Qualche giorno fa, prima della paura per il Burian e per il gelo, in una giornata che sembrava non troppo fredda ed era nata come luminosa, abbiamo deciso di andare alla Limina. Il Passo della Limina è il punto che separa l’Aspromonte occidentale da quello orientale, con una lunghissima e vecchia galleria da film dell’orrore, che sembra stia per crollarti addosso da un momento all’altro.
E’ facilissimo trovare tempo peggiore sul lato tirrenico, mentre sul lato ionico splende quasi sempre il sole. Insolito è il contrario, ma rarissimo il fatto che le condizioni climatiche si equivalgano dall’uno e dall’altro versante.
Pensavo sinceramente che il “tempo” (cronologico), fosse più avanti. Il sottobosco è in accenno di ripresa, con foglie di ciclamino, euforbie, ellebori, che fanno a gara per trovare il loro spazio contro la profonda lettiera di foglie di faggio.
Gli alberi erano spogli. Contro lo sfondo plumbeo del cielo i rami sembravano arzigogoli di china su carta ruvida, di quelli che faceva Arthur Rackham.
In qualche punto si può guardare a valle, una staccionata che non serve più a niente funge da parapetto.
La bruma si alzava dai fondovalle, come nei racconti di Tolkien: ti senti volare in un altro mondo.
Ad un certo punto ha iniziato a nevischiare e abbiamo preso la via del ritorno,
ma non senza aver prima trattenuto con noi il ricordo di una preziosa gemma, ancora non del tutto sbocciata. La prima, forse, di tutta la montagna.
Lidia! La tua descrizione della camminata sospesa nel tempo e nello spazio al passo della limina mi ha immediatamente trasportata in un altrove tra Rackam, Tolkien e qualcos’altro che non so dire. Forse nostalgia di luoghi che non ho mai (ancora) attraversato. Grazie ,davvero.