La ferocia delle donne al potere in un sistema maschilista

Il tema della ferocia delle donne di potere riemerge frequentemente in questo periodo in cui la prima premier della storia italiana è una donna. Da Giorgia Meloni, che ha peraltro un aspetto con le caratteristiche che sono state nobilitate dal razzismo inglese, capelli biondi, occhi azzurri, pelle chiara, fisico snello anche se minuto, ci si aspettava di più -non in quanto governante – ma proprio in quanto donna.

Avendo tra l’altro brandizzato politicamente la sua femminilità, la sua maternità e religione, Meloni è spesso additata quale negazione di tutte e tre le cose (donna-madre-cristiana).

Quanto a spietatezza, Meloni viene spesso associata a Ursula von der Leyen, a Angela Merkel, a Margaret Tatcher. Tra i commenti sui social leggo spesso elenchi di nomi di donne di potere di cui viene rimarcata la crudeltà, e -se il commento è di un maschio – inevitabilmente segue la chiosa: “Dicono che le donne al potere non farebbero le guerre, ma mi pare tutto l’opposto” (o qualcosa di analogo).

C’è una versione breve e c’è una versione lunga per spiegare tutto questo, userò quella breve: in un sistema di governo maschilista e patriarcale, non può che essere così. Sarebbe assolutamente, del tutto, in qualsiasi modo impossibile che non fosse così.

L’attuale sistema economico, il capitalismo globale, considera le donne quale forza lavoro e forza riproduttiva da controllare, non da includere della struttura di governo. Ovviamente, grazie alle lotte femministe e al progresso scientifico, le donne sono riuscite a creare delle incrinature, ricavandosi qualche spazio, inserendosi man mano sempre più in alto. Il lavorio per ottenere questo risultato dura da millenni ed è costato milioni di vite di donne. E qui si apre un grande ossimoro della lotta politica all’interno della società capitalista. La lotta per l’eguaglianza si esprime infatti attraverso le dinamiche capitaliste, in seno alla collettività. È quindi naturale che le espressioni ultime di quella lotta non rappresentino i valori teoretici iniziali, o di chi la abbraccia o la combatte ai “piani bassi”. In definitiva, Giorgia Meloni non rappresenta un “risultato” per il Femminismo, se non di tipo meramente statistico.

Il sistema capitalista patriarcale non ti mette sullo scranno di Presidente del Consiglio Italiano se propugni parità salariale o l’aborto gratuito. Ti ci mette solo se fai i suoi interessi, in quel caso per la donna ci sono molte ricompense.

A riguardo trovi un intervento di Michela Murgia al minuto 5:23 di questo interessante video (Il muschio selvaggio, con Fedez) in cui Murgia dice “le donne che non rompono le palle al patriarcato escutono i dividendi”. Se vai a 1h09, Murgia aggiunge che il patriarcato “serve alla guerra” (1h09m). Se poi lo ascolti per intero, è anche meglio, perché è ricco di riflessioni interessanti che appaiono quasi preveggenti.

Tutte le donne di potere hanno agito secondo il sitema patriarcale e capitalista, accentuandone anzi l’asprezza, perché una donna che occupa un posto abitualmente assegnato a un maschio, deve dimostrare di “esserne all’altezza” (…). Ciò implica non solo ricalcare deliberatamente o inconsapevolemente modelli di comportamento maschili, ma esasperarli. Inoltre, per essere arrivata fin lì, dividendi o meno, una donna -chiunque essa sia- ha certamente lavorato molto su sé stessa, sulla sua capacità di reazione e controllo. Questo porta a un normale inasprimento del carattere. Si aggiunga il mito della donna mansueta e angelica per aumentare lo stigma verso le donne di potere che usano la stessa spietatezza delle loro controparti maschili.

Esercitare il potere in un sistema in cui è “il potere” a essere spietato, porta chiunque a farlo secondo quel parametro, secondo quella relazione tra chi agisce e chi subisce. Il modo in cui il potere viene agito il più delle volte non è neanche determinato dall’individuo, ma dalla struttura politica. L’individuo-personificazione può certamente aggiungere del suo, ma è comunque e sempre incanalato su quel binario. È il potere patriarcale a determinare la ferocia, non il genere di chi la esprime! Le donne, in quanto persone, possono essere buone e cattive, feroci o miti, bellicose o pacificatrici, o una via di mezzo di tutto ciò. Sembra così superfluo da dire, ma per molti maschi i puntini non si collegano. È per questa ragione che sostengo che il governo dei maschi abbia fallito, e che è ora che le donne prendano il potere. Certo, in un sistema non-patriarcale.

