
I commenti a questo messaggio mi hanno letteralmente stupita: un vero e proprio regolamento di conti tra classi sociali. Come scrisse Pierre Bourdieu nel suo mai tanto celebrato La distinzione, critica sociale del gusto, non c’è nulla che divida le persone come il loro stile di vita.
A parte la deriva linguistica che in molti -con un fremito di perbenismo- troveranno inaccettabile (dovuta peraltro unicamente all’intrusione di Andrea che voleva solo regolare un suo conto personale) e che per sè è del tutto ininfluente se non per collocare una persona in un determinato ceto socio-culturale, ciò che rimane del discorso è l’inconscio rifiuto da parte della classe media dell’accettazione della povertà altrui come funzionale al proprio benessere, e il rifiuto dei ceti sociali con basso potere d’acquisto ma alto capitale culturale a lasciarsi diseredare da tutte le funzioni sociali e politiche, tra cui la produzione d’arte (o di politica).
Dinamica dei campi pura e semplice, condita da qualche colorita metafora, giustificata o se non altro giustificabile, dato il clima natalizio incombente.
Ciò che volevo mettere sul tappeto, e che solo Trem ha capito, e anche forse solo in parte, è che per molti versi non poter consumare è un privilegio, ma per molti altri no (e li ho anche spiegati: non poter viaggiare, confrontarsi, vedere posti, opere d’arte ecc). Difatti c’è un bel punto interrogativo nel titolo, cosa di cui nessuno sembra essersi accorto.
Ciò di cui mi sarebbe piaciuto discutere sarebbe stato quando, come e perchè ciò che apparentemente è una privazione a volte diventa un privilegio, cioè quando ci si riconosce in qualcuno o qualcosa, che possiamo fare nostro, diventandone contemporaneamente parte. E questo sia da un punto di vista sociale, umano, che estetico, giardinesco. Ed è il riconoscimento nell’altro da sè che genera bellezza. Nient’altro che questo.
La povertà è un privilegio anche quando nella ristrettezza più totale, è maggiorato il piacere del dono. Ma possibile, signori, che nessuno abbia letto “Se questo è un uomo” o “Il diario di Anna Frank”?
La libertà della mente non coincide certo con quella fisica, altrimenti Steven Hawking penserebbe solo a come ingoiare, non al quinto postulato di Euclide.
Purtroppo -come capita sempre a me- è finita a tric e trac e castagnole.
Pazienza, la fortuna non è mai dalla mia.

certo che è un previlegio, sai che fortuna non dover mangiare tutte le patatine, i misto cocktail, non devi bere tutti quegli aperitivi inutili, devi accontentarti del panettone classico comprato alla fabbrica di queli venuti male sensa il cartone e non compri quei panettoni orribili con i marrons glacces o con il cioccolato o farciti con la crema ciantillì.
poi non mangi nemmeno i kellogs ma solo pane secco e marmellata della coop a uno e ventove al barattolo e domani non dovo neanche mettermi nell’esodo milanese vuerso sangt moritz per andare a sciare che farà un freddo boia ecc ecc
Sì, sì, sono contenta di tutto questo. Non cambierei la mia povertà con una vita ovattata e opaca. Ma ci sono delle cose che il danaro può comprare e che non posso permettermi, e me ne dolgo. Non posso permettermi un giardino spazioso, con le piante e gli ambienti che vorrei. Ma passi, mi faccio bastare il mio, per quanto piccolo e “cane”. Mi dolgo di non poter permettermi di visitare le mostre o di vedere le opere d’arte, soprattutto.
E poi vorrei poter studiare un po’ più a fondo, ma me ne mancano tempo e possibilità.
Ed infine il dibattito. Frequentare un circolo di persone con cui confrontarti sui temi che hai più cari. I forum sono inefficienti e fuorvianti.
E’ un privilegio non dover sottostare alla tortura della crema sciantillì e dei marron glassè, un privilegio che chi sta bene col portafoglio non comprenderà mai.
Ma non è un privilegio dover -per necessità- sottostare ad una classe di borghesucci ottusi che siccome può girare il mondo a veder giardini si crede di detenere le chiavi del sancta sanctorum della cultura e della raffinatezza. Vedi tutte le sciure milanesi e quella pappa lì.
Fanculo i mediocri.
La povertà un privilegio? Direi proprio di no! Sarà meglio poter scegliere di testa propria no quale stile di vita adottare, o no?
C’è chi non ha problemi economici, tuttavia ha scelto di mantenere uno stile di vita normale, modesto, umile se vogliamo e che odia gli eccessi come quelli che si vedono a Natale.
Essere abbienti non significa per forza essere scemi, schiavi del consumismo e non sapersi godere la vita…
Due cose odiosissime: una è giudicare in base alle apparenze le persone, in base a luoghi comuni che qualcuno ci ha inculcato, la seconda è l’arroganza, la spocchia!
ma con chi ce l’hai?
Per curiosità: è un discorso generale o particolare?
Un po’ tutte e due, erano solo riflessioni a carattere generale…
Condivido tutto ciò che hai detto, solo non capisco perché tu dica: “E’ un privilegio non dover sottostare alla tortura della crema sciantillì e dei marron glassè, un privilegio che chi sta bene col portafoglio non comprenderà mai”.
Che significa? Il fatto di stare bene economicamente non implica automaticamente l’essere schiavo di un consumismo sfrenato e di mode inutili!
Inoltre chi sono io per giudicare la vita altrui ‘ovattata e opaca’ solo per via dei luoghi che uno frequenta o di uno stile di vita apparente?
