Già, ma chi sono questi benedetti (in tutti i sensi) “poveri di spirito”?
Stando al wiki-catechismo:
I poveri di spirito, secondo il Vangelo, sono quelli che hanno il cuore distaccato dalle ricchezze; ne fanno buon uso, se le posseggono; non le cercano con sollecitudine, se ne sono privi; ne soffrono con rassegnazione la perdita, se loro vengono tolte.
Cioè, secondo il wiki-catechismo tutta la faccenda dei poveri di spirito sarebbe incentrata sui soldi?
Il povero di spirito è:
a) uno che se i soldi ce li ha li usa bene
b) se i soldi non ce li ha, non se li va a cercare
c) se li perde si rassegna
Io ho fatto -credo- in tutta la mia vita due lezioni di catechismo. Non ricordo di essere arrivata mai ad una terza. Temevo e avevo orrore del catechismo più delle iniezioni. E ai miei tempi mica c’era pic indolor, c’erano quelle siringhe di vetro, che le dovevi bollire per sterilizzarle e che ci avevano un ago grosso come un palo della luce, perciò quando dico che avevo terrore/orrore del catechismo, non dico semplicemente che mi ci dovevano portare a forza, come a scuola, ma che dovevano legarmi mani e piedi alla sedia e ficcarmi un fazzoletto in bocca per non farmi strillare.
Quindi chiedo lumi a chi è più catechizzato di me. E’ vero? E’ tutta ‘na faccenda de soldi, ‘sta cosa dei poveri di spirito?
Allora diciamo i poveri di soldi, e basta, ché facciamo prima.
Detto ciò, penso che la Bibbia non sia totalmente da buttare, neanche il Nuovo Testamento, la parte più taroccata e farlocca della religione cattolica.
E questa cosa dei poveri di spirito mi ha sempre incuriosita. Ovviamente dobbiamo pur pensare che la Bibbia è stata scritta molti secoli fa. Non duemila anni come ci dicono, ma certo mille e passa di sicuro. Perciò è ben possibile che per “povero di spirito” significasse semplicemente “beato quello che si cala qualsiasi dogma dall’alto e non fa domande, va a zappare la terra, viene a pregare e fa tutto quello che diciamo noi” , ove quel “noi” sta per i ministri della Chiesa in tutte le loro sfumature, varianti e assortimenti di monaci, preti, pastori, monache, monsignori e don.
Facendo le proprozioni, eliminando tutta la parte marcia della mela, tenendo per buono il nòcciolo, scartando l’interpretazione del wiki-catechismo incentrata su li sordi, e rapportando ad oggi questa frase, allora chi sarebbero i poveri di spirito?
“Povero di spirito” oggi mica suona tanto bene, e neanche ieri suonava bene. Dà l’idea di un ignorante, di un gretto, di un meschino, di uno che non sa elevare il proprio spirito alle bellezze del mondo, alla grandiosità dello spirito umano, della creatività, della musica, della poesia, di uno altro che non li cerca, li sordi, di uno che te li ruberebbe dalla tasca, se potesse.
Nella migliore delle interpretazioni si dice che uno è “povero di spirito” quando è un buon ignorante, un povero matto, un bonaccione che non capisce quello che fa, un ritardato.
Esiste è vero, il mito del “buon ritardato”, ce lo siamo trovato davanti in ogni minestra, dalla letteratura alla tv, al cinema alle fiction. Ma dobbiamo credere che per accedere al Regno de’ Cieli occorra essere mentalmente menomati? Non è certo questo il significato, nè antico, nè contemporaneo di questa frase. Dostoevskij dovrebbe aver qualcosa da dire in proposito.
Una volta lo chiesi a mio padre e lui mi disse: il povero di spirito è colui o colei che crede nella buona fede delle persone.
E vedete come rimaniamo in ambito religioso anche con la terminologia usata: “buona fede”?
E penso che questa sia la definizione più prossima ad una verità solida, sociale, laica, realmente umana.
Non so francamente se alla povertà di spirito -intesa come enunciato sopra- possa essere disgiunta una certa dose di “pruppaggine” *, cioè di ingenuità. Una ingenuità che a volte ci conduce a ricevere delle delusioni, spesso anche aspre, ma che fa parte integrante del carattere di alcuni tra noi. Un’ingenuità incolpevole, un’ingenuità che non significa stupidità o remissività, ma semplicemente una naturale predisposizione a credere che il tuo prossimo non sia “cattivo”, che le azioni compiute da chi ti è vicino non abbiano lo scopo di danneggiare alcuno, e che se danni vi sono stati, siano da imputarsi alle complesse interazioni sociali della moderna civiltà.
Un povero di spirito non va a “sfruculiare” **, non “sprova” *** le persone.
Mi considero un po’ migliore dopo quella conversazione. Un po’ più povera di spirito e po’ più ricca di spirito. Una ricca e povera, insomma.
Per concludere questo post disarticolato, che mi ballava in pancia da non so quanto, penso che questo genere di povertà sia un po’ carente al giorno d’oggi. Tutti dovremmo esercitare la nobile arte della filantropia e fare più spesso “voto” di quel genere di povertà, nella vita vera soprattutto.
Sappiate che su Facebook non conta.
