Odi et amo, quare id faciam, Rhyncospermum requiris. Nescio


Sta bene ovunque, troppo ovunque.
In vaso? Lui va.
Pergolato di dieci metri? Ve lo copre.
Tutore a forma di cane con potatura a barboncino? Non fa una piega.
Troppo sole, troppa ombra, troppo caldo, troppo freddo? Qualcosa la fa comunque, e quando il rincospermo fa “qualcosa”, spara profumo come un lanciafiamme a pieno carico, e questo è colpire basso.

Mi si taglia il cuore, perché il rincospermo è ubiquo, usato a casaccio e malamente, la sua bellezza svilita, tenuto al guinzaglio con museruola e collare.
Pianta “d’importazione”, che risponde a esigenze di mercati climatici differenti, freddi, a scapito di bellissime piante subtropicali che da noi sono sempreverdi o quasi. Ma se il mercato dice “rincospermo”, il rincospermo abiterà le case di tutta Italia, e lo farebbero altre piante come campanule e sassifraghe, se non fosse che qui non ci vogliono proprio stare.
Il rincospermo è comodo da stoccare e facile da vendere come una mela stark.
Tosato a siepina contro le cancellate delle villettine borghesucce mi fa venire l’ittero. Alcune persone dovrebbero essere interdette dalla pratica del giardinaggio.

Accanto a un orto tenuto un po’ così, libero, sul tetto una brutta casetta intonacata grossolanamente, portaccia in metallo, il Rhyncospermum riacquista la sua dignità di pianta, il suo valore ornamentale e non “funzionale” in un’ottica tutta “problemi e soluzioni”.
Compagna casuale una difficile Distictis, forse comprata per errore, confusa con una Bignonia.

E neanche il Callistemon lì accanto appare tanto brutto.

Tu mi uccidi (Rhyncospermum jasminoides)


Dopo mesi, ieri sono uscita per il semplice desiderio di camminare. Avevo la testa finalmente mia, libera da anni di mental inception, consapevole e anche allegra di quel poco.
Forse ingenua, ma non me ne importava poi molto.
Ho ripreso a osservare le cose, le cose belle, brutte, normali, comuni, banali che ci circondano. Quest’anno le fioriture sono tutte fuori orbita, chi ha fiorito prima, chi dopo, chi insieme. Rose e glicini da noi non si vedono facilmente, il glicine è andato da un bel po’ quando arrivano le rose. Ma quest’anno sta correndo come un pazzo e fa tutto insieme, perché sa che dopo non ci sarà più acqua.
Il colore dei tigli, di un verde lucido, quasi pornografico, assediante. E i rosa. I semplici rosa di piante banali, petuniette e gerani sui balconi, due spighe di Lamium a bordo strada, i convolvoli e le mille ‘Queen Elizabeth’ di ogni paesino d’Italia. Dico grazie ogni volta che vedo il rosa: ho sempre la sensazione che sia l’ultima volta, perché la bellezza non può essere contemplata troppo a lungo.
Sono i giorni del Rhyncospermum. Alcuni sono così fioriti da formare masse di bianco sparato, senza intercalare di verde. A ridosso di ringhiere e casette, e nelle aiole comunali su Corso Garibaldi. Tanto che non si può dire quanto. Troppo, a dire il vero, ma ieri non m’importava, assetata com’ero di riprendermi i miei pensieri, il mio modo di guardare il piccolo mondo di fuori.
Durerà poco, lo so, e poi tutto diverrà una poltigia marroncina dall’odore di marcio. Ma ieri ogni pianta di Rhyncospermum mi ha riempito il cure di quella sensazione di amicizia che solo le piante e gli animali sono in grado di darci. Quel “ti voglio bene” alla rinfusa, praticato su ogni passante, brutto, bello, scortese o gentile, ognuno con i propri pensieri, senza richiesta di un grazie o di convenevoli.
Dietro queste masse di fiori dal profumo così intenso e dolce da diventare tanfo, c’erano cose normali. Una pensilina per l’autobus, una casetta con il lampioncino acceso, un brutto muro di cemento, la ringhiera della casa della tua amica delle elementari, che non vedi da trent’anni.
Ma chissà, una di queste volte dietro queste masse di fiori bianchi potrebbe esserci qualche altra cosa: la via nascosta per il mondo delle Fate, o potrebbe spalancarsi un paesaggio di colline e sole al tramonto, la prateria del Kansas o un varco per entrare nel passato.
Il Rhyncospermum ha molti poteri (come tutte le piante).