Conosco gente che non ce la fa alla quarta settimana, però gira esclusivamente abiti griffati. E conosco altrettanta gente agiata e benestante che conduce una vita pacata e parsimoniosa (quindi ‘di tutta l’erba non si fa mai un fascio’).
Ciò mi tocca particolarmente, come la presunzione di certa gente che, come dici tu, crede “di detenere le chiavi del sancta sanctorum della cultura e della raffinatezza”, perché è incapace di vedere niente altro al di fuori del proprio mondo.
A parte questo non ce l’ho proprio con nessuno, mi auguro di non diventare un giorno anch’io così…
Francamente non sono sicura di aver capito questo discorso obliquo ed avvitato, direi degno di uno show postprandiale.
Detto questo ti dirò che hai chiaramente equivocato un discorso personale, una confidenza, un atto di esorcizzazione magico-religiosa, se vogliamo, in una deduzione generica.
Tu stessa mi chiedi :ma che significa? Appunto, chi sta bene non può sapere che significa dover decidere se digiunare lui o il gatto, fare la flebo e pagare l’infermiera o comprare il formaggio grattugiato.
Poi sulle abitudini da consumatori delle varie classi economico-sociali non entro in merito, esiste una letteratura infinita a portata di tutti anche su internet (anche su questo blog, veramente). E’ vero che in molti vivono al di sopra delle loro possibilità, o altri vivono al di sotto. Alcuni scelgono deliberatamente di guadagnare meno per avere uno stil di vita più gratificante. Si chiamano down shifter.
Questo non dimostra nulla.
Sarebbe bello che ognuno potesse scegliere il suo stile di vita, ma è chiaro che nella società attuale ciò non è possibile. Scegliere, come dici tu, “di testa propria” non è dato che ad una piccola porzione della società che si sta assottigliando sempre di più. Ritengo vagamente insultante per quella larga porzione -a cui appartengo- che vive senza lussi e con lo stretto indispensabile e che nonostante questo ha difficoltà ad arrivare alla TERZA settimana, il fatto che ci siano ancora persone che ritengano che questa possa essere una scelta autonoma e non un’imposizione della società liberista al beneficio di una sottile fascia di persone che invece si arricchisce sempre di più.
E’ questo che mi sembra sfuggirti, oltre al fatto che se una persona (io) che vive in un determinato modo dice ad un’altra (o ad altre) che sono abituate ad altri regimi, che chi non prova personalmente questo stile di vita non può effettivamente capire cosa implichi e significhi viverlo quotidianamente, sia prontamente messo in dubbio e tacitato come latore di eterodossia e sovversione. Mentre se uno dice “Eh, non puoi immaginare cosa si prova ad avere il cancro”, sia accompagnato da cenni di compunto assenso.
Le “sciure milanesi” a cui mi riferivo sono le varie miss Gardenia che per avere viaggiato e visto tanti giardino dovrebbero sapercene raccontare un po’ più di cose -e meglio- di quanto fanno mensilmente sulla loro rivista. E sottostare a questa classe culturalmente deplorevole solo per ragioni economiche è una piaga, una sofferenza odiosa.
In tertius: giudicare dalle apparenze non mi appartiene, lo faccio anzi con cautela e alla luce di studi pluriennali. In ogni caso -anche fosse- non mi sembra sia mio monopolio , e forse dovresti darti un’occhiatina allo specchio.
Per finire: spocchia significa, da dizionario, darsi delle arie. E chi mette in piazza le proprie mutande rotte non mi pare si possa dire che si dà delle arie.
Mi sembra che la spocchia e il pregiudizio, in questo caso, stiano da qualche altra parte…
Dispiace anche a me (e non sai quanto) che tu abbia travisato tanto le mie parole, anche il mio era un discorso personale ispirato da ciò che avevo appena letto, ma se lo giudichi troppo idiota…Pazienza!
I termini ‘arroganza’ e ‘spocchia’ non erano certamente a te che si riferivano (altrimenti non sarei qui…), e mi spiace che tu possa aver equivocato.
E’ difficile capirsi sul web, specialmente senza conoscersi, evidentemente è stato un grosso errore da parte mia lasciarti un commento.
Probabilmente, Angela, dovresti cercare di scrivere le tue idee in maniera più circostanziata e meno equivocabile
Angela, l’arroganza e la spocchia sono una virtù di fronte ai tuoi discorsi inconcludenti e ininfluenti.
ci si capisce se c’è empatia o almeno chiarezza nelle parole, con discorsi come i tuoi che non sanno di nulla, che vuoi che che ci capiamo.
Visto che vi piace dire le cose fuori dai denti: ‘Ma andate a…’
grazie è un piacere.
vai in giro a distribuire le tue cazzate e poi ti offendi se ti si dice che non hai capito niente?
bene!
è ora che inizi a capire che certi tuoi pensieri inutili non li puoi elargire come se fossero delle genialità.
Non hai il fegato neanche di dirlo: equivoca e trasversale come sempre. E non scambiamola per buona educazione.
Sarebbe bello che ognuno potesse scegliere il suo stile di vita,
cominciamo dalla grammatica?
Angela almeno cerca di ragionare,voi vi fate le pippe, inequivocabili e circo-stanziate.
mi associo al vaffanculo,siete proprio due vecchi stronzi, inconcludenti e ininfluenti
p.s. arroganti? si.
Mica ho capito: devi avere sviluppato una tua forma privata di comunicazione, perchè da quel che leggo qui non si capisce niente.