* pruppaggine: termine dialettale calabrese per indicare una persona semplice, ingenua, facile da raggirare. Deriva da “pruppo”, cioè “polpo”, il quale si avvinghia alle braccia del pescatore e viene semplicemente tirato su e messo nel secchio. “Pigghjiari nu pruppu” ha un significato ironico, simile al detto “scoprire l’acqua calda”.
** sfruculiare: punzecchiare, sollecitare, tormentare volontariamente e con cattiveria, anche fisicamente. Ricercare nel torbido, in eventi trascorsi, nei segreti di una persona, raggirarala facendole confessare le proprie pene e i propri sentimenti per poi correre a divulgare la notizia.
*** sprovare: mettere alla prova la sincerità o la falsità di una persona, tramite tranelli verbali, con o senza la complicità di altre persone. Il termine deriva dal registro culinario, in cui “sprovare” si usa per definire l’atto di controllare lo stato di cottura delle carni con un lungo spiedo di acciaio.
Cara Lidia, piu’ ti leggo, piu’ ti conosco, piu’ ti apprezzo.Le tue ideee sono le mie.A partire dalle siringhe, che per la paura, da piccolo, stringevo la chiappetta,e una volta l’ago si spezzo, ando’ a suppurazione la parte.Adesso porto l’onorificenza della siringa, altro che ordine della giarrettiera.Si fa presto a dire poveri.Poveri cristi senza quattrini.Ne ho conosciuto che avevano, con dignita’, spirito,cultura da fare impressione , tanto odore di poverta’ che te l’appiccicavano addosso.Ricordo, da bambino, una signora tedesca, il cui marito schiaffato a prescindere dagli americani in campo di concentramento, a guerra conclusa, nel 1947, in Italia, portava con estrema eleganza la sua condizione, che per sfilarsi l’abito, si adornava il collo di carta velina, per non macchiare di pallidoincarnato uno dei suoi due vestiti? E di Ezra Pound che vidi con atteggiamento dimesso,con un indosso un maglione di giorni migliori, accarezzare il sole, su un muretto di un paesino vicino Bolzano?.E della vedova di un pescatore ad Ischia, che non si lamentava della sua scheletrica pensione, e con il sorriso quieto affermava di non desiderare nulla? E i miei nonni che con una insalata di pomodoro e cipolle si sentivano re,e poi per gli orfanelli del santuario di Pompei facevano buone elargizioni, perche’ a loro non mancava niente, ma a quei miserelli, mancava tutto, anche l’affetto che invece a me come nonni davano, regalandomi il pomeriggio, sui vespri, una liquerizia di quelle a barchetta, che allora leccavo, a cinque anni un po’ alla volta per non farla finire.Ricordo di aver letto, tanti e tanti anni fa, un libro il cui titolo era” SI FA PRESTO A DIRE FAME”, volendo l’autore con queste parole decrittare l’argomento della poverta’ ,della fame e di che cosa pensa della poverta’ chi ne ha sentito solo parlare, e quindi in cattedra ne discetta. Filantropia, ne scrivi, ne parli.Io parlerei di altruismo, generosita’,sensibilita’, di fare agli altri cio’ che vorresti venisse fatto a te stesso. Un mea culpa, ma in senso cristiano, dovremmo recitarcelo. Grazie del tuo scritto.
Grazie del tuo commento, ché ho dovuto indurire il cuore per non star male. Anche perchè neanche io me la passo bene quanto a soldi. Non metto la carta velina sul colletto del pile, forse perchè oggi la carta velina costa più del pile.
Non so bene che rispondere. Se dico che sono povera tutti mi danno addosso perchè mi autocommisero, ma potrei dire di aver mai vissuto in ricchezza? no, e come ebbi modo di scrivere, ho tardivamente capito che la povertà mi ha salvato l’anima.
bellissimo articolo. mi sono identificata specie quando scrivi del catechismo. grazie
…mi viene da pensare che le lezioni di catechismo abbiano seminato un po’ di terrore tra i ragazzi della nostra generazione…
A me le lezioni di catechismo da ragazzo (che non mi dispiacevano) hanno insegnato che si può vedere i fatti della vita da angolazioni differenti e quello che per uno è un dramma per un altro può essere una cosa insignificante.
Per la faccenda dei poveri di spirito direi che il succo della storia è che si vive più sereni senza farsi troppe seghe mentali, pur applicandosi costantemente per vedere la vita in tutte le sue sfaccettature e apprezzando quel che si ha senza soffrire troppo per quel che non si può raggiungere senza “vendere l’anima al diavolo”.
Che potrebbe essere trasposto in “buttare all’aria la propria morale per ottenere vantaggio a tutti i costi”.
ma allora questi “poveri di spirito” non rientrerebbero nella categoria dei “giusti”, che -però- non sono nominati nelle Beatitudini?
Insomma, i poveri di spirito sarebbero gli onesti?
ciao,
per un’onesto non è per forza un povero di spirito, può essere uno molto scafato che però ha dei forti valori morali (o paura della finanza).
Per me un povero di spirito può come uno che ha la semplicità e l’ingenuità dei bambini o comunque qualcuno che vive senza usare mille malizie. Sicuramente non ha vita facile, ma un giorno potrà contare in una corsia preferenziale per il Paradiso!! 😉
ma esisterà ‘sto paradiso (non inteso come “giardino”)?