Thunbergia grandiflora: da mostro postatomico a cagnolino da poltrona

Avete letto Il mondo senza di noi di Alan Weisman? Il libro da cui hanno tratto quella serie di documentari che va in onda su Focus?
Il libro è interessante, i documentari sono una catastrofe culturale, più che ecologica, tra il ridicolo e lo iettatorio.
Eppure una visione di questo genere
Last-of-us-environment
per me è un sogno ad occhi aperti, non foss’altro che il telefono non potrebbe mai, mai, mai, mai più squillare. In nessun luogo della terra.

In uno dei tanti vagheggiamenti giardinicoli avevo concepito un enorme giardino distopico e postatomico, con edifici assediati da piante, alberi sbucati dall’asfalto, cartelli stradali come supporto per i rampicanti.
Prendiamo Siderno: una amena (?) cittadina sul mare. Azzeriamo la popolazione (che sogno!) e lasciamo che crescano piante tutto in mezzo, incoraggiamole un po’, e qui e lì seminiamo un po’ di fiori. Nel giro di qualche decennio avremmo un lussureggiante giardino tra palazzine in stile internazionale e lidi abusivi. Altro che giardino in movimento ed elogio delle erbacce! Anche a Clément gli verrebbe da prendere il diserbante!
I fotoscioppari di tutto il mondo hanno dato sfogo alla loro creatività, inventando città sommerse o desertiche, mari prosciugati, ponti crollati, edifici a pezzi.
Siderno è una città come un’altra, ma vogliamo mettere disegnare la Tour Eiffel spezzata in due o la Statua della Libertà con la testa mozza? Capisci subito dove sei.
Landmark: strategia per vendere le città.

Bene, se qualche progettista pazzo, di comune accordo con un urbanista folle e dei governanti visionari, dovesse mai realizzare un giardino urbano postatomico, la Thunbergia sarebbe una pianta adatta a ricoprire muri e ponti, perlomeno dove il clima lo consente.
Non è una pianta da giardino perbene, come si tende a pensare, nè una pianta romantica da archi e pergolati, a far compagnia alle rose a fioritura estiva. No, macché, la Thunbergia deve avere a disposizione muri, piloni, alberi, tralicci della luce. In verità non si potrebbe nemmeno considerare una pianta da giardino, ma da boscaglia, o da jungla.
Non è affatto adatta per le ringhiere o per i muri perimetrali, dove viene di solito piazzata assieme al rincospermo (altra pianta che meriterebbe migliori destinazioni), dove diventa una boxing plant, una pianta in scatola, un cagnino da taschino, sempre potata, sempre tenuta in ordine, miserrimo riflesso di ciò che potrebbe essere.
thunbergia sotto la pioggia Qui si è mangiata un vecchio Hibiscus, si sta mangiando un arancio, e se ne sta andando su degli avocados, e anche noi la tagliamo (di tanto in tanto).
thunbergia sotto la pioggia 1
Alla peggio è una pianta da campagna, dove può andar libera su case, garage, ripostigli, pollai, porcili, per poi sparire nell’intrico degli agrumeti.
C’è chi la raccomanda in vaso. A volte ho dei moti di ribellione. Si consigliano piante piccole per i vasi, ma è vero che spesso queste stentano a partire, rimangono indecise. Allora si sterza su una pianta più aggressiva, mettiamo, una gran rosa rampicante tipo ‘Mermaid’, che andrà perioricamente svasata, a cui bisognerà tagliare chioma e radici, cambiare terriccio, ecc.
Be’, non so. Una rosa è una rosa, e dove la metti sta, ma una Thunbergia no. Qui si tratta di una reale violenza estetica ad una pianta.
Forse per la sua facilità di riproduzione, per seme o talea, è ormai considerata una pianta ordinaria e banalotta, diffusa in tutti i villini benestanti che hanno lunghi muri o recinzioni. Se non avesse fiori blu sarebbe già bella che sparita, considerata trash, volgare.
Ma datele un supporto, e si mangerà il mondo!

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