Fare un giardino, di Margery Fish (We made a garden)

Margery Fish
Margery Fish

Ecco il primo libro del 2013: Margery Fish, Fare un giardino, ed. Pendragon , Bologna 2010.

All’inizio del Novecento Margery Townsend incontrò Walter Fish tra gli uffici del Daily Mail, dove entrambi lavoravano. Dopo sette anni Margery ricevette un invito a cena e i due si sposarono, andando a vivere in campagna.
E’ così che nacque il giardino di East Lambrook Manor, considerato ad oggi uno dei più belli d’Inghilterra e uno dei più splendidi esempi di cottage garden inglese.
East_Lambrook_Manor_Gardens

Margery non sapeva una cippa lippa di giardinaggio quando arrivò a East Lambrook, se non quel tanto di cui ogni inglese è imprintizzato, così come noi italiani siamo imprintizzati dalla cucina o dal calcio.

Il libro ha un inizio molto godibile, costruito con quell’umorismo del narrato semplice e piano, sulle vicissitudini della coppia con le operazioni di consolidamento dell’edificio e degli annessi, con i muratori, i fabbri, i lattonieri, con le pietre -che sono una costante di tutto il libro- e che finiscono prima lì, poi là, poi di nuovo lì, poi ho perso il conto.

East Lambrook sarebbe stato certamente diverso senza tutte quelle pietre, che Margery usò in tutti i modi possibili e immaginabili.

Le piccole e delicate fioriture tra le pietre erano una sua debolezza. Divenne bravissima nell'ottenere sentieri fioriti. Credits RHS
Le piccole e delicate fioriture tra le pietre erano una sua debolezza. Divenne bravissima nell’ottenere pavimentazioni fiorite. Credits RHS

Nel raccontare le vicende di East Lambrook, Margery riesce a dare delle informazioni tecniche di buon livello, anche se niente di paragonabile a un libro di progettazione. Ma lo fa con garbo, non con insistenza, come l’ossessiva Celia Thaxter nella sua lotta alle limacce. Racconta i suoi errori, dei consigli ricevuti, dei litigi col marito per come si dovesse sistemare il giardino, seguiti sempre da un’ammissione di torto.

“Naturalmente aveva ragione Walter” e frasi analoghe scorrono in tutto il testo, e anche quando -già all’inizio- capiamo che Walter è morto, Margery continua a dargli ragione, non per un partito preso, ma perchè sa che è vero, e a raccontarci cosa avrebbe fatto lui al suo posto, o a rammentarci un ammonimento, un consiglio, a volte anche un ordine, ricevuti in passato.

Insomma, a dirla tutta questo Walter Fish doveva essere un gran scassaballe, ma lei lo amava. Non lo dice mai, nel pieno stile di fredda compostezza inglese, ma si percepisce fortemente in tutto il libro, e anche il titolo originale “We made a garden” lo conferma.

Quel “noi” è una presenza fissa nel libro, tanto che spesso il testo è scritto alla prima persona plurale (cosa molto rara nei romanzi e ancor meno nei saggi o saggi poetici)

Gesù, salva il mondo dalla brodura mista!
Gesù, salva il mondo dalla brodura mista!

Anche se poi, una volta morto il marito, ha definito il giardino secondo la progettualità estetica che preferiva lei e non Walter. La sua idea era quella tipicamente inglese, cioè la creazione di un giardino che presentasse punti d’attrazione e fioriture lungo tutto l’arco dell’anno.

Effettivamente il risultato è notevole.
east lambrook manor garden
Nei punti più selvatici e meno domestici i giardini inglesi sono insuperabili. Margery aveva buon gusto e una capacità innata di visualizzare un particolare “finito”.

Bulbose a piene mani
Bulbose a piene mani

Margery racconta anche di questa o quella pianta, si sofferma brevemente a dirne le caratteristiche più apprezzabili, e il motivo per cui lei le ha scelte. Non dice “usate questa pianta in questo modo!”, non è mai categorica, mai pragmatica nè poetica. E’ bilanciata, un’osservatrice attenta, paziente e una gran lavoratrice.
EastLambrookManor2012_07

Anche se il risultato a me non convince in molti punti, non si può negare che il giardino di East Lambrook rappresenti una pietra miliare per i giardinieri cottageschi.

datemi un taglierbe, per favore
datemi un taglierbe, per favore

E se il libro è diviso in capitoli che portano tutti titoli tecnici (pavimentazioni, giardino roccioso, lastricato, ecc), Fare un giardino è la storia di come Margery e suo marito iniziarono a lavorare a East Lambrook, una storia apparentemente semplice dietro la quale il giardiniere sa o può immaginare la fatica e le attese necessarie. Ma nel libro non vengono mai raccontate, appena accennate qualche volta. “La pazienza del giardiniere” viene data (e dovrebbe esserlo) per scontata, così come il duro lavoro e lo sterminio delle limacce, senza che la cosa diventi un’ossessione compulsiva.

E se Fare un giardino ha meriti per quel che dice, ha meriti anche per quel che non dice, cioè il superfluo. E di questo ringraziamo.

