Qualche giorno fa hanno rimandato il classico “Il caso Paradine”, non esattamente uno dei miei preferiti di Hitchcock.
Da ragazzina Alida Valli mi sembrava di una bellezza olimpica, una regina di ghiacci eterni. Capivo già allora che un nome italiano in un film americano e prestigioso era un evento raro, perciò la squadravo, ne osservavo i movimenti del viso, assorbivo il tono drammatico del doppiaggio.
“Il caso Paradine” era uno dei film preferiti di un signore che conoscevo, un uomo buono ma dotato di certi spigoli di autentica malvagità. Come molte persone che hanno frequentato casa mia, era un misogino. La signora Paradine aveva sedotto Latour e fatto avvelenare il buon colonnello, che aveva soposato solo per danaro. Per quell’uomo “Il caso Paradine” era una metafora del rapporto con la moglie: una donna che tutto il paese ha sempre ritenuto più casta della Vergine Madre. Non so perché quell’uomo sospettasse la moglie di tradimento: immagino perché lui l’aveva tradita più volte, e la giudicava con il suo metro.
La signora Paradine e la moglie di questo buon uomo sono così fuse nella mia memoria e posso testimoniare, su quello che volete, che a Siderno ci fu una signora Paradine innocente, ma agli occhi del marito, colpevole fino all’ultimo.
Lo giuro.