Le frasi antifemministe del tipo: “Mettiamo le donne al potere, hanno detto! Ed ecco cosa ci troviamo!”, “Le femministe dicono che le donne sono migliori di noi, guardate Giorgia Meloni e rimpiangete Berlusconi!” sono ormai ubique e purtroppo le leggo anche su account su cui non vorrei davvero leggerle. È per questo che ho scritto questo post.

Il potere del maschio ha fallito: si è dimostrato essere fonte infinita di carneficine. Ora tocca a noi donne. Sorelle, abbiamo molto lavoro da fare.

Che fiori sono quelli che Sebastian Stan stava portando il 12 dicembre 2022? The Sebastian Stans’s floral bouquet after Golden Globe nomination december 2022

La rete impazza per i fiori di Sebastian Stan dopo la nomination al Golden Globe per “Pam&Tommy”. Nomination della quale Seb non sembra curarsi dopo aver detto che i social gli stanno indigesti (stacca il numero e mettiti in coda).

I fan e le fan si chiedono a chi e dove li stesse portando. Non lo so, ma a guardare i fiori si può tirare una conclusione abbastanza chiara.

Abbiamo un bouquet molto alto e di un certo peso, considerando l’altezza di Sebastian e la sua forza. Il bouquet deve essere sostenuto con due mani durante l’attraversamento della strada. Ovviamente si deduce la presenza di un vaso abbastanza impegnativo, forse di cristallo, di forma quadrangolare, ottimo per essere utilizzato su una mensola o su un mobile, molto meno come centro tavola (sarebbe stato tondeggiante). Difatti la composizione è regolata per essere bella da tutte le angolazioni, ma è privilegiata la parte frontale con il logo.

I fiori sono delle orchidee Vanda, degli ibdidi di Anemone coronaria e di Matthiola incana. Questi ultimi due sono giganteschi, personalmente non li ho mai visti così grandi, e immagino che la coltivazione di piante dal fiore così pesante sia estremamente costosa e non diffusissima. Ci sono anche delle rose da taglio del tipo HT.

Il verde pare il Ruscus che va tanto di moda oggi, che tra l’altro l’Italia esporta molto facilmente.

I fiori -si capisce dal marchio- sono stati confezionati da Julia Testa a Manhattan e basta guardare la sua gallery di foto per trovare molti dei fiori del bouquet di Seb.

Logo di Julia Testa -New York

Ora, io non conosco molto bene le abitudini di gifting degli americani per quanto riguarda i fiori, ma immagino siano molto simili alle nostre.

La composizione trasmette pace e gentilezza, ma anche una certa vivacità. La Matthiola, nella sua versione spontanea, è anche un fiore edule.

In Italia sarebbe una bellissima composizione per festeggiare la nascita di una bimba (dato che è prevalente il rosa) o un compleanno di una bimba, un battesimo, o qualche evento legato a una bambina.

Tutte le foto sono state scaricate dal Daily Mail, a questo indirizzo:

https://www.dailymail.co.uk/tvshowbiz/article-11531215/Sebastian-Stan-looks-relaxed-sweater-beanie-earning-Golden-Globe-nod-Pam-Tommy.html

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Una considerazione sull’incidente durante le riprese del film di Baldwin

Da appassionata di cinema e da umana, rimango esterrefatta dai social-comment sull’incidente sul set di un film, che ha visto la morte della direttrice di fotografia Hutchins e il ferimento del regista Rios. A fare fuoco l’attore Alec Baldwin, dopo che il tecnico assistente aveva dichiarato “sicure” le armi di scena.

I commenti si sprecano e si aprono in un ampio ventaglio di tipologie, che quasi corrisponono a dei “tipi” umani, lasciando spazio all’azzardo culturale di determinare una fenomenologia del commentatore, non diversa da quella utilizzata da format di talk show o reality.

