Odi et amo, quare id faciam, Rhyncospermum requiris. Nescio


Sta bene ovunque, troppo ovunque.
In vaso? Lui va.
Pergolato di dieci metri? Ve lo copre.
Tutore a forma di cane con potatura a barboncino? Non fa una piega.
Troppo sole, troppa ombra, troppo caldo, troppo freddo? Qualcosa la fa comunque, e quando il rincospermo fa “qualcosa”, spara profumo come un lanciafiamme a pieno carico, e questo è colpire basso.

Mi si taglia il cuore, perché il rincospermo è ubiquo, usato a casaccio e malamente, la sua bellezza svilita, tenuto al guinzaglio con museruola e collare.
Pianta “d’importazione”, che risponde a esigenze di mercati climatici differenti, freddi, a scapito di bellissime piante subtropicali che da noi sono sempreverdi o quasi. Ma se il mercato dice “rincospermo”, il rincospermo abiterà le case di tutta Italia, e lo farebbero altre piante come campanule e sassifraghe, se non fosse che qui non ci vogliono proprio stare.
Il rincospermo è comodo da stoccare e facile da vendere come una mela stark.
Tosato a siepina contro le cancellate delle villettine borghesucce mi fa venire l’ittero. Alcune persone dovrebbero essere interdette dalla pratica del giardinaggio.

Accanto a un orto tenuto un po’ così, libero, sul tetto una brutta casetta intonacata grossolanamente, portaccia in metallo, il Rhyncospermum riacquista la sua dignità di pianta, il suo valore ornamentale e non “funzionale” in un’ottica tutta “problemi e soluzioni”.
Compagna casuale una difficile Distictis, forse comprata per errore, confusa con una Bignonia.

E neanche il Callistemon lì accanto appare tanto brutto.

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