Perché tanto citazionismo? Derrida e Greenberg hanno risposto.

Come spesso succede ai blogger, ci si sente un po’ cretini a spiegare cose che dovrebbero essere note, e su cui grandi della filosofia hanno già dato un’autorevole opinione.
Ci si sente ancor più cretini quando si tenta di approfondire l’argomento con gli “specialisti”, che spesso rispondono frasi fatte o una sequenza di punti interrogativi.
Mi è capitato con la moda hipster, mi capita in continuazione con la citazione cinematografica.
Non si tratta di “esprimere qualcosa in modo già perfettamente espresso da altri”. No, proprio per nulla.

Si tratta di decustruire e ricostruire.

Il nome di Antonio Gramsci non farà sobbalzare nessuno dalla sedia: lo conosciamo perché in carcere non c’era il satellitare e, per passare il tempo, ha scritto un sacco di cose che ci hanno fatto leggere a scuola. E poi ricordiamo tutti la sua terribile montatura.
Questo Gramsci ha scritto che le classi economiche dominanti (dette anche “loro” o “gli altri” nei discorsi complottisti), quelle che detengono il potere di produzione e distribuzione di beni e dell’energia, per mantenere l’egemonia, hanno bisogno che il sistema economico non solo sia accettato, ma sia accettato di buon grado. Perché? Per mantenere la stabilità sociale e quindi i rapporti di produzione economica tra datori di lavoro e lavoratori.
Questa sorta di sottomissione non coercitiva (al contrario di “1984”) avviene attraverso la produzione di una cultura che da un lato anestetizza le coscienze critiche, da un altro le convince, le porta a sé, senza privarle di pensieri controcorrente o decisamente opposti alla cultura dominante, che ovviamente saranno meno conosciuti, meno distribuiti e faranno molta fatica ad affermarsi.

Seguitemi, non è difficile: oggi questa roba si chiama “consenso”.

Sempre questo tizio con gli occhiali brutti ha detto che è sbagliato pensare che la cultura delle classi lavoratrici sia inoculata per via rettale da quelle dominanti. Le classi lavoratrici o comunque non dominanti, ricevono e si appropriano della cultura che viene loro proposta o della cultura “alta”, e rielaborano quello che gli interessa, in un procedimento che è stato definito “bricolage” (Dick Hebdige), resistenza/incorporazione, negoziazione, disarticolazione/riarticolazione (Stuart Hall).

inglorious basterds

In questo processo la cultura viene scomposta e ricomposta, e gli elementi più ammirevoli o più memorabili vengono isolati. Può essere una frase famosa (“francamente me ne infischio”) o uno stile formale (vedi lo Psycho di Gus Van Sant, shot to shot del film di Hitchcock), ma anche altri elementi volti a veicolare particolari concetti politici, sociali, ