Oltre il confine (The crossing)

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Noi siamo stracci. Stracci per raccogliere il dolore, non diversamente da come Holden voleva una coperta per coprire il suo corpo morto.
Siamo solo testimoni: McCarty non ci lascia entrare nei suoi personaggi.
È il ruolo che ci spetta: la testimonianza di orrori infiniti, albe rosse di sangue e morti senza un motivo. Cadaveri seppelliti dalla polvere, lasciati indietro come cosa caduta, res nullius, se non degli avvoltoi e dei corvi.
Povertà, freddo, fame, calli rotti e geloni per miglia e miglia. Ci sarà sempre un solido distacco tra noi e loro.

La loba, quanto per la loba?

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C’è un punto dell’America Settentrionale che condivide alcune propaggini della Sierra Madre messicana.
È tra le montagne del New Mexico che inizia il viaggio di Billy Parham. Vicino a Roswell, dove i film hanno ambientato lo sbarco degli ufo nel 1947. Siamo abituati a vederlo come un deserto, ma quando sulle montagne nevica, nevica come in Shining. Sulle Sacramento Mountains la neve è alta metri, soffice, candida, intatta, letale. Una lupa attacca e uccide le bestie del mandriano. Un giorno Billy ha un’idea, una trappola speciale. Come nello Scrivano fiorentino cercherà di aiutare il proprio padre a portare a casa un po’ di cibo, e catturare la lupa.

Sarò a casa per pranzo.

Il suo viaggio non finisce con un furtivo rumore di scarpe durante la notte, un abbraccio e delle lacrime. Seguendo la loba Billy attraverserà il confine, entrando in Messico. Sceso dalle montagne troverà un paesaggio diverso, senza punti di riferimento, disarmante, arso, incontenibile. L’ombra è come un miraggio, fin dove si volge lo sguardo sembra che una maledizione abbia risucchiato le ombre dalla terra. Neanche gli alberi portano frescura e ci si sente la bocca impastata di polvere.
Missioni spagnole dai muri bianchi, viandanti pietosi, caballeros, prostitute di buon cuore, dottori avidi e maledetti, strani viandanti, pazzi e gente che vive in comunità xenofobe, di volta in volta lo metteranno in strada o fuori pista, alcuni racconteranno storie incredibili sui propri viaggi, altri –più semplicemente- cercheranno di rubargli il cavallo o di ucciderlo.
Il giovane Billy ritrova la loba, ma non la salva. La loba era stata costretta alle lotte tra cani, per di più incinta. Si difenderà come solo una bestia inferocita può fare. Morente al suolo, i broker avrebbero fatto in modo che guarisse e ricominciasse,in un inferno senza fine. I cuccioli? Allevati come animali da combattimento.
Billy prende il suo canne mozze e le pianta un paio di colpi in testa. Fugge, senza soldi, senza indumenti se non quelli che indossa, senza cibo.

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La fuga lo porta in un paese di cui non capisce le usanze, diverrà più grande, sarà ferito, agonizzante, salvato e curato, lavorerà e si guadagnerà un po’ di zuppa di fagioli. Ma non perderà mai la sua onestà di cuore, né riuscirà mai a capire quel popolo o a diventarne parte. Il minimo di interazione sufficiente ad una dignitosa sopravvivenza e il desiderio di tornarsene a casa. Imparerà a gestire l’acqua in un paese dove di acqua ce n’è poca o troppa senza misure. Lo sguardo intorno affaticato vede le praterie riarse e poi di nuovo verdi, roride e luccicanti, dove i cavalli pascolano nei recinti delle haciendas.

All pretty horses.

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Occorreranno anni, anni e altri anni, morti e ancora morti, fame e sete, perché Billy ritorni a casa. Quando ritornerà, la sua casa non ci sarà più e i suoi genitori morti; suo fratello, seguendolo, morirà anch’egli.

Què es nel saco?
Los huesos de mi hermano.

Raccoglieremo il suo sudore, il sangue dei suoi piedi, il suo vomito.
Solo alla fine del viaggio, una volta tornato dove c’era stata la sua casa e i suoi genitori, maledirà il mondo, scagliando un bastone contro un cane così storpio e macilento che sembra rappresentare tutte le sofferenze che hanno percorso il suo viaggio.
Tornerà già dalla collina a chiamarlo, ma del cane nessuna traccia.

Si è soli col proprio dolore.