A molti piace non ragionare: lo trovano più salutare. Devi essere un salutista.
Lidia, la tua povertà limita la tua libertà. Dove manca la libertà, c’è malessere.
Un giardiniere per diletto ha la possibilità di superare tutto questo?
Alessandro, direi proprio l’opposto. E’ questo il concetto che ho tentato di mettere sul tavolo da gioco, con scarso successo visto che neanche tu ci sei arrivato. La mia libertà fisica è limitata molto più della tua, di Angie, di Trem e di quell’altro stupido che non si sa chi è. Ma proprio per le mie limitazioni fisiche i miei altri sensi si sviluppano in un modo in cui non potete neanche capire. La mia libertà intellettuale è enorme: guarda un po’, mi prendo la cosciente responsabilità di dare qualche schiaffone a chi è ottenebrato da un velo di salutare mancanza di presenza al mondo.
Dovresti forse rileggere “Se questo è un uomo” di Primo Levi, in cui la libertà dello spirito era dimostrata anche da un singolo batter di ciglia, dal regalare un guscio d’uovo, persino all’interno di un campo di concentramento. La libertà di un uomo non viene mai meno, anche nella più totale ristrettezza fisica, anzi, lì più che altrove, proprio come bisogno insopprimibile dello spirito.
Sei caduto anche tu nella trappola tesa da questi due sciagurati che fanno delle maniere e del perbenismo una funzione e non una decorazione. Non posso che dispiacermene, francamente avevo migliori speranze per te.
Caso mai Primo Levi lo devo leggere e non rileggere.
Però mi spiace leggere il tuo malessere, che intacca la liberta intellettuale che ti riconosco. Per fortuna di speranza per te ne ho molta, altro privilegio che a leggerti vuoi farti mancare e che non ha alcuna proprietà fisica.
Alessandro, per me sei di nuovo fuori strada: non si tratta di malessere, ma di sofferenza. La vita è sofferenza e dolore, chi dice il contrario lo fa per convenienza.
Soffrire ti dà più compassione, nel senso letterale del termine, cioè com-patire, soffrire insieme. Sentire il prossimo come prossimo, sentirlo dentro (anche se questo non significa subirlo supinamente) e bada che io non ho un briciolo di fede in nessuna delle religioni attualmente in vigore sulla terra.
Mi spiace che tu mi dica che la mia libertà intellettuale è intaccata dalla mia sofferenza, confesso con dispiacere che mi sembra una psicochiacchiera da salotto appena passabile come cartoncino per un bacio perugina, una frase di circostanza, un rosario automatico di formule canoniche e parole d’ordine
Certo, la mia libertà intellettuale non è completa, e non lo potrà mai essere, nè per me nè per nessun altro, perchè nessuno può conoscere tutto. Di certo non è intaccata dal “malessere” o da altro, semmai dalla mancanza di lettura e di esperienza.
E’ anzi enormemente amplificata dalla sofferenza. Solo che qualcuno la trova scomoda, fuori legge, eterodossa, sovversiva, scostumata, maleducata, arrogante e presuntuosa.
Dimostrando così una sola cosa: che è vera.
Io poi ho potuto beneficiare di entrambe le esperienze (entrambi gli stili di vita, voglio dire), e so quello che dico.
ma che bello il nuovo titolo del blog (solo fino a capodanno però, poi torna il vecchio titolo vero)
Sì, sì, come no.
Allora, facciamo un po’ d’ordine in questo caos.
La verità è che non è stato trattato l’argomento sul quale volevo impegnare la discussione (sul quale esiste peraltro vasta letteratura) per il fatto che ognuno di noi ha parlato non della “povertà”, sia sotto un profilo economico, sociale, religioso, storico, filosofico,etc, per il chiaro motivo che sono riemerse antipatie maturate altrove.
Mi sta anche bene: amo la schiettezza.
Ciò che non accetto è la confusione generata maldestramente da messaggi poco pertinenti, tra la mia persona e il mio pensiero.
Vi esporrò il mio punto di vista, sull’argomento, rimanendo in tema prettamente sociologico.
1) le divisioni sociali diventano modelli su cui si struttura la nostra visione della società. Si chiama “sense of one’s place”, l’atteggiamento che porta ognuno di noi a escludersi autonomamente da ciò da cui la società lo esclude. Pierre Bourdieu lo chiama “amor fati”, Platone “ta heautou”, Durkheim “conformismo logico”.
2) Ognuno di noi classifica gli altri in una sorta di tassonomia sociale, e facendo questo classifica se stesso anticipando l’altrui classificazione.
3) Nulla è più lontano da un atto di conoscitivo (inteso secondo la filosofia tradizionale, quella di Kant, Hume, Locke, etc.) di questo gioco sociale basato sul gusto (Critica del giudizio, Kant), che non è altro che necessità sociale ed economica divenuta seconda natura cucitaci addosso, convertita in schemi motori e automatismi mentali.
4) L’individuo o il gruppo svantaggiato non può far altro che difendere le sue proprietà migliori e in generale non può far altro che lottare per imporre il sistema di classificazione più vantaggioso alle sue proprietà, oppure imporre al sistema di classificazione dominante il contenuto più adatto a valorizzare ciò che essi hanno e ciò che essi sono.
