
Oggi mi è capitato di acquistare un simpatico blocchetto per scrivere, si chiama Il blocco dello scrittore, con consigli e “tips” per superare il famigerato momento di grafopausa che prende chiunque scriva, tranne Bruno Vespa.
I consigli sono carini, e sono anche utili, per quanto non originalissimi, niente di non già letto nei mille manuali di script che mi sono letta.
Guarda fuori dalla finestra, dietro l’angolo,scrivi dieci minuti senza fermarti, racconta un segreto, e tutta questa pappa qui, confezionata in graziosa e comoda veste grafica.
Tutti i manuali di script, le agenzie editoriali, gli scrittori, gli editori, le scuole di scrittura creativa, i corsi per scrivere il romanzo del millennio o la sceneggiatura del giubileo, all’inizio di ogni discorso propedeutico alla scrittura vera e propria, antepongono analoga premessa: scrivere è un mestiere, occorre fantasia, talento, genio, passione e lacrime. Ma occorre riscrivere, elaborare, porre attenzione a delle norme, a delle non scritte regole della scrittura.
Stephen King nel suo On writing dice chiaramente che l’ispirazione non è una fatina che battezza lo scrittore di polvere fatata, ma è un orribile nano con cappello a cilindro e sigaro puzzolente con una valigia. In quella valigia ci sono cose meravigliose e stupefacenti. Ma attenzione, quando l’ispirazione passa a trovarvi, dovrà sapere che site seduti alla vostra scrivania dalle dieci a mezzogiorno e dalle tre alle sette.
Scrivere non è solo questione di fantasia a briglia sciolta, ma è una facoltà che possiamo e dovremmo coltivare e curare, esercitare mediante studio e applicazione. I buoni romanzi non sono fatti solo di talento. E il talento senza applicazione è meno del genio senza regole.
Bene.
Abbiamo letto.
Abbiamo riletto.
Abbiamo capito.
Ma la volete la verità?
Scrivere non è un mestiere.
Si può scrivere per mestiere, in quel caso forse è appropriato usare il termine “scrittore”, che inizia a suonarmi un appellativo meno reverenziale di quanto non fosse in passato.
I libri scritti per mestiere non sono dei buoni libri. Mai. Sono libri commerciali, boom economici, blockbuster, fenomeni, ma non sono mai degli amici libri, dei libri in cui ritrovare se stessi e il proprio mithos fondativo.
Saranno ricordati, elogiati, diverranno materia per il cinema e la tv, faranno parlare, ci scriveranno sopra altri libri, parimenti frutto di mestiere, ma se venissero a mancare nessuno lo noterebbe neanche. La storia della letteratura non ne sarebbe turbata di una virgola.
Il mestiere di scrivere aveva una sua dignità all’inizio del secolo, quando scrittori poveri in canna si celavano sotto altisonanti pseudonimi per pubblicare le loro storie su magazine e riviste. Dopo il boom dell’editoria e da quando il libro è divenuto bene d’acquisto, item, regalo, oggetto, cosa, issue, packaging, collectible e feticcio, scrivere è diventato un lavoro, non un mestiere. Un mestiere ha in sè la nobiltà dell’artigiano, ma qua non c’è nessuna nobiltà. Solo vanità, sciocchezze, moda, soldi.
Non scrivete dalle dieci a mezzogiorno e dalle tre alle sette, non scrivete per vendere, semmai scrivete per non vendere, per non essere pubblicati (è l’unico modo essere pubblicati), se avete il blocco tenetevelo, non fate esercizi che vi rovinino lo stile, siate grezzi, genuini, fate errori, siate quello che siete, non quello che vorreste essere o che potreste essere. Non c’è obbligo ad essere il migliore, a scrivere un capolavoro. Diffidate degli insegnanti, delle lezioni, dei compiti, dei corsi on-line, dei master di scrittura, dello zen e l’arte di riparare il romanzo.
