Ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa

Mi capita sempre più spesso, sia girellando per il mio paese che guardando immagini in internet, ma anche sentendo o leggendo i discorsi degli altri, di intravedere una precisa tendenza dell’ architettura contemporanea che include edifici e giardini, e in particola modo quell’architettura volta a creare parchi pubblici o zone verdi attorno ad edifici, uffici, quartieri popolari o eleganti.
Questa tendenza mi sembra nascere con l’inizio della globalizzazione, della “tonnellata umana”, della costruzione di architetture in paesi in via di sviluppo, come alcuni del Sudamerica, che più facilmente di altri hanno accolto e raccolto le possibilità dei nuovi materiali, del pensiero architettonico contemporaneo, dell’audacia delle forme.

Le foto che vi propongo, tratte da Vulgare.net , vengono da Copenaghen, una città che da anni si pone come modello di efficienza, libertà, ampiezza di vedute, unite ad una magistrale capacità di conservare il passato.

The City Dune, SEB Bank
Vulgare.net non è mai prolisso nelle descrizioni (quando ci sono), per cui qui è da dedurre che la zona attrezzata esterna agli edifici (non oso chiamarlo “spazio verde”) è una sorta di punto di accoglienza per chi transita o per chi deve rimanere nei pressi degli edifici che ospitano la banca.
Calcestruzzo in pendenza, conchette per gli alberi

Per sedersi c'è il muretto. Panchine no.

Buono per fare un po' di skate

A prima vista il progetto mi è sembrato buono e ben fatto, ben integrato nella città, con spazi polimorfi e invitanti…ma un sottile senso di freddezza mi ha pervasa.
Sono state le conchette degli alberi a darmi da pensare. Voi alberi -vogliono dire quelle conchette- dovete stare qui. E’ stabilito che stiate qui e non potete essere spostati neanche se ce ne fosse la necessità. Se uno di voi dovesse ammalarsi, verrebbe sostituito con un altro identico. Siete come dei pezzi di plastica dei Lego, o come gli alberelli dei modellisti, morto un pioppo se ne fa un altro.
E lo stesso vale per chi vi sosta, chi fa lo skateboard. Se non sei tu con lo skate, sarà un bambino uguale a te.
Come fossimo oggetti da prendere e collocare nel presepio di lusso della banca che vuole fare l’ecologista.
Ho due sospetti: il primo è che questi mini-parchi attorno ad uffici pubblici o privati siano solo uno specchietto per le allodole, ma che in realtà siano progettati esattamente con scopi dissuasori nei confronti di alcuni tipi di persone o classi sociali (nel nostro caso la City Dune è impraticabile per anziani e portatori di handicap).
Il secondo è che i moderni paesaggisti urbani non sappiano in realtà cosa fanno. In questo caso mille volte benvenuta la spocchia e l’autocelebrazione di Gilles Clément, che almeno utilizza delle piante che sembrano vere, non degli alberi che hanno la parvenza di plastica. Una progettazione come quella della City Dune è ben fatta, leccata, fantasiosa eppur e semplice, ma non è un punto di aggregazione, nè un luogo in cui si possa dire che si sente l’odore inconfondibile della bellezza.
I moderndi disegnatori urbani progettano a tutta forza impianti, parchi, piste pedonali e ciclabili che in fin dei conti allontanano la gente dalla città. Tutti sono alla ricerca della purezza bauhausiana e lecorbusieriana, sulla carta il loro progetto è molto bello, accattivante, moderno. Ma in fin dei conti spesso sono stilismi vuoti e fini a se stessi, virtuosismi professionali che tanto piacciono alle pubbliche amministrazioni, ma incapaci di arricchire veramente una città.
La società ha bisogno di rimescolarsi, di abbattere le differenze, i parchi urbani devono essere il cuore di questo processo.

