Il professore che non leggeva Marina Abramovic

E adesso che ho preso l’abbrivio e mi sta crescendo dentro una sana “ira del gusto” e mi sento decisa a mettere tutto nero su bianco, vi dico anche questa.
Alla presentazione di un libro che considero l’epitome del crollo della cultura cosiddetta “elevata” in Italia, ebbi l’occasione di fare qualche domanda all’autore, un professore universitario blockbuster e pieno di sé quanto un uovo bollito. Si era poco prima parlato di quanto il livello del gusto si sia abbassato in questi ultimi cinque-dieci anni, e di come ciò che era inaccettabile sia stato promosso, passando nel corso degli anni da brutto a medio, da medio a bello, da decente a capolavoro.
Il professore concordava, affiancando alla mia domanda delle strenue riprovazioni alla massificazione del gusto, all’infantilizzazione del pubblico, alla mercificazione della cultura, dando delle spiegazioni precise e circostanziate.
A fine presentazione l’ho inseguito per chiedergli un po’ di cose, rubando tempo prezioso per il check-in. Alla mia ultima domanda “Che ne pensa di Marina Abramovic?”, il professore mi risponde, sudato, scocciato e pallido: “Mi spiace, ma non conosco questo autore, non ho mai letto nessuno dei suoi libri”.

#ciaone

Marina Abramovic«: The Artist Is Present Photo by Marco Anelli. © 2010 Marina Abramovic«
Marina Abramovic«: The Artist Is Present Photo by Marco Anelli. © 2010 Marina Abramovic«

La mattina del Professor Dracula (citazioni, nostalgia, logaritmi, Platone, Marina Abramovic e l’antico vaso cinese travolti in un turbine di arte e sonno)

Gli occhi di un cane scappatore e ululatore, non fidatevi
Ieri è stata una giornata terribilmente faticosa, così sono caduta addormentata verso le otto di sera. E dato che nessuno aveva chiuso i cani, la cara Bibo si è data all’ululagione notturna più che mai, svegliandomi alle quattro di stamattina.
Avevo fame e mi sono fatta una colazione con un Pu Erh “riposato” e del pane tostato. Su Telereggio davano Dracula, quello con Vincent Price. Peccato non averlo beccato dall’inizio.
Poi ho vagolato un po’ alla ricerca di programmi con potere altrettanto svegliante, ma il meglio che ho trovato è stata una lezione di arte contemporanea per Nettuno, su Rai2.
Il professor Come-si-chiama è partito da Platone e dal suo concetto di idea primigenia, divina, fisiologica, semiotica, neurologica o genetica, scegliete voi, per arrivare alla Venere degli stracci e a Maurizio Cattelan.
Come-si-chiama ha detto: “il cerchio si chiude”, mostrando Una e tre sedie di Kosuth.
E questo mi ha risvegliato (proprio il caso di dirlo) un pensiero che aveva attraversato la mia fragile mente durante il film Midnight in Paris.

L’arte è come la matematica. Parti dalle quattro operazioni e dalla tabellina, arrivi all’aritmetica più complessa, al calcolo differenziale, alla geometria non euclidea e infine ti ritrovi la teoria della Relatività e un paio di quanti fluttuanti tra le dita.
Tales of the Jazz Age, è il titolo dell’opera di Fitzgerald a cui tutti avranno pensato vedendo Midnight in Paris. Chi non vorrebbe conoscere Fitzgerald? Chi non vorrebbe fare un po’ di chiacchiere con Platone o con Degas?
L’artista non può escludere il passato dalla sua opera, tanto più che la sua opera sarà inevitabilmente una delle molte possibili somme di tanti elementi della storia dell’arte precedente. Una somma algebrica, una media ponderata, una media armonica o di potenza. Una sottrazione, una radice ennesima, una variabile bernoulliana. Il che non giustifica il citazionismo e l’autocitazionismo, sempre più in voga nell’arte contemporanea, giardino non escluso.
L’arte non si muove nel discreto, ma nel continuo, come la vita stessa.
Non puoi fare lo studio di una funzione se non conosci le quattro operazioni e non capisci Duchamp se non conosci Giotto.

Garantito, timbrato e protocollato.

Perciò mi fanno sempre incazzare quegli storici che sanno tutto della Transavanguardia e disconoscono Poussin. E anche quelli che fanno il contrario, veramente. Sanno tutto sulle punzonature dei cibori barocchi e non distinguono Van Gogh da Picasso.
Meglio fare il copista, l’amanuense, ché c’è è più nobiltà in quel lavoro che nel grigio sollazzo dell’erudizione senza nè conoscenza nè sapienza.
Lo stesso vale per la storia del giardino: capiremmo Villandry senza conoscere l’orto medievale o il giardino Tudor, o Sissinghurst senza conoscere il giardino rinascimentale italiano o quello barocco francese?

E allora se per noi il sogno può essere un natale vittoriano, per Degas l’età dell’oro era il Rinascimento, e per Poussin il mondo dell’antica Grecia, Platone, Socrate e l’Arcadia.

Conoscere il passato per vivere con maggiore autocoscienza il proprio tempo. Un artista non può vivere il proprio tempo (il che equivale a dire che non può operare sulla realtà, quindi produrre opere d’arte) se non conosce quello passato, perchè compito dell’artista è anticipare il futuro.
Voler proseguire la “timeline” dell’arte, sentircisi dentro o perlomeno appaiati, non è necessariamente un atto di negazione o di abiura, più spesso l’opposto, anche se spesso il desiderio di proiettarsi nel futuro viene confuso con un generico senso di fastidio per il presente, soppragliosità, puzzosottoilnasismo e presunzione (solitamente sono le teste di cazzo che fanno questo genere di confusione: alle persone di cultura e dotate di intelletto non accade).

Quindi durante la lezione Nettuno ripensavo alle parole del professor Come-si-chiama. “Il cerchio si chiude”.
Il cerchio si chiuderà, direi che sarebbe la considerazione successiva, per ora è una circonferenza al cui completamento mancano parecchie sezioni, o forse, con maggiore approssimazione, una spirale.

Perciò ho pensato a un paio di cosette che mi piacerebbe fare per allungare questa spirale. Dopo il vaso cinese mi piacerebbe impacchettare Marina Abramovic.

la sanpaulara

Se poi finisse che non respira più e muore soffocata, si potrebbe mettere sotto formalina insieme allo squalo di Damien Hirst.

E come si poteva chiamare uno che metteva gli squali in formalina? Giusto il 666 sulla nuca gli mancava. Per fortuna s’è dedicato all’arte e non alla scienza.

Ditemi se non ha la faccia da serial killer