“Ponti ad idrogeno, al nemico che fugge”!
A dispetto delle differenze tra giardino e giardino, tra dimensioni, stili, necessità, praxis, technè, scopi, finalità, oggetti e soggetti, tutti i giardini sembrano avere almeno un punto in comune: la mediazione della tensione tra gli opposti, come scrive peraltro Luigi. M. Lombardi Satriani.
Non necessariamente opposti ontologici, assoluti, ma opposti dati da una determinata cultura, ad esempio per la nostra: vita e morte, animato, inanimato, privato, pubblico, domesticato, selvatico, naturale, artificiale, dentro e fuori, personale e impersonale, comune e individuale, ordinato e caotico, statico e dinamico.
Questa mediazione assume diverse forme per una risoluzione, o anche solo una chiarificazione, o più spesso una preferenza, anche attraverso l’estremizzazione o la tensione artistica.
Il giardinaggio, come altre forme d’arte, può incorniciare un dibattito altrimenti conducibile in termini teorici o verbali.
Ecco perchè è una forma d’arte, a mio giudizio. Di arte “maggiore”, per intenderci.
Tutti i giardini, consapevolmente o no, sono un tentativo di dare una soluzione a questo contrasto di opposti, a fornire una mediazione tra le tensioni che dilaniano le nostre esistenze.
A me sembra, anche se penso che questo non possa essere accettato da tutti, che il giardino, per quanto limitato possa essere, non è solo una dichiarazione di potere su ciò che ci circonda, ma una forma di ‘rifiuto’ dei termini in cui la vita ci costringe ad accettarla e la fissità dei termini secondo cui si dovrebbe svolgere la nostra esistenza.
E questo è un atto di speranza.
Una forma di vita di chi realmente non vive, come ho detto molte volte.