C’è chi ha letto il titolo della notizia, ma credeva fosse una fake news. C’è ci si spende nello spiegare che in USA si usano armi vere caricate a salve, chi precisa che anche a salve possono essere letali, enumerando gli incidenti fatali sui set. Chi spiega la differenza tra un revolver, una carabina e una semiautomatica. Con la fattispecie di quello che ti spiega tutto l’ambaradan del colpo in canna. Chi trancia l’argomento dicendo che è ciò che succede quando metti a sparare una persona che non sa sparare, seguito dal sarcastico/cinico/ che si chiede perché a Baldwin sia ancora consentito di recitare.
Eh, ma quante persone che conoscono le armi che abbiamo sui social! E con una certa dovizia, devo dire! Non sono un po’ giovani per essere tutti ex militari della Guerra nel Golfo? O sono carabinieri e poliziotti che commentano? Aaaaahhh, ecco perché i carabinieri e i poliziotti, quando li vedi al posto di blocco stanno sempre al cellulare: sono impegnati a mettere commenti sulle armi da fuoco! E io che pensavo che stesso sulle datig app, che scema!

Perché se sono uomini “normali”, intendo studenti, insegnanti, liberi professionisti, commercianti, ecc. , per essere così precisi, queste armi le conoscono, le possiedono, le usano. Non si tratta di armi da caccia, ma di armi da fuoco da offesa, pistole con caricatore o a tamburo. Quanti ne abbiamo di uomini non appartenenti alle Forze dell’Ordine che commentano sulle armi da fuoco? Eh, mi sa parecchi, in proporzione. E questi qui, immagino abbiano un porto d’armi? Sì? Eh, bisogna dedurre che in Italia ci sono un sacco di uomini col porto d’armi, allora! Non sarà che si acquisisce un po’ troppo facilmente? E se non ce l’hanno, com’è che sanno tutte queste cose sulle pistole?

Un conto è che queste discussioni avvengano in America, e in luoghi virtuali specifici, come IMFDB, ma in Italia hanno un che -come dire- di inquietante. In America, si sa, la pistola la regalano quando inizi a perdere i denti da latte, ma in Italia avere una pistola dovrebbe essere difficile per una persona “normale”. Con tutta evidenza di conoscitori di pistole ce ne sono parecchi (considerando anche quelli più furbetti, “astenuti” dal commentare). E sinceramente il sentirmi attorniata da questi maestri d’armi, non è che mi faccia sentire troppo sicura.

Spero sia chiaro dove voglio arrivare.

“Mi girano le ovaie”, “Mi sono rotta il cazzo” e la parità di genere attraverso il linguaggio volgare, le imprecazioni e le bestemmie #1

Da grande appassionata e fruitrice del linguaggio volgare, colloquiale, del registro linguistico parlato anche nella scrittura, dei regionalismi e delle parlate vernacolari di tutta Italia, mi sono posta frequentemente delle domande sulla natura linguistica delle parolacce, un argomento peraltro stuidiatissimo dai linguisti e dalle linguiste, ma forse non sufficientemente divulgato.
La linguistica delle volgarità è di grande interesse poiché rivela come una società interpreta persone, azioni. Come recepisce e stigmatizza alcuni comportamenti, oltre ad avere un interesse storico non indifferente, poiché alcuni termini affondano la loro etimologia in tempi remoti e attività che oggi sono totalmente dimenticate. Di alcune parole non si conosce neanche l’etimologia, la si suppone in modo confuso. Data la vastità delle volgarità vernacolari italiane, i cui dialetti sono innumerevoli, sarebbe importantissimo uno studio regione per regione di etimologia, glottologia e lessicografia delle volgarità. Peccato non si faccia per pudicizia, forse, o forse per inerzia.

Nella mia pur modesta esperienza di volgarità assortite, sono riuscita a distinguere dei macrogruppi di volgarità:
1) parole attinenti al mondo degli animali (uso non esclusivo delle volgarità)
2) parole attinenti al mondo della sporcizia fisica e degli escrementi, umani e no
4) parole attinenti al genere e al sesso
5) parole attinenti alla classe sociale, in particolare al mondo rurale
6) parole attinenti al mondo delle divinità, dette anche “bestemmie” (alcune con emendamenti e varie sovrapposizioni al gruppo 4).
7) borderline sono le parole che riguardano la figura delle persone, malattie e disagi vari. Sono piuttosto diffusi e molto usati nel corso dei secoli, ma sono diventati una forma di insulto codificato nella seconda metà del Novecento. In ogni caso non sono “parolacce” quanto termini dispregiativi che nascono da un lemma a cui viene applicato un suffisso accrescitivo o dispregiativo (ad esempio “grassona”).

Altri termini insultanti, che possono riguardare attività illecite o immorali sono semplici offese, e questi non sono pertinenti all’insieme delle volgarità.

