Dal tempo dei primi insediamenti la nostra contea ha subito un deciso cambiamento climatico provato dalle dichiarazioni unanimi dei vecchi pionieri: costoro infatti dicono che , appena arrivati qui, non potevano coltivare le patate senza coprire la terra con qualche materiale protettivo che mantenesse l’umidità , e che il mais cresceva con mote difficoltà». Quei coloni, nuovi della regione, avevano pensato che la grande siccità del 1860 fosse una cosa normale anziché una breve pausa del più vasto ciclo pluviale.
Le siepi della Chase hanno ormai più di un secolo, ma non servono più a recintare i campi: queste strisce alberate, non potate da anni e quindi alte dodici metri e piene di buchi (spesso dovuti agli alberi tagliati per fare i pali del filo spinato), non recingono più nulla, ma sono preziose come barriere antivento e come rifugio degli animali selvatici. Oggi gli agricoltori le maledicono perché, cresciute a dismisura anche per la ragione che più nessuno ne taglia le radici, fanno ombra alle colture e assorbono l’acqua fino a otto metri all’interno del campo inaridendo due acri di terra per miglio di siepe, mentre i cowboy si lamentano che nei pomeriggi d’estate il bestiame smette di pascolare e si ripara all’ombra delle siepi dove l’erba è scarsa. Una volta Slim Pinkston mi ha detto: – Per allontanare un bue accaldato dall’ombra delle siepi, dove non mangia né ingrassa, bisogna fare i salti mortali.

Nei primi tempi la siepe richiede molte cure. Per ottenere un recinto efficiente ci vuole molta fatica, e occorrono cinque anni prima che una siepe sia cresciuta abbastanza per trattenere il bestiame. La fila di pianticelle alte trenta centimetri che ho piantato anni fa in Missouri, malgrado le mie assidue cure, non è ancora in grado di fermare un infante. Le piante giovani patiscono la siccità, il fuoco, il bestiame e i roditori come il vitello. E’ una siepe che debba fungere da barriera va compattata continuamente e potata una volta all’anno anche quando è già grande.

All’inizio nella prateria le siepi di arancio Osage si moltiplicarono rapidamente, ma l’epoca del loro utilizzo come strumento agricolo finì più in fretta di quella dei battelli a ruota: come la locomotiva soppiantò i battelli fluviali, così il filo spinato decretò la fine delle siepi che, seppur piacevoli e cariche di storia, divennero anacronistiche. Probabilmente il filo spinato non venne inventato per caso nell’Illinois, non lontano dal posto in cui il professor Turner aveva dimostrato che l’arancio Osage era un’ottima siepe da prateria; e sembra inoltre che Joseph Glidden, autore dell’invenzione brevettata nel 1874 da cui discende l’attuale filo spinato, avesse preso l’idea da un ramo spinoso di Maclura (la natura crea e l’uomo elabora: dalla zucca è nata la borraccia).

Anche dopo la diffusione degli efficienti ed economici recinti di filo spinato, gli abitanti della contea (spinti, presumo, da un bisogno da un bisogno profondo che il filo spinato – la corona del diavolo – non avrebbe mai potuto soddisfare) continuarono a piantare gli aranci Osage: infatti la siepe alberata dava un irrinunciabile senso di protezione ai coloni che erano ancora molto legati alle foreste e che, anche nelle successive generazioni, avrebbero trovate minacciose, oppressive e tutt’altro che rassicuranti quelle vaste distese d’erba. I romanzi di Willa Carter, ambientati nella prateria, sono intrisi di un’onnipresente atmosfera oppressiva. Una fattoria col viale d’ingresso nettamente delimitato da siepi poteva ricordare una confortevole e sicura cascina inglese, e la famiglia di pionieri, guardando la distante fila di alberi che segnava la proprietà, aveva sott’occhio tutta la terra cui aveva dedicato la vita e vedeva ben protetto il suo capitale effettivo, il suo investimento, la sua difesa contro l’infido mondo esterno. L’arancio Osage, non meno di un documento legale, evidenziava la proprietà e segnalava al mondo la posizione raggiunta dalla famiglia e il suo contributo alla civiltà. I confini della proprietà erano invisibili, mentre una fila frangivento di aranci Osage, immobili come guardiani, costituiva una barriera tangibile.

