Sento di comprendere più da vicino come i giardini non servano in fondo ad articolare il nostro concetto di spazio, ma quello di tempo.
E’ una cosa che mi ha sempre tormentata sin dall’inizio della mia attività di giardiniera.
Il fatto che il giardino si sviluppi unidirezionalmente lungo la freccia del tempo, la sua natura ciclica, il suo dialogo incessante col flusso del pensiero, con il nostro movimento, con la percezione fisica del nostro essere, mi convincono sempre più profondamente che il luogo dei giardini non sia solo tangenzialmente lo spazio tridimensionale, ma che la loro vera essenza debba essere collocata nella quarta dimensione.
Una sorta di cavitazione spazio-temporale.
Il luogo dei giardini è l’amore, la morte, il ricordo. Lo spazio è solo incidentale, non causale.
Ero preoccupato perchè non riuscivo più ad entrare e leggere queste tue belle, approfondite considerazioni.
Ben tornata
Ezio
Grazie Ezio per il primo commento sul nuovo blog
Si può dire che il giardiniere proietta se stesso nel giardino. Il giardino è la manifestazione nello spazio esterno, quindi visibile agli altri, della propria persona. Una “dichiarazione” dici in un post precedente.
Mi domando, a questo punto, che senso ha la ricerca estetica nel giardino, che oggi sa tanto di consumismo. Che c’entra il consumismo, con l’amore, la morte, il ricordo?
Se giungessi alla conclusione, che non c’entra un bel nulla, ne potrebbe uscire che il giardino non può diventare bello, almeno secondo l’attuale sodalizio tra bello e consumo. Forse la mia è una paura. Ho il timore di manifestarmi attraverso il giardino. Forse è così.