Se campo qualche altro paio di secoli, mi piacerebbe occuparmi anche degli altri macrogruppi, ma ho prestato particolare attenzione al gruppo di mio maggiore interesse, cioè il gruppo 4 (termini attinenti al genere e al sesso).

Ah, questo articolo sarà pieno zeppo di volgarità e bestemmie, chi si sente leso o lesa, preventivamente può lasciare la pagina fin d’ora.

La mia riflessione nasce ahimé tardiva, dopo aver sentito alcune femministe dire “mi girano le ovaie”. In quel momento ho pensato al mio pancreas, la nefrolitiasi e al DNA mitocondriale. Ma è una “parlata volgare” o siamo in una puntata del Dr. House?
Se a me dicono: “Mi girano le ovaie” mi viene da pensare a una ecografia, lo dico chiaro.
La lingua è la lingua, e non basta una semplice inversione o sostituzione del termine, occorre che questo sia stato incamerato come “volgare” o “gergale” per essere utilizzato come volgarità che sortisca il suo effetto, cioè quello di generare un rafforzamento dell’immagine figurata.
È anche possibile che “Mi girano le ovaie” arrivi a essere un equivalente femminile di “Mi girano le palle”, ma dubito che accada entro la fine del millennio.
La ragione è semplice: le ovaie -così nominate- sono una parte anatomica del corpo femminile. Non sono un eufemismo di quella parte anatomica. Le “palle” invece sono un eufemismo per “testicoli”. Perciò non fa ridere o non aggancia l’immaginazione.
Il punto è proprio questo: NON ESISTE un eufemismo per ovaie. O si dice ovaie, o si dice ovaie. Se non viene inventato un eufemismo gergale per “ovaie”, non ci sarà nessuna vera volgarità correlata a questo termine, ma solo blande fotocopie della volgarità al maschile.
Come non esiste una pornografia per donne (intendo una vera pornografia per donne, non quella che trovate sotto l’etichetta “nubile porn”) ancora non esiste una volgarità per donne, che non deve necessariamente essere l’inverso di quella maschile. Le ovaie potrebbero non girare o ruotare, ma fare altri movimenti, o nessun movimento affatto. “Mi sono rotta la vagina” è una scena da E.R. Medici in prima linea.
Presto, qualcuno chiami il dottor Benton! Sala operatoria uno!

È importante che il femminismo (di qualunque femminismo si parli) almeno inizi, anche goffamente, a inventarsi un suo proprio mondo di volgarità, e questo passerà dalla terminologia anatomica, al suggerimento di quella terminologia, all’eufemismo, e ad altro che non so immaginare (chi potrebbe?).
Si ripete un po’ il problema del neutro, che in italiano non esiste (ne parlerò prossimamente in un videino, appena riesco a toglievmi l’effetto cvespo dai capelli, tefovo). Dei mille modi pensati a tavolino non ce n’è uno che vada bene, dall’asterisco al trattino, la -u- o l’inclusivo con la ripetizione, che genera a volte effetti comici.
L’invenzione a tavolino dei termini è ricorrente nella storia delle lingue di ogni paese (noi abbiamo avuto i numerosi termini inventati da D’Annunzio), ma per quanto riguarda le volgarità, è davvero difficile inventarle. La volgarità verbale nasce dalla necessità di esprimere quel concetto in modo iperbolico o rafforzato, o elusivo, allusivo o catartico. È per questa ragione che il grande calderone delle volgarità sono i regionalismi e i gerghi, non i dizionari e le grammatiche.

La sintesi è che non c’è nessun disdoro nel dire: “Mi avete rotto il cazzo”, perché in quanto espressione generica, immaginativa e colloquiale, per di più così diffusa, diventa immediatamente -come dire- unisex.