5)Ed è solo nella lotta e grazie ad essa, che i limiti cucitici addosso si trasformano in frontiere valicabili, su cui ci si scontra ideologicamente e che occorre, di volta in volta, spostare. Il sistema di classificazione si trasforma dunque in uno schema oggettivato, istituzionalizzato (in una gerarchia, insomma), solo quando non riesce più a funzionare come senso dei limiti, per tal motivo occorre difenderlo dalla contestazione eretica ed eterodossa da parte dei guardiani dell’ordine costituito: cioè a costituire una doxa dominante.
Come epigrafe aggiungo che la classe media non è mai stata produttrice d’arte. Solo i ceti poveri o le élite intellettuali lo fanno. L’arte del ceto medio è il kitsch, la sindrome del “posh lady garden”.
Ora, questo è quello che credo io, se qualcuno vuole, risponda.
pronti ti rispondo che se magari in linea di massima potrei anche essere d’accordo con quel che dici, ricevo però un fastidio da orticaria leggendoti e incontrando un linguaggio così ricercato e vagamente incomprensibile e volutamente difficile e delle citazioni complicate e in altre lingue quando potresti usare un linguaggio più semplice e una dialettica più comprensibile senza bisogno di citare altri.
per farti un esempio Erri De Luca scrive con un linguaggio molto e molto ricercato e molto poetico ma in modo assolutamente semplice, piacevole, godibile e malgrado il linguaggio semplice riesce a essere profondo e denso. Questo per prevenire la tua possibile obiezione che per fare discorsi alti ci vogliono parole complicate; non è vero, anche le cose complesse si possono dire con linguaggi semplici.
Beh, se hai l’orticaria mettiti il Gentalyn.
Comunque dipende da dove sei e con chi parli.
In un blog come questo, certi concetti elaborati, esposti in maniera scientifica suscitano un certo tipo di risposta (perlopiù priva di vaffanculo, tu stesso hai detto un più medesto “mi dai l’orticaria”), se esposti in maniera semplice attirano il vaffanculo delle teste di rapa.
Ma che bella questa rissa!
Mi mette buonumore… specialmente di questi tempi che giro con 5 euro in tasca per non spendere che l’indispensabile. Poi quasi 4 se ne vanno in un pacchetto di sigarette e risparmio il resto saltando il pranzo (ma si sa che alla mia età mangiare troppo fa male…).
Sono stata più ricca e più povera (questo è uno di quei periodi di basso totale) senza che questo modificasse in profondità il mio stile di vita. Come si dice, i soldi non fanno la felicità ma l’aiutano, perché è bello non svegliarsi nel cuore gelido della notte domandandosi come pagherai l’affitto.
Ma sono stata molto più povera di ora e in proporzione più felice: cosa avevo che non ora no ho? Il tempo, che è il vero oro dei nostri tempi. E la sensazione che ci fosse un po’ più di libertà, ci sono stati decenni molto più bui ma così soffocanti mai… Dunque, essere poveri non è un privilegio, ma dipende: poveri di cosa?
se sei povero di spirito, non ti servono a molto nè i soldi nè la libertà, la tua prigione te la porti addosso.
Se sei povero di soldi, l’unica tua salvezza è la libertà di spirito
ma se sei povero di spirito manco ti accorgi di non essere libero.
la povertà di mezzi materiali affina la sensibilità e aiuta a vedere più chiaro, per discernere ciò che è superfluo da ciò che è essenziale.
Ma solo se sei dotato di un buon bagaglio culturale hai gli strumenti per fare questo, e puoi appropriarti della possibilità di scegliere.
Altrimenti è difficile riuscire a mantenere la propria integrità in questo mondo di messaggi e inviti al consumo e al più volgare conformismo.
Nonostante tutto, però non me la sento di affermare che la povertà è un privilegio, Lidia.
infatti c’è un ?, c’è un punto interrogativo.
il titolo è “La poverta è un previlegio?”
mi sembra che questa domanda celi anche una certa ironia, così come era ironica la mia risposta “certo che è un previlegio, sai che fortuna non dover mangiare tutte le patatine, i misto cocktail, non devi bere tutti quegli aperitivi inutili, devi accontentarti del panettone classico comprato alla fabbrica di queli venuti male sensa il cartone e non compri quei panettoni orribili con i marrons glacces o con il cioccolato o farciti con la crema ciantillì.”
l’ironia è nella tua risposta, Trem, ma la domanda di lo è solo in parte.
Lidia dice che le piacerebbe discutere su “quando, come e perchè ciò che apparentemente è una privazione a volte diventa un privilegio”.
Io, che solo raramente ho il dono dell’ironia, rispondo che per tramutare in vantaggio ciò che è ritenuto comunemente uno svantaggio, ci vuole indipendenza di giudizio, forza e soprattutto vera cultura, altrimenti è più facile farsi travolgere e sentirsi in balia degli eventi
Sì, per essere chiaro è chiaro, ma qui mi pare che si sta facendo un po’ di confusione.
Direi che sarebbe il caso di uscire un po’ dalle ovvietà, no?
La mia proposta era vedere la povertà come posizione privilegiata in una lotta di classe, in un’ottica di non totale esclusione della società.
Forse è proprio questo il punto. Chi è talmente povero da essere totalmente estromesso da qualsiasi tipo di processo produttivo culturale e politico, certamente non gode di un privilegio.
Ma chi ha ancora i mezzi per opporre resistenza al pensiero dominante, io credo che goda di una posizione privilegiata, sia nei confronti dell’élite culturale, sia nei confronti del ceto medio borghese.
se ho ben capito, la domanda che poni è questa: può una classe sociale economicamente svantaggiata ma capace di produrre cultura, crearsi una posizione di privilegio rispetto alla controparte borghese?