Infine il proverbiale “un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto” diventa “un posto per ogni persona, ogni persona al suo posto” (che è esattamente quello che vuole l’amministrazione) e ritorna ad essere “un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto”, perchè entrando in parchi del genere noi cessiamo di essere individui autocoscienti e diveniamo “massa”, cose, cose che accidentalmente si muovono, hanno due braccia e due gambe e magari si portano uno skate da casa. Non abbiamo più individualità.
Ecco, questa è la definizione di non-luogo data da un altro spocchioso come Marc Augè.
Per me questo parco funzionerebbe meglio come cimitero delle anime.

19 pensieri riguardo “Ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa

  1. Certo, è la differenza tra un paesaggista (G.Clement) e un architetto. Il paesaggista prima vede le piante e considera il luogo in funzione al loro benessere, che poi è anche il nostro. L’architetto prima fa le linee e i disegni e poi sceglie le piante per pura funzione decorativa.

  2. Mi ha colpito il fatto che non c’è un vero punto di aggregazione. Mi sono tornate in mente le piazze delle nostre città antiche , quelle di Roma o Piazza del Campo a Siena, dove gli abitanti si riunivano e diventavano protagonisti degli eventi cittadini. Quando si entra in una di queste piazze si sente l’energia, la storia che è passata, ci si sente un po’ a casa.
    Nelle città del futuro tutto questo sparirà?

  3. Le piazze attuali sono queste dove stiamo scrivendo ora. Le chiacchere che stiamo facendo ora sono come quelle che i nostri nonni facevano alla sera nelle stalle, i nostri genitori nelle piazze del paese.

      1. Fino ad un certo punto. Una volta avrei potuto conoscere bene il mio vicino di strada, ora conosco lui ma conosco anche amici in tutto il mondo che non avrei potuto conoscere solo nelle piazze fisiche.

        Poi dopo averli conosciuti nelle piazze virtuali ci si può conoscere anche in quelle fisiche e nei loro giardini. Proprio come ho fatto con l’autrice di questo blog che mai e poi mai avrei conosciuto nelle piazze di Cambiano dove abito o di Torino anche se sono piene di panchine, fontane, siepi e surfinie.

        Anzi se ci incotrassimo davanti ad un’aiuola di surfinie avremmo molti argomenti di discussione in più che se ci trovassimo nella stessa piazza col vicino di quartiere.

  4. Nel centro di Torino negli ultimi anni sono state restaurate molte belle piazze. Io le definisco “dechirichiane” per quanto sono spoglie, in pratica il verde è quasi assente, o marginale. La ragione, spesso, è legata al fatto che sotto vi sono parcheggi interrati, che rendono complicata la piantumazione, unitamente ai tagli per il verde pubblico. Il primo effetto è che sono sempre più frequenti gli “allarmi caldo” per la totale mancanza di zone d’ombra in cui rifugiarsi. Ma a dispetto di quello che immaginavo, queste piazze sono tutt’altro che “non-luoghi”: sono diventati ben presto punti di aggregazione (vabbeh, è il centro) e sono affollate di ragazzi, persone che sostano e leggono, anche se le panchine non sono molte o sono sostituite da muretti.
    Questo non per dire che hai torto, lidia, ma semplicemente che il problema di “ogni cosa al suo posto” è tutt’altro che recente ed anche un po’ più articolato. Pensa per esempio alle grandi zone residenziali costruite negli anni Settanta: spesso avevano anche delle ottime aree verdi (anche nell’edilizia popolare) che tuttavia… avevano funzione decorativa, poiché i regolamenti condominiali vietavano il gioco dei bambini in queste aree.
    E poi non bisognerebbe dimenticare il monito di Pizzetti a non inzeppare la città con alberature inadatte, destinate ad ammalarsi, e quanto fosse “avverso” alla battaglie dei verdi in difesa, appunto, di questi poveri enormi malati.
    Certo, anche con poco ed in poco spazio si potrebbe giocare con il verde con un po’ più di fantasia…