Margery e Walter fecero East Lambrook.
we made a garden

25 pensieri riguardo “Fare un giardino, di Margery Fish (We made a garden)

  1. ho acquistato il libro non appena uscito… aspettavo da anni la traduzione del libbro della Fisher e l’ho letto in un amen! Mi è piaciuto proprio perchè spesso gli espedienti tecnici e colturali sono conditi da tanto humor e poi Walter non è che ne esca tanto bene… tu dici che era lei la rompiballe? non so…
    manca solo la visita al giardino ora… andiamo?

    1. No, no, il rompiballe era lui. Forse ti sei confusa perchè ho scritto Walter Fish. In effetti lei è nota con suo nome da sposata.

      Poi con questo nome…volente o nolentte ho pensato alla Littizetto tutto il tempo.

  2. Ciao Lidia, scusa è, ma con l’età ci si rincoglionisce finendo per dire sempre le stesse cose. Ma questi inglesi hanno mai scritto o detto di un orto? Dico un orto-orto e non un orto-giardino? Si, no, mah, boh, perché?
    Ma questi giardinieri sono carnivori o poco onnivori, per niente vegetariani? Dico ma non gli vien voglia di un orto? O tutto sommato non c’è niente di interessante da dire?

    1. Gli inglesi moderni, sì, ma quelli, diciamo “storici” no. A meno che non ti riferisca ai vari magazine di agricoltura dell’epoca vittoriana.
      In realtà credo che i Fish avessero un orto. Si andava in campagna in fondo per godere della terra, e quale piacere più grande dell’orto? Forse non lo lavoravano personalmente o vi si dedicavano parzialmente, ma non credo possibile che una così gran tenuta non avesse un orto “all’inglese” cioè recintato da muri, invisibile agli ospiti, e dal quale raccogliere ogni giorno delicatessen. Credo fosse un’abitudine così inveterata da risultare ridicola in un libro, come se uno in un romanzo scrivesse “Othello raccolse il fazzoletto, e la gelosia si accese nel suo cuore. Dopo dovette andare in bagno perchè gli scappava la pipì ché se la teneva da tanto”.

  3. Perché tutti quelli che fanno nascere un giardino poi ci scrivono un libro? C’é una consuetudine al diario anche per i contadini che si appuntano date e nomi di piante, lune, nascite di lumache,arrivo di pidocchi…fare i pizzini per chi lavora la terra é imprenscindibile, il passo che non capisco é il libro. Che amo leggere soprattutto quando dentro al libro ci sono un sacco di guai assortiti che mi confortano, ne ho una collezione, ho un sacco di conforti ma la mia realtà è sempre differente. Sono andata fuori tema, chi assembla tutti i pizzini e ne fa un libro? Gli eredi che si trovano un mare di debiti con i vivaisti?
    e adesso quale opzione delle 3 ,la seconda credo.

    1. Sì, credo che alla base di tutto ci siano i diari di coltivazione e la passione per i vittoriani e gli edoardiani alla scrittura. E poi Margery era una giornalista, era pur il suo mestiere.
      Urka, tuoni e fulmini, devo spegnere il pc!

  4. l’ho letto tempo fa ed anche a me è piacciuto il tono leggero, mai pedante. con cui racconta la nascita e l’evoluzione del giardino. Però la sensazione che lei abbia tirato un sospiro di sollievo quando il marito se n’è ‘andato’ è stata forte; l’avrà anche amato ‘sto Walther, però era un gran rompiballe

    1. Eh, sì. Era libera di far come le piaceva finalmente, ma secondo me sentiva la sua mancanza e anche la mancanza delle restrizioni che le impineva.
      Una cosa devo dire in calce, che ho dimenticato.
      Purtroppo l’apparato inconografico del libro lascia molto a desiderare, tratto distintivo della Pendragon (lo dico con molto rammarico, avendo io stessa sperimentato una certa inefficienza sulle stampe a colori). Alcune non sarebbero state neanche pubblicabili per dimensioni e qualità insufficienti, e non si comprende come mai non siano state anche solo leggermente ritoccate per ottenere meno disturbo e foto più apprezzabili, o perchè non ci sia procurati delle foto recenti a colori da abbinare a quelle piccole in bianco e nero. E’ un grosso neo per una pubblicazione così, che se avesse rinunciato del tutto all’apparato inconografico, probabilmente sarebbe costata un paio d’euro in meno, favorendone l’acquisto.

  5. …”se avesse rinunciato del tutto all’apparato inconografico”…appunto.
    E comunque non si sente affatto la mancanza di immagini in testi di questo tipo, o almeno io non la sento assolutamente, preferisco usare l’immaginazione; che poi basta cercare sul web e se ne trovano subito. Per esempio, visto che lo hai nominato, ho trovato proprio quelle di Trem (ma dove sarà finito?) bellissime e suggestive come sempre. Che strano non abbia pensato di pubblicare un libro fotografico, visto l’enorme archivio che sicuramente avrà; mi sembra ci siano poche pubblicazioni di questo tipo, in italiano

    1. Non saprei, posso dirti che a me ne mandò diverse e che mi diedero l’impressione di una East lambrook molto più articolata e complessa di come la descrive Margery, meno cottagesca e più raffinata, come composizioni di gruppi di piante, delineazione dei sentieri, struttura in generale.

      Sì, è un peccato che su questo giardino si veda e si sappia così poco in Italia.

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