Più problematico l’uso di espressioni come “figlio/a di puttana”, “porca troia”, “porca madonna” (esempio in cui si fondono i gruppi 1, 4 e 6 -animali, sesso e divinità), “rottainculo” e altre espressioni analoghe che individuano con estrema precisione nella figura femminile unicamente l’elemento sessuale visto dalla parte maschile. Come apparirà evidente, l’inverso in questo caso non è fattibile.
Ad esempio il classico “figlio di puttana”. Se dico a una persona “figlio di puttana”, potremmo arrivare a uno scontro verbale o fisico (quando i decreti sul Covid consentiranno le zuffe), mi potrei beccare una minaccia di qualche tipo, ma non ci sono gli estremi per una qualsiasi azione legale.
Cos’è la controparte maschile della puttana? Non banale domanda. Il marchettaro? No. Il marchettaro è socialmente individuato come un omosessuale che va con altri uomini, non necesessariamente omosessuali, a pagamento. Quindi non un uomo che si fa pagare per fare sesso con molte donne.
Vediamo: il “toy boy”? No. Il “toy boy” è un giovane bello e aitante che si fa lautamente pagare per essere sfoggiato da donne ricche e di solito avanti con l’età. Ma diciamo che è di uso “quasi esclusivo” perché cesserebbe quella funzione di attrattività che la ricca signora vuole le sia conferita dalla compagnia del ragazzo. Insomma sta con una donna alla volta.
E comunque “figlio di toy boy” non è granché come insulto, eh.

Non esiste l’inverso della puttana. Non esistono maschi che si fanno pagare per fare sesso con molte donne, per strada, in auto, al freddo, massacrati da “mammone” che gli chiedono il 90 per cento dell’incasso giornaliero e li violentano anche, o li prendono a pugni, o col mattarello, nel caso. Non esiste questa “figura professionale”.
Quindi? Che tipo di uomo va con molte donne? Il puttaniere. Ok, “Figlio di puttaniere” non è malvagio come insulto, ma stiamo ancora insultando le donne.
Che facciamo allora? “Figlio di maniaco sessuale”? Uhm, non mi dispiace. “Figlio di pedofilo”? Querela subito.

Ricapitolando: la Legge italiana consente a chiunque di dirmi in faccia che mia madre è una prostituta. Mia madre è una prostituta: tutti me lo possono dire senza che io possa far altro che difendermi verbalmente. Una persona in fila alla posta potrebbe dirmelo, una cassiera incazzata potrebbe dirmelo, il centralinista Telecom potrebbe dirmelo. Tutti. E la Legge Italiana? Zitta, muta.

Ma se io dico: “Figlio di pedofilo” scatta la querela. Ah sì.
Si accettano suggerimenti.

E per oggi, fine prima parte.

Il livello Telecom

Il “livello Telecom” è uno stadio dell’esistenza umana nell’epoca post-capitalista. Non per tutti si chiama “livello Telecom”, potrebbe essere “livello Eni Gas e Luce”, oppure “livello Infostrada”.
In termini psichiatrici e antropologici, il “livello Telecom” identifica quella fase dell’esistenza in cui non si è più capaci di mantenere le apparenze e si diventa completamente inabili nel contenere il fastidio arrecatoci da persone, cose e situazioni. In letteratura medica si riscontrano diversi comportamenti: non rispondere più al telefono manco se è dio (ciò include la messaggistica istantanea: i messaggi vengono visualizzati, ma se non richiedono risposta, vengono ignorati), non rispondere al citofono, buttare vecchi oggetti come cimeli familiari o mobili, ignorare i rompipalle e sfancularli implicitamente, “amici”, datori di lavoro e eminenti personalità incluse.

Il “livello Telecom” prende questa denominazione (che, come avete visto, è variabile) dall’espressione della voce durante i colloqui con il 187. Se non avete raggiunto il “livello Telecom” probabilmente tentate ancora di essere cortesi con l’operatore che vi risponde, vi sforzate di esporre il vostro problema con gentilezza, di infilare una sorta di sorriso immaginario nel dialogo, anche se tutto risulta innaturale e “sudato”.
Quando avrete raggiunto il “livello Telecom” il tono della vostra voce suonerà inequivocabilmente minatorio sin dal salve, il mio numero cliente è ….
L’operatore Telecom, che è come un cane da tartufi per capire l’umore delle persone, ché Freud poteva portarsi le barche all’asciutto a confronto, risponderà a tono, perché lui o lei, il “livello Telecom” l’ha raggiunto molto prima di voi. Perciò ve lo dico, non pensate di poter battere un centralinista Telecom: semplicemente in voi la “telecommaggine” non è così forte. Immaginate di essere cintura marrone e loro dan di novantesimo livello.
Alla vostra richiesta il suo “attenda” suonerà come lo vedi questo bottone? Se lo schiaccio la tua linea andrà per sempre a 2 mega, perciò non ti conviene.

Anche con i call center che propongono offerte il soggetto che ha raggiunto il “livello Telecom” non tenterà neanche la strada del mi scusi sono sotto la doccia, no grazie non mi interessa, non le faccio perder tempo, etc + saluto di cortesia. No. Chi ha raggiunto il “livello Telecom” riattacca, e basta.