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Viaggio nelle praterie del West, di Washington Irving, ed. Spartaco

Viaggio nelle praterie del west_washington_irvingLeggere questo libro è stato difficile, per me. Più volte ho avuto la tentazione di chiuderlo: quasi a metà, dopo la metà, un po’ prima della fine. Ho tenuto duro perchè descrive gli spazi aperti del west, quella zona ai piedi delle Montagne Rocciose, dove spesso sono ambientati anche i romanzi di McCarty, o alcuni racconti di Faulkner.
Ma la lettura è stata lenta, bradipica, sofferta. Non per lo stile di Irving, che è molto frizzante, quasi salgariano. Ma -be’, sì- perchè è un libro che prima delle praterie, prima del cielo, prima dei cavalli, parla della “nobile arte della caccia”. Continua a leggere “Viaggio nelle praterie del West, di Washington Irving, ed. Spartaco”

“Meridiano di Sangue”, di Cormac McCarthy, terza candidatura ufficiale per il prestigioso Premio “Amore al Risciacquo”


McCarthy è un mostro sacro contemporaneo e su Meridiano di sangue c’è già una sceneggiatura, forse più d’una, anche se non si sa chi-dove-come-quando-e-perché.
Dopo l’Oscar dei Coen per Non è un paese per vecchi, le attese sono altissime.
Di Meridiano di sangue si dice che sia il “western definitivo”, un’opera che riporta il genere alla sua origine.
Si dice che sia il più grande libro di McCarthy, dopo, o forse prima, di Suttree.

Ho incontrato McCarthy come credo sia successo a molti, leggendo La strada. Dopo ho scoperto che aveva scritto un mattone micidiale sulle praterie tra il Texas e il Messico, la cosiddetta “Trilogia della Frontiera”. Capirete che dove sento parlare di praterie mi scatta l’acquisto compulsivo ed è finita che ho letto tutti i libri di McCarty, ma proprio tutti.

Ebbene, questo è di un genere differente, più affine come natura stilistica a La Strada, che pure è minimale nelle descrizioni e nei dialoghi, quanto questo è invece barocco, addirittura ostentatamente “anticheggiante”, rispetto ad altri romanzi più strutturati, sia da un punto di vista del linguaggio che del contenuto, come Il buio fuori, Oltre il Confine, Città della Pianura e -appunto- Suttree , il suo vero capolavoro.
Ciò che accomuna La strada a Meridiano di sangue è l’innaturalezza dello stile, forzatamente scarno per il primo, quasi epico il secondo. In poche parole, mi sono apparsi volumi scritti a tavolino, quale meglio, quale peggio riuscito.

Meridiano di sangue vorrebbe essere ma non riesce. E questo non si può perdonare ad un autore (prolifico) come McCarthy che è “riuscito” tante volte.
E per citare un commento letto su IBS sì, bah, buh, bello, ma…magari qualche deserto in meno ci sarebbe stato.
I personaggi sopra le righe, assolutamente surreali, non convincono proprio, neanche esercitando brutalmente la volontaria “sospensione dell’incredulità”. Siamo davvero lontani da Harrogate in Suttree.
La figura del Giudice Holden appare caricaturale, le descrizioni, seppur magistrali, ripetitive e praticamente identiche tra loro, i toni sono ricercatamente debordanti in similitudini fantasiose che risultano quasi da sculoetta di scrittura creativa, da licealino pensoso, amante del cosmo e della geologia.

La trama è un succedersi di eventi -il che è un tratto tipico di McCarty- non un intreccio vero e proprio, e questo può andare. Ma gli eventi sono sempre eguali con appena qualche variazione un po’ bislacca.

La violenza, il sangue che letteralmente scorre tra le pagine di questo libro, non ha il sapore metallico del ferro, ma quello artefatto dello sciroppo di cioccolato che usò Hitchcock per Psyco.
Molto, molto più crudele, annichilente, violento, devastante è un romanzo breve, come Il buio fuori, rispetto a questa sequela infinita di morti ammazzati, teste mozzate, violenze su donne cadaveri o morenti, scorribande, attentati, fughe, trappole, uomini nudi o indiani alla carica vestiti da clown in un’atmosfera da giudizio universale, e appunto, deserti, deserti, deserti.
McCarty qui non può o non vuole trovare l’autenticità narrativa, e compone quello che a me sembra una triste caricatura di se stesso, dei suoi libri, del suo stile.

Decisamente patetico nell’uso paratattico dei verbi, legati dalla congiunzione “e” che ricorda l’Hemingway di Il vecchio e il mare, cioè il perggior Hemingway della storia, e un vero classico del Midcult americano.
I verbi usati al passato remoto o all’imperfetto, correlati dalla congiunzione “e”, hanno sempre un che di “bibbieggiante” (E Abramo andò sul monte e Dio gli disse bla bla. E Abramo scese dal monte e parlò al suo popolo e lo ammonì…).
McCarthy è un credente e io immagino abbia studiato la Bibbia a fondo, non a caso Montanari, che lo traduce in Italia, è un conoscitore dei Vangeli.
Anche Tolkien fu accusato di accennare troppo da vicino alla Bibbia con l’incipit del Silmarillion e di usare parole obsolete per definire una realtà storica passata.

In conclusione non Kitsch, ma davvero Midcult questo deludentissimo Merdiano di sangue, che per l’altezza da cui piomba fa un botto assordante.
Se il prestigioso Premio Amore al Riasciacquo avesse la categoria “delusione del decennio”, si sarebbero potute aprire le scommesse al botteghino.

Stanti così le cose il libro Meridiano di sangue, di Cormac McCarthy, ed. Einaudi, si candida al prestigioso premio Amore al Riasciacquo nelle Categorie:
Orchite e
Potemkin