In questo caso non sono in grado di rispondere, e per vari motivi.
I° perchè non conosco canali informativi che suggeriscano l’esistenza di movimenti culturali diversi da quelli dominanti, e questa è una mia manchevolezza (a meno che non includiamo il variegato mondo della cultura ‘alternativa’ giovanile, ma qui è difficile distinguere e mi sembra che siamo completamente fuori dal seminato)
II° perchè la mia formazione, essendo ad indirizzo psicologico, rende meno facile vedere la situazione in un’ottica diversa, cioè sociologico-politica; posso dire quindi che esistono singole personalità emergenti, ma non sono in grado di identificarle come parte di un progetto o di un processo culturale espresso da un ceto sociale subalterno.
Non sarei però così drastica nell’affermare che la classe media non ha mai prodotto arte.
Mi viene subito in mente Magritte: più piccolo borghese di lui non ce n’è!
dai ma siamo zeppi di controculture
Abramo, Prometeo, Ulisse e ti ci metto anche Frank Zappa tié e poi anche solo per stare nel musical ludico Jimi Hendrix, Janis Joplin e Marco Pantani.
tutte controculture, siamo pieni di miti controculturali.
ti suggerisco “Controculture” di Ken Goffman, Arcana editore.
massì le controculture.
Che però spesso sono autoreferenziali. E sono una nebulosa così composita e difficile da decifrare per me, che non potrei fare commenti accettabili.
Sono stata abbonata per un po’ a Prometeo, ma poi mi sono stufata, sono solo una casalinga io, molto pop e ancor più pigra, intellettualmente e non solo.
Dopo Pasolini non ho visto niente degno di nota. Ma sarà solo perchè sono pigra e distratta
Un commento interessante e stuzzicante. Io ritengo che nel momento stesso in cui si produce arte si esca dal ceto borghese, collocandosi nel -chiamiamolo così- “variegato mondo degli artisti”. Che possono essere dei poverazzi, come Van Gogh, o dei benestanti, come Degas. ma è nel momento in cui entri in polemica, come già fece Magritte, con il tuo mondo, che nasce qualcosa, un germe di arte.
La questione è ancora più complessa, forse.
Magritte contesta il suo mondo piccolo borghese, ma ne è il prodotto, psicologicamente parlando; cioè il suo immaginario si è formato proprio lì e ancora lì la pulsione alla ribellione.
Però il suo stile di vita è rimasto lo stesso (borghesissimo) fino alla fine, quindi la rivolta è rimasta confinata al mondo dell’immaginario, non si è tramutata in un messaggio o un manifesto vivente.
Nel suo caso, la sua arte parla a tutti e trascende l’appartenenza ad una classe sociale, la sua vita no
ma ross cheddici?
“…perchè non conosco canali informativi che suggeriscano l’esistenza di movimenti culturali diversi da quelli dominanti, e questa è una mia manchevolezza…”
é perché sei pigra, intelettualmente pigra, va che Micio é più curioso e più acculturato di te
sissì hai ragione.
E da quando ho il giardino sono tornata ad essere più ignorante di prima.
comunque ho trovato questa citazione da Henry David Thoreau che fa proprio il caso nostro
“Ah, quanto ho prosperato nella solitudine e nella povertà! Non potrò sopravvalutare l’importanza di questo privilegio.”
e ripensandoci ricordo come anch’io da piccolo amassi la mia solitudine proprio perché questa condizione ha favorito la mia creatività, sulla povertà non so, da piccolo la sentivo ma non mi importava, ora mi fa più paura.
Quindi non solo una condizione di classe ma anche di età, io non credo che la classe sociale determini la creatività. Credo di più nella volontà di emancipazione da quello che hai attorno, sia essa miseria o ricchezza sia economica che intellettuale.
oh ross ma sei fuori?
“…massì le controculture.
Che però spesso sono autoreferenziali. E sono una nebulosa così composita e difficile da decifrare per me, che non potrei fare commenti accettabili.
Sono stata abbonata per un po’ a Prometeo, ma poi mi sono stufata…”
le controculture autoreferenziali? ma uè autoreferenziali cosa, ti cito Abramo e Thoureau e tu mi dici autoreferenziali?
ma dico anche banalmente ti pare che la cultura beat e flower power erano autoreferenziali?
e poi Prometeo nel senso del mito, Prometeo che ruba il fuoco agli dei e viene condannato all’eterno supplizio dell’aquila che gli rode il fegato, mica la rivista Prometeo a cui eri abbonata e poi ti sei stufita.
evidentemente ho equivocato (tu pensavi al mito ed io alla rivista politico-letteraria), ma quanto all’autoreferenzialità mi riferivo esclusivamente alla controcultura contemporanea, che però non conosco a sufficenza quindi è meglio che mi astenga; quelle del secolo scorso le conosco anch’io, ma sono appunto del secolo scorso
Ahi ahi ragazzi. Come Ross fatico non poco a vedere delle nicchie di controcultura, diciamo così, che nascono dallo svantaggio economico. Semmai incontro un bel po’ di borghesi -mi ci metto anch’io- che scoprono che consumare meno è piuttosto trendy e fa molto sviluppo sostenibile -una specie di shabby chic degli stili di vita. Ma non vi insospettisce per esempio tutta questa gran pubblicità che si fa agli orti (l’orto giardino, l’orto sul balcone etc. etc.)?