  5. Io sono di avviso contrario. A me quest’area esterna pare non un spazio verde (sarebbe riduttivo), ma un parco vero e proprio. Tecnicamente in che cosa differisce questo dai comuni parchi che siamo abituati a vedere? Che al posto dell’erba c’è la pietra, ma il resto è proprio un parco piantumato. Francamente ritengo che Clément e ci mettiamo pure Oudolf non abbiano in esclusiva le chiavi per il nuovo design cittadino. E nemmeno penso che le loro piante possanno creare piazza, luogo con altrettanta esclusiva. Questo progetto mi pare quindi un altro modo per aggregare, per portare menti giovani e fresche a vivere gli spazi della città. Io non sono dell’idea che un giardino e un parco siano fondamentalmente e tecnicamente un insieme di piante ben costruito. Cadiamo in una trappola se consideriamo lo spazio di aggregazione, specie quello pubblico, come il teatro della rivincita della natura. Proprio in epoca di globalizzazione gli spazi si allargano enormemente e non ritengo ci si debba spaventare se in un angolo di questo spazio la creatività si spoglia di quel sentimento romantico (sempre quello) di verde ‘duro e puro’. Questa creatività della globalizzazione è la stessa della vita pubblica partecipata, della gente in piazza, delle piazze globali, della responsabilità nel gestire questo spazio. Il momento mi sembra favorevole e non mi sento di rimproverare le idee ‘nuove’, che stanno riprendendo in mano secondo me il senso del spazio come uso pubblico.
    Non vi pare?

  6. Caro Ale, non sono così d’accordo con te. Se una città è piccola, come lo era ai tempi passati, ha un senso la piazza come puro spiazzo aggregativo, senza alberi e amenicoli vegetali, anche se poi tale spiazzo una volta era adornato con superbe statue e fontane meravigliose. Il verde l’avevano fuori, al massimo a 500 metri. In quella piazza là avvenivano i piccoli commerci, le feste, le assemblee e soprattutto c’era la volontà di tenere fuori dai piedi la natura. Noi dentro, quella fuori. Oggi è diverso, le città sono molto estese, rumorose, inquinate e comunque il rapporto dei cittadini con il verde è cambiato (ma davvero?). Certamente non metterei alberi o amene aiuolette a piazza Navona o in quella del Duomo a Milano. mi sembrerebbe una gran stronzata. Ma in tutte quelle “belle” piazze di periferia, dove, tra palazzoni ignobili e arterie che hanno la stessa funzione delle autostrade, gli architetti costruiscono degli spazi di puro cemento asettico, con le loro belle panchine anti-barbone sotto il sole a picco, con dei muretti… non pensi che uno spazio ben alberato ci starebbe meglio? E perchè no, un bel giardino con arbusti da fiore, prati naturali, alberi spoglianti, di quelli che ti danno la percezione del cambio di stagione. Poi lo spazio che ha considerato Lidia ti può trarre in inganno, perchè è bellissimo. Magari noi a Roma ne avessimo uno così! Fatti un giretto dalle nostre parti, oppure nelle periferie di Milano e sappimi dire! Comunque uno spazio all’aperto, tra i grattacieli progettato a Tokio da… porca miseria, mi è scappato il nome, è un vero giardino d’ombra con tanto di erbacee, fiori e alberi. Il tutto in aiuole rialzate.

    1. eee lo so che non sei d’accordo. Certo che piazze alberate sarebbero bene accette nelle nostre periferie, certo (quella in foto sarà una piazza alberata). La questione è secondo me che per un giardiniere appassionato la tendenza è quella di mettere le piante al centro. Intorno ad esse si muovono i progetti, mentre a mio avviso in città il centro è aggregazione, partecipazione, integrazione, motore di idee. Qui ci sta il vento della globalizzazione, che è condivisione all’ennesima potenza. Mi piace questo progetto perché unisce caratteri della piazza con la pavimentazione, le sedute informali e libere, i posti, alla vegetazione da parco. Non a caso, essendo la sede di una banca, hanno pubblicato la foto di un ragazzo con lo skate. Che volete, a me pare riappropriazione dello spazio pubblico tal quale ad una ipotetica piazza alberata di periferie, con il plus che qui abbiamo visto qualcosa di nuovo.