A scrivere un romanzo ci si nasce, non si impara: se non siete capaci rassegnatevi o imparate bene le regole della scrittura creativa e diventate scrittori di mestiere, un bel po’ di gradini sotto il livello del romanzo e del saggio. Siatene consapevoli.
Gli unici maestri validi sono gli altri romanzi, quelli che ci hanno colpito, trascinato e sono diventati memorabili per la nostra vita. Gli insegnanti che imboccano lo sciroppino della scrittura creativa sono appena meno criminali degli astrologi e dei chiromanti.
Scrivere può essere un mestiere. Scrivere bene, no.
Prosit.
…eh! Dato che il tema mi tira per capelli, mi tocca dire qualcosa e mi sa che oggi userò le parole di altri…
Per il tema dei libri “non buoni” mi piacerebbe citare Plinio il Giovane, che riteneva “..che non c’è nessun libro tanto cattivo che non possa in qualche modo essere utile” …interpretalo come vuoi.
Mentre per lo scrivere i libri oggi mi viene in mente Borges che disse “Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto”.
Infine… scrivere bene non può essere un mestiere? Non condivido, ma riflettendoci bene forse spiegherebbe come mai il povero Fante alla fine è teminato come sappiamo. Scriveva bene, ma si era messo in testa di viverci…
Buone Feste!
be’ be’, ma ai tempi di Plinio il romanzo, perlomeno come lo conosciamo noi, non esisteva. E neanche il film. Io credo si riferisse alla saggistica, ed in effetti è vero, latu senso che nessun libro è inutile: anche il peggiore ti insegna cosa NON fare. Ma ti posso garantire che anche a me, che solitamente scelgo i libri con cura, è capitato più volte di incappare in una lettura totalmente inutile, inerte, materiale di scoria del sistema editoriale contemporaneo, e questo sia per la narrativa che per la saggistica.
Scrivere può essere o diventare un mestiere, ma non c’è nulla di nobile in ciò, nulla di elevato, nulla di “poetico”, nulla di speciale.
Mi hai fatto venire in mente un libro che ha spopolato negli anni 70. Forse spopolato è troppo, comunque aveva venduto bene, ed era diretto soprattutto alle donne. Libro altamente erotico, sublime per certi versi ed era un libro scritto per soldi, solo per la vil paga. Un tanto a racconto e lei ne ha scritti più che poteva per farci qualche cosa. L’hai letto il “Il Delta di Venere” dell’Anais Nin? Era un libro commissionato a Harry Miller da un ricco magnate. A lui non veniva (strano) o forse gli veniva porno e non erotico e allora l’ha passato a lei, che avendola come amante, ne aveva provato le capacità. Pensa che goduria scrivere delle cose elegantemente sporcaccione ed essere anche pagate profumatamente. Dici che è una forma di prostituzione vendere i propri sogni erotici?
Perchè non ci fai un concorsino? Secondo me è meglio delle fotografie e poi saresti comunque in tema. Non sono forse i fiori dei vistosissimi organi sessuali esibiti?
Non ho letto niente di Nin, dovrò recuperare ma forse sono troppo vecchia. Non c’è niente di male a guadagnarsi il pane scrivendo, o a scrivere su commissione. Lo hanno fatto tutti i grandi artisti, poeti, pittori, scultori ecc. Galileo s’è mantenuto scrivendo oroscopi, era il Paolo Fox del XVII secolo.
ma c’è una sostanziale differenza tra il sostenere “si può guadagnare scrivendo” e il dire”adesso ti insegno a scrivere, così impari un mestiere”. Questa è prostituzione. Baricco è una gran troia, secondo il mio ragionamento. Ecco, a dirla tutta.
Non sei vecchia… sei giusta ancora in tempa. E poi che male ti hanno fatto le povere troie? Avguriiii
Comunque il mio riferimento scherzoso alla prostituzione, non era rivolto al mercimonio della scrittura, ma dei propri sogni erotici. Comunque è vero che sotto natale girano tanto le palle…dell’albero.