Poi per strada incontro un sacco di gente, fra cui anche persone con molti mezzi culturali a disposizione, che non hanno lavoro da ormai diversi mesi, o chiudono la piccola impresa e mandano a casa cinque o sei persone, giovani, colte, plurilingue, con figli piccoli, e mi passa un po’ la voglia di ragionare se da questa situazione possa nascere arte.
non lasciamoci traviare da Trem che, essendo un artista, vive d’arte come la Tosca e pensa solo all’arte!
Proviamo a pensare alla cultura tout court: filosofi, pensatori ecc.
Alda Merini?
Certamente nasce in una famiglia non abbiente ed ha una vita parecchio travaglata, ma insomma forse non è il caso di fare un censimento…
Ma certo, anche il neopauperismo è una moda. I vip di hollywood coltivavano pomodori e varie delicatessen sul balcone e li offrivano appena colti, ai loro ospiti. Avete mica visto “Zoolander” con la sua moda “derelict”?
In realtà però così entriamo in una sorta di relativismo senza fine. Ogni teoria lancia una moda, tutto è una moda, etc.
Quanto al discorso della crisi economica e dei licenziamenti. Sono stata licenziata molte volte, e tante altre ho lavorato per mesi senza stipendio. Eppure ho scritto un libro in un periodo non felice economicamente e francamente, neanche familiarmente. Steven King scrisse “carrie” con la macchina da scrivere appoggiata al seggiolone della figlia, in un camper.
Credo sia una delle tante risposte possibili: l’arte come risposta ad una condizione sociale, psicologica, negativa.
Il mio pensiero è abbastanza in linea con quello di Ross, specialmente nel suo primissimo intervento.
La povertà economica è una condizione limitante, certo, e per certi versi trovo che Lidia abbia molto ben espresso il modo in cui la privazione acuisca una sensibilità.
Mi sembra però che ci si dimentichi che tale “sensibilità”, condizione estetico-personale-culturale, non esista come data e connaturata all’esistenza dell’analoga condizione socio-economico di cui all’oggetto della presente discussione.
SE hai cultura, sensibilità, immaginazione, spirito critico, la privazione e la sofferenza possono certo acuire certe qualità, che esistono a prescindere dalla mancanza o meno di risorse economiche.
Ma vorrei sapere quanti “poveri” in senso sociale ed economico, non lo sono anche da un punto di vista culturale -per cause che sarebbe troppo complesso ed ambizioso sviscerare qui.
Da qui a teorizzare la superiorità di una condizione socio-economica ai fini della creazione di Arte o della produzione intellettuale, insomma, ce ne passa.
In questo, credo che la povertà possa al limite essere una posizione privilegiata non tanto di una lotta “di classe”, ma di una lotta individuale, per quel che permette di non preoccuparsi delle conseguenze di ciò che si proclama.
A proposito di Arte – anche se non considerato tra quelli che la fanno, mi arrogo il diritto di parlarne- la vedo sempre arrivare da dove c’è “cultura” (permettetemi di fare volutamente il generalista con questo termine abusato e omnicomprensivo, il tempo è tiranno), quale che sia il ceto sociale o la disponibilità economica. Sia quando l’Arte è creata, che quando è riconosciuta.
Per questo vedo anche che c’è sempre una attribuzione di valore artistico delle cose, esterna alla classe sociale di riferimento; una attribuzione che arriva sempre e comunque da una élite intellettuale, sia che essa navighi nell’oro o faccia i conti col frigo vuoto.
Così noi vediamo dell’Arte in una “cosa” (alla maniera latina) che per chi l’ha creata, vissuta, in realtà non sempre lo è. Mi torna a questo proposito in mente il concetto di Arte Involontaria di Clément.
Tanto per tornare al tema dei giardini, non posso che condividere il sentire di Lidia, quando parla di certi “giardini” poveri, brandelli di umanità condensati in pochi vasi e quattro piante, o anche niente vasi e niente piante. Ma è una sensibilità soggettiva, esterna all’oggetto, una educazione “sentimentale” abbeverata ad uno specifico immaginario, che permette di leggere quei giardini (irregolari?) come tali. Mi chiedo come quegli stessi giardini siano letti da chi è povero di spirito, e da chi sia contemporaneamente povero di esso e di danari.
credo che Lidia non intenda teorizzare la superiorità di una classe sociale, quanto a produzione artistico culturale ( sarebbe facile contestarle un atteggiamento discriminatorio, in questo caso ). E quando afferma che la classe media non ha mai prodotto arte…io non le credo, e forse anche lei, in fondo!
Ma non capisco perchè chi è povero non debba sentire il peso, cioè la responsabilità di ciò che afferma; forse deve non rendere conto a nessuno, d’accordo, ma a se stesso si.
“credo che Lidia non intenda teorizzare la superiorità di una classe sociale, quanto a produzione artistico culturale”
Non lo credo neanche io Ross, e mi scuso se ho dato l’impressione di intendere questo.
Credo, Ross, che Maurizio volesse dire semplicemente che ci sono persone che non hanno “niente da perdere”. Per loro prendere una posizione è molto più facile. Ed è vero, è così. Per chi ha molto da perdere, soprattutto in determinati contesti culturali in cui c’è una doxa dominante, come il giardinaggio, mettersi contro questa doxa o per dirla più smplicementente, inimicarsi l’establishment, significa essere e rimanere degli emarginati.
C’è chi accetta questo compromesso e chi no. C’è anche chi non crede che sia affatto un compromesso, poichè appartiene -appunto- se non all’establishment, almeno alla doxa dominante.
La tua analisi è certo profonda e acuta, ma credo presenti alcune lacune.