Il soggetto che ha raggiunto il “livello Telecom” è perfettamente capace di chiudere rapporti personali o lavorativi anche di lunga data se si sente in qualche modo insultato o -anche involontariamente- privato della sua dignità. Il soggetto “livello Telecom” non sopporta telefonate di durata superiore agli otto minuti.

Il soggetto “livello Telecom” non è assoggettabile con la forza di volontà o con la blandizie e difficilmente nutre ammirazione per le “persone normali”. Diventa assai pericoloso se si compie un’evidente ingiustizia di fronte ai suoi occhi: nel qual caso potrebbe reagire con violenza.

Il soggetto “livello Telecom” diventa aggressivo e in grado di arrecare seri danni in caso di saccenza e in presenza di persone che parlano con tono di voce acuto. È infatti testato che frasi come ma tu sbagli, dovresti fare così, non ti sei comportato bene, hai fatto un errore, guarda me, perché non hai chiamato me e similari possono indurre il soggetto a afferrare la prima cosa che capita e scagliarla addosso all’interlocutore.

In particolare le risposte con due o più parole, di cui la prima è “no”, determinano una reazione violenta e incontrollabile.

E poi c’era Chris

chris evertC’era Martina, e poi c’era Chris.
Chris Evert.

Bella, bellissima, stupenda. La Barbie faceva la figura da stracciona confronto a lei. Romantica, originale.
Martina, un fascio di genio, muscoli e allenamento, che l’hanno resa la persona che ha giocato il miglior tennis della storia. Piatta, affusolata, con delle ginocchia da farti spavento, e i capelli lisci e dritti come spaghetti, color biondo lavastoviglie.
Irriducibili l’una di fronte all’altra. Amiche fuori dal campo.

C’erano Martina e Chris, e con enorme distanza, tutte le altre.

chris evert maglia arancio

Chris Evert ha avuto il dritto più spettacolare della storia del tennis femminile. Forse non il più forte. Non forte, non palestrato, non urlato, come quello di Steffi Graf o di Monica Seles, ma che spettacolo, signori.

Mano sinistra avanti, apertura, ginocchia piegate, e via, il colpo la faceva scattare come un elastico che appoggiava la pallina all’incrocio delle righe.

chris evert dritto

Elegante, composta, waterproof, mai banale e mai arrendevole. Micidiale come un martello in mano a un cecchino. Quando Martina scendeva sulla terra contro Chris, tremavano le ginocchia anche a lei.

C’è Martina e c’è Chris. E poi -con infinita distanza- tutte le altre.

Rosa 'Chris Evert'
Rosa ‘Chris Evert’

Il mondo vuole la privacy, io volevo la libertà

Oggi Mozilla si sveglia e ci dà delle notizie (magari accadesse più spesso). Un sondaggione che ci illumina su cosa vuole il mondo dei mozilliani.
La privacy. Il mondo vuole la privacy.
Il mondo vuole la privacy

Peccato, io volevo la libertà.
peccato io volevo la libertà

Etologia del pubblico dei convegni sidernesi

Ho scritto “etologia”, e per assonanza, non posso fare a meno di pensare alla parola “scatologia” (non “escatologia”, che forse non ci starebbe neppure male).
E buon per chi non deve prendere il dizionario. Continua a leggere “Etologia del pubblico dei convegni sidernesi”

La perduta poesia di una foglia rossa

vermont_pinterestD’autunno e d’inverno rammento spesso quel che rappresentava per me, ormai tanti anni fa, una foglia rossa.
Una rarità, un tesoro. Si raccoglieva e si custodiva tra le pagine di un libro: un libro grande, adeguato, come il dizionario o un volume dell’enciclopedia. Se era piccola si poteva racchiudere tra due fogli di carta assorbente e infilare in un romanzo già finito, amato, dimenticarsene e poi ritrovarla dopo anni o lustri. Continua a leggere “La perduta poesia di una foglia rossa”

“Stella Polare”, 10 e 11 dicembre a Bergamo

Ricevo e pubblico un comunicato su Claudio Sottocornola, un amico e una persona di grande spessore culturale e umano. Un acuto indagatore, dotato di sguardo critico e capacità di discernimento, senza mai essere appesantito da pedanteria o faziosità.

Continua a leggere ““Stella Polare”, 10 e 11 dicembre a Bergamo”