      1. scusami Ale, ma a me questa non sembra una piazza e nemmeno un luogo di aggregazione, semmai un piacevole luogo di passaggio, tutto in pendenza oltretutto. Rispetto a ciò che sta intorno è piacevole, però anche il verde non è che un piccolo contorno. Questi giochi di pendenze si possono godere percorrendoli , magari seguendo un percorso diverso ogni giorno. E’ tutto un invito a non fermarsi, a correre via, pure l’acqua deve sbrigarsi a scivolare via , guai a lei se osa formare una pozzanghera.

        1. Sul piace e non mi piace potremmo discuterne per ore senza arrivare alla fine, giusto Milli. Il concetto che voglio far passare io è che in uno spazio pubblico la funzione delle piante non è detto debba essere prioritaria. Aspetto che invece prende il sopravvento quando ad occuparsi di questo argomento sono dei giardinieri, come il ‘cemento’ quando se ne occupano ingegneri e architetti. Credo nessuno dei due abbia ragione.
          Vero Lucilla?

  7. Ale, non sto parlando del mi piace oppure no, sto parlando se si può definire una piazza. Per me potrebbe essere un ibrido tra un giardino e una scalinata, con molta fantasia.
    Per quanto riguarda il secondo aspetto, la priorità che si dà al verde piuttosto che al cemento, come se ne può uscire? Bisogna avere una mente versatile in entrambe le materie. Forse a ben vedere c’è già chi si occupa del tutto, un architetto olistico.

  8. Bel post! Se puoi/vuoi guarda un po’ il quartiere Bicocca a Milano. Un sacco di alberi, ma niente erba. Molto del verde è fatto in modo tale da non poter essere utilizzato o con vincoli di utilizzabilità molto rigidi.
    Gregotti…. no comment….

  9. Unhm, ho sollevato commenti molto interessanti. Io ero partita da una riflessione diversa, cioè dal fatto che la contemporanea architettura prevfede che ogni cosa vada al suo posto, e che ci sia un posto per ogni cosa che contempla. Ad esempio gli alberi: hanno le loro conche, persino il buco nella terrazzatura per espandersi nel tempo. Magari il prossimo anno al posto della terra ci sarà l’erba, con qualche fiore. ma mi rimane sempre la sensazione che questo spazio, e come questo molti altri, prevedano dove dobbiamo andare, secondo quale tracciato, dove dobbiamo fermarci, da che punto osservare il panorama, eventualmente a quale negozio o acquisto dobbiamo puntare, in che hotel fermarci. Siamo insomma dei personaggi di un diorama, bellissimo, per carità. Il ragazzo con lo skate sta lì apposta a dimostrare che i giovani vivono la città, che i cittadini si riprendono la città. Quel bambino sembra un rendering non sembra neanche più umano.
    E così le piante, che qui assumono valenza minima. Le piante hanno i loro spazi, tutto ha il suo spazio, ma guai ad uscire dal tuo spazio, a violare la mappa dei percorsi segnati con colori diversi: per le piante il verde, per il cemento il bianco, per gli umani il marrone. I colori si incrociano, lecurve si sfiorano e si sovrappongono un istante, ma non si mescolano mai. E la mia conclusiaone è che , per quanto belli questi spazi possano essere, mettono distanza tra noi e la natura. Ne’ metterci una siepe di rose servirebbe ad altro che a peggiorare la situazione.
    Credo, modestamente, di avere scritto qualcosa di sensato in un vecchio post su Gilles Clément, in cui scrissi che in un paesaggio urbano è la natura ad essere l’artificio. Allora non cerchiamo di mescolare le cose in nome di un principio ecologista che serve solo a bagnarci le labbra aride, se paesaggio urbano deve esser eche lo sia. Se parco deve essere che lo sia. Ma non cerchiamo di far finta che l’uno sia l’altro e viceversa, o perderemo entrambi.