Innanzitutto l’analisi della storia sociale dell’arte dimostra pienamente come dalla classe media e dalle classi dei lavoratori urbani non sia mai stata prodotta “arte” se non di seconda qualità. E nel momento in cui un individuo del ceto medio (il che avviene più spesso nel ceto medio-alto), produce arte, egli viene acquisito dalla borghesia culturale, élite culturale, intellettuale, artistica o come preferiamo chiamarla. E fin qui ci siamo.
Ma per i ceti poveri è differente. La loro produzione artistica non viene affatto assorbita dalle élite, che in parte la apprezza, in parte la ignora, salvo poi recuperarla, come ha fatto Philippe Stark con i nanetti.
Il povero non entra mai a far parte dell’èlite culturale, se non di nome. Fattualmente il povero, seppur con alto capitale culturale, non riesce ad entrare a tutti gli effetti nel meccanismo della produzione culturale. Il suo tipo di produzione è strettamente isolata, anche se molto dinamica.
Mi sembra opportuno chiarire che non volessi dire che tutti i poveri sono artisti. Ma neanche tutti i ricchi lo sono. Nè sono artisti tutti coloro che hanno un alto capitale culturale, indipendentemente dal ceto socio-economico in cui siano collocati.
C’è un’altra cosa che dimentichi: la storia ci insegna come la più grande produttrice d’arte sia stata la borghesia colta. E’ stato così per gli ultimi 1500 anni. La borghesia, come classe sempre in lotta contro la nobiltà o l’aristocrazia, le classi più immobili che ci siano, ha sempre prodotto cultura, ed una cultura libera, non tesa alla dimostrazione della sua superiorità. Ne abbiamo la manifestazione più evidente nel ‘700 inglese e francese.
Esiste quindi una posizione sociale privilegiata (non una superiorità intrinseca, ma solo una maggiore disponibilità di mezzi economici e culturali) per la produzione culturale, che è l’alta borghesia.
Il ceto medio e i lavoratori urbani solitamente non sono produttori d’arte, ma solo consumatori, più spesso consumatori di arte di secondo livello se non di kitsch.
Sarebbe egualmente errato che i ceti medi non hanno una propria cultura, che non significa produzione artistica però. Spessissimo, come nella musica, questo tipo di cultura si è dimostrato vivace e dinamico a dispetto di tutti gli storcimenti di naso delle élite culturali. Parlo soprattutto della musica pop e invito agli studi di Claudio Sottocornola.
La questione dell’attribuzione del valore estetico: questa, è vero, proviene sempre dalle élite, che però oggi come oggi sono immobili come lo era stata la corte di Luigi XIV. L’interesse a che qualcosa si muova è venuto meno già da molti anni. Lo abbiamo sotto gli occhi ogni giorno con il cinema o la TV. Mentre vanno più controcorrente alcuni programmi radiofonici e siti internet.
Pertanto le élite non sono pronte ad assimilare qualcosa che non venga da esse stesse e che ne magnifichi l’importanza e la potenza (culturale). Se ciò accade, avviene ad anni dalla morte dell’artista che l’ha prodotta.
Ma la lacuna più grave della tua analisi è il rapporto tra l’arte e il fruitore di quell’arte, che è in assoluto il più dinamico di tutti e quello che rinnova l’opera d’arte nei secoli.
Tu dici : “Ma è una sensibilità soggettiva, esterna all’oggetto, una educazione “sentimentale” abbeverata ad uno specifico immaginario, che permette di leggere quei giardini (irregolari?) come tali. Mi chiedo come quegli stessi giardini siano letti da chi è povero di spirito, e da chi sia contemporaneamente povero di esso e di danari.”
Chi fa un giardino lo fa certamente con l’intento di farlo bello, a suo modo procede alla costruzione di un’opera d’arte. E’ irrilevante che tali opere siano viste come artistiche solo da chi ha una sensibilità abbeverata ad uno specifico immaginario. Se lo sono, questa è esattamente la riprova che sono opere d’arte.
L’arte è un segno coerente, unito, pertanto ha bisogno di due estremi: il produttore e il fruitore. Il produttore assegna alla sua opera un significato, ma nel far questo, insieme alla sua “intenzionalità”, aggiunge una parte, prevedibile o meno, consapevole o no, di “in-intenzionalità”.
E’ questa inintenzionalità che rende l’opera d’arte semanticamente indefinita facendo raccogliere dal fruitore ciò che più gli si confà, cioè acquistando la capacità di legare a sè i sentimenti più diversi che non devono avere nulla in comune con il suo valore semantico vero e proprio.
Opere d’arte unicamente intenzioni sono per l’appunto il Kitsch.
E’ l’inintenzionalità che aumenta il valore artistico, che rende l’arte un fatto comune, sociale. E’ grazie all’inintenzionalità che l’opera d’arte allaccia il suo rapporto con la realtà e che la rende un fatto naturale, cioè ad un fatto che per la propria conformazione e organizzazione non risponde alla domanda “a che serve?” ma lascia al destinatario dell’opera la decisione sulla sua destinazione funzionale. In realtà l’opera d’arte è “fatta” non dall’artista, ma dal fruitore.
L’arte ha natura squisitamente sociale, non privata (ricordo ancora quando mi consigliasti la lettura di “Il capolavoro sconosciuto”).