Inoltre i recinti disciplinarono il territorio. Prima delle recinzioni, ciascuna famiglia di pionieri, per andare al villaggio, in chiesa o dai vicini, seguiva il sentiero più comodo, e quindi la prateria era intersecata da un groviglio di strade. Ogni famiglia aveva bisogno di attraversare il torrente o la collina in un certo punto, e quindi tutti sconfinavano nella proprietà altrui. Un sistema funzionale di ponti e di strade e il rispetto della proprietà richiedevano un’organizzazione ben più complessa di quella esistente ai tempi in cui bastavano pochi sentieri collinari e poche strade sul fondovalle: ci voleva il sistema ideato da Jefferson. Le siepi, come i marciapiedi urbani, disciplinarono la prateria, delimitarono man mano le strade, incanalarono il traffico e tracciarono uno schema viario così determinante che la gente cominciò a costruire le case rispettando il nuovo e tangibile reticolo e a disporre i mobili –credenze e letti – contro pareti rigorosamente orientate secondo i quattro punti cardinali, col risultato che ancora oggi la Chase County dorme in direzione nord-sud o est-ovest. E siccome le stanze rettangolari sono in quadro col mondo esterno, i dormienti sono ben allineati come una colonna di cifre su un registro contabile: così il loro sonno è perfettamente compartimentato secondo il grandioso reticolo territoriale di Tom.

I cittadini possono dormire tranquilli sapendo che all’esterno dei muri corrono linee divisorie capaci di difenderli da una natura così rigogliosa e invadente da costituire una minaccia costante di prevaricazione e disordine. Per questo motivo, secondo me, la gente conserva le visibilissime siepi di aranci Osage e taglia, diserba, brucia e sradica a forza di ruspe le Maclura debordanti che invadono disordinatamente i pascoli in cui le erbe originarie e anonime predominano da sempre. Ed è anche parzialmente per questo che gli abitanti della contea, magari senza averne coscienza. Fanno la fila sulla Broadway di Cottonwood Falls sotto un temporale estivo per mangiare un pezzo di bisonte alla brace cotto sui vecchi pali di arancio Osage.

E forse questo spiega pure come mai, in un martedì d’autunno, un viaggiatore del Missouri possa mettersi a cercare per ore un arancio Osage adatto a fare un bastone da passeggio; come mai, dopo averlo finalmente trovato, si scortichi tutte le braccia per prendere e come mai infine lo spunti, gli tolga le spine, lo lisci e lo unga fino a renderlo lustro. E questo spiega anche perché, con quel bastone in mano, costui si aggiri nella contea con una sensazione un po’ diversa da prima: infatti l’arnese cui s’appoggia non è soltanto un bastone ma una sineddoche del posto.”

Apprezzatemi, ho trascritto tutto questo testo a mano perchè con l’OCR veniva male.

Prateria usoniana

Ho visto che nella prateria un piccolo rilievo sembra molto di più: ogni particolare sviluppato in altezza diventa fortemente significativo mentre l’ampiezza diventa del tutto insiglificante.

Frank Lloyd Wright, An Autobiography (1943)

Casa di Isadora e Lucille Zimmerman di Frank Lloyd Wright

Wright, usonianesimo

Transizione

Esterno

Interno

Orfana della prateria

Se mi avessero detto, quando avevo quindici anni, che nella mia vita avrei letto tutto William Least Heat-Moon, avrei riso di gran cuore.

Veramente non credo neanche che Heat-Moon sia il mio genere. Non chiedetemi come ho fatto a diventarne dipendente, perchè non lo so.
Ho letto Strade Blu in un momento delicato della mia vita e ho legato il libro a particolari emozioni di libertà e conoscenza di se stessi.
Poi ho iniziato Prateria, che attorno alla centocinquantesima pagina (appena all’inizio) mi ha inginocchiata e costretta a tirarmi fuori di violenza da quel piatto mondo di erba senza fine.
Prateria è fuori commercio in Italia, perciò l’ho ritirato, con somme spese, da Abe Books, pur di averlo. Con questo risultato.
E dato che avevo ritirato anche Nikawa, mi sono poi applicata a quella avventura che mi sembrava nuova ed eccitante: l’America vista da un piccolo battello a scafo piatto, l’America vista da dentro.

Nikava, cavallina di fiume
Lo spessore di Nikawa mette a dura prova un lettore: non meno di Prateria è un lungo fiume fiume fiume fiume attento a quelle fiume fiume fiume fiume dannatissime fiume fiume secche fiume.
Dopo averlo finito, tale era il desiderio di rimanere nelle foreste e nei boschi dell’America, che ho preso, dopo tanti anni, una copia sgualcita di Walden, di Thoreau.
Ma non c’è stato verso, quella prateria appena sfiorata mi osservava dal ripiano, insieme alle sue due sorelle. Infine ho lasciato Thoreau per riprendere Least Heat-Moon.

Stasera la finirò, e sarò un’orfana in mezzo alla prateria.