  10. hai ragione lidia quando dici che si prevede che ogni cosa vada al suo posto e ogni posto abbia la sua cosa. si finisce per creare quei luoghi straniti come il salotto arredato dall’architetto che ti impone il portacenere e il modello di televisore. e se poi tu, quando inviti gli amici a cena tiri fuori la bella tovaglia di lino della nonna ecco che casca l’asino. le cose le case gli ambienti i paesi insomma devono essere tirati su con calma non sulla carta d’un botto. si aggiunge si lima si cambia si adatta allora sì che che si può parlare di un luogo, un luogo qualsiasi privato/pubblico, dove si sta bene. e non dico “si sta bene” perchè ho un momento di afasia verbale, intendo proprio si sta bene.
    e poi un’ultima cosa: ma agli anziani non pensa mai nessuno? come fanno poverini a camminare su piani sghembi, inclinati fra loro sì da creare inciampi improvvisi, come fanno a sedersi su un muricciolo senza schienale alto 30 centimetri e soprattutto chi li rialza poi? è un servizio previsto dal comune?
    e poi l’ultima ultima. punto di aggregazione. quando sono al mare con mia mamma ceniamo presto molto presto e poi andiamo al bar e ci sediamo ai tavolini sul marciapiede seggioline tutte in fila perchè non c’è spazio, e chiacchieriamo mentre la mamma si mangia il suo gelato (questo è l’anno della stracciatella, l’anno scorso amarena) chiacchieriamo fra noi due e con gli altri avventori, sempre i soliti, e stiamo proprio bene.
    (ovvio che il posto è bruttissimo ma non lo cambieremmo con revoire in piazza della signoria a firenze)

  11. Però i grandi progetti urbanistici sono stati realizzati anche nei secoli scorsi e ora sono considerati delle perle d’arte. Pensiamo a Pienza, al complesso degli Uffizi, per esempio. Penso che anche allora qualcuno avrà avuto una sensazione di straniamento( quegli edifici così regolari, così diversi dai familiari agglomerati medievali), però col tempo si sono normalizzati e sono entrati nelle nostre consuetudini visive.
    Una cosa è progettare un isolato un’altra è progettare un’intera città. Se non sbaglio anche la città di Brasilia fu progettata su tavolino. Era bellissima ma fredda e “disumana”.

  12. ecco appunto brasilia è disumana (per sentito dire non ci sono mai stata) pienza è bellissima (il fascino dell’antico?) gli uffizi molto belli ma avulsi dalla città, basta fare due passi di numero per trovarsi in architetture completamente diverse.
    secondo me nella mia suprema ignoranza molto del “bello” sta nell’omogeneità, va cercato, non ti deve saltare agli occhi. forse la causa è nel mio essere toscana, l’aver vissuto in ambienti cittadini austeri quasi (forse esagero) .
    e poi sono pratica, un ambiente qualsiasi esso sia deve essere non solo bello ma vivibile e confortevole senza differenze di religione sesso ed età.
    milli se hai voglia di perdere un attimo di tempo vai a vedere sul web le immagini del nuovo (nuovo? è un secolo che costruiscono su un progetto se non sbaglio del 1971) tribunale di firenze, dove nessuno giudici avvocati e uscieri vuole andare, un mastodonte di periferia, un pò aguzzo un pò tondo un pò liscio, con tutti i materiali immaginabili, acciaio pietra vetro mattoni, un calcio in culo al risparmio di energia, e soprattutto a detta di tutte le persone che conosco orripilante.

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