L’intima struttura di un’opera è calcolata per riflettersi nella coscienza dei fruitori come l’assunzione di un certo rapporto con la realtà, ciò la mette in rapporto con tutti i valori dati per quella società, cioè con la sua ideologia. L’opera reagisce a questa ideologia (Magritte citato da Ross), la conferma o la combatte, prende cioè parte alla sua modificazione.
Lidia tu hai detto:”Ciò di cui mi sarebbe piaciuto discutere sarebbe stato quando, come e perchè ciò che apparentemente è una privazione a volte diventa un privilegio, cioè quando ci si riconosce in qualcuno o qualcosa, che possiamo fare nostro, diventandone contemporaneamente parte.”
Ecco, saltando tutti i commenti relativi all’arte ( pure istruttivi), mi hai fatto pensare che gli unici a cercare la povertà e a considerarla un dono sono coloro che abbandonano il mondo per abbracciare un ordine monastico ( non per forza cristiano) e riconoscersi nel loro Dio. O coloro, rarissimi che vanno ad abitare in mezzo ad un bosco o alle montagne. Si isolano coscientemente dalle dinamiche della nostra società e sono sereni nella loro vita semplice e senza fronzoli.
Chi invece non sceglie di essere povero si dibatte a causa della citata classificazione sociale. Da in lato è materialmente povero, dall’altro si sente infinitamente ricco ( culturalmente). Insomma dove si deve collocare? Su o giu? E perchè questa ricchezza interiore non è socialmente benvoluta come una carta di credito bella piena o un bel macchinone? la cultura in fondo non costa ben più di una berlina , se si fa due conti?
Credo che questo sia un malessere pari a quello di non arrivare alla quarta settimana. Sicuramente meno pressante, ma strisciante dentro l’animo e ti fa chiedere dov’è il senso di questa vita, che pure ci deve essere….forse.
Chiarisco, nel caso ce ne sia bisogno, che ho pensato ad un tipo di povero, quello colto ma precario, che non ha trovato o perso la strada che aveva sperato.
Ci sono altri tipi di povertà, anche più assolute, basta girarsi e guardare in altri continenti ben più martoriati, però il discorso sarebbe stato troppo generico.
Eh! bella domanda! Io vedo la questione in maniera gramsciana: gli intellettuali dominanti tendono a mantenere il loro potere per non perdere il predominio rispetto agli intellettuali emergenti. C’è una grande invidia, ed anche molta competitività in tutti i settori, la cultura non fa eccezione. Tuttavia oggi mi veniva ricordato come a Konrad Lorenz, prigioniero in un campo russo, quando espresse il desiderio di scrivere, fu portata la carta dei sacchi del cemento dagli operai del gulag (a testimoniare un’ulteriore volta come la libertà non sia limitata dalla povertà di mezzi).
Non necessariamente ci si deve avvicinare al misticismo. Prendi Faraday (tanto per uscire dal campo dell’arte), visse la sua povertà con dignità e continuò a non volere avere privilegi anche quando divenne membro della Royal Society e si fece il vestito nuovo quando dovette incontrare la regina.
Un esempio da non dimenticare è Spinoza. Nato in ambiente ebraico (a differenza dei greci che la rispettavano, gli ebrei hanno sempre disprezzato la povertà come segno di peccato), fece sempre una vita modestissima, e si sforzò di teorizzare un liberalismo borghese “positivo”, sociale.
penso che se la crisi di questi mesi avrà portato a una maggiore sobrietà negli stili di vita ( meno angosciante della povertà vera e propria) non sarà stata del tutto insensata. Era tempo che si limitassero i troppi sprechi di questa società consumistica.
Purtroppo però ci spero poco…
Avere meno “oggetti” a cui badare o posizioni sociali da difendere in fondo è una libertà.
le tue citazioni sono un po’ difficili ( ho il neurone ottenebrato, attualmente), però siamo dimenticati degli stoici greci!
Ciao
Diavolo, ho “lisciato” del tutto quest’ultimo commento!
Gli stoici greci, certo, che idiota, come ho fatto a non pensarci prima?
Anche se gli stoici, come i cinici, d’altra parte, arrivavano ad un comportamento morigerato, “povero”, per deduzione e non già vi si trovavano loro malgrado, avevano un’idea del tutto particolare del tempo, vichiana, in cui il principio fondamentale erano i corsi e i ricorsi storici, e pertanto il futuro non poteva portare niente che il passato non avesse già portato. Permettetemi di dire, da fanatica trekkie, che è solo la tecnologia a poter salvare il nostro mondo consumista, non già il ritorno al passato. Chi mi legge e crede che sono una populista, o una radical chic, o che auspico un sessantottino ritorno alla natura, si sbaglia della più colossale maniera. I giardini poveri mi piacciono non solo perchè sono mille volte più autentici dei giardinetti andanti su internet, buoni per farci le cartoline d’auguri di Pasqua, ma anche perchè sono destinati a scomparire, ed è giusto così. Siamo nella nostra infanzia tecnologica, solo la maturazione ci salverà, se ci salverà.
COMUNQUE! per ritornare all’argomento precedente, e Guy Debord? accidenti, ecco uno a cui davvero “non gli stava mai bene niente e non le mandava a dire”. Una persona che certo non basava, come oggi si fa, le sue teorie sul consenso sciatto-democratico-ortodosso-netiquettista, ma sull’eccellenza nietzeschiana, al di fuori dei comuni veicoli di comunicazione. Uno che non si è mai arricchito e non ha mai cercato di diventare un maestro di pensiero per nessuno, ma che ha lavorato per MIGLIORARE la società in cui si trovava, con i suoi mezzi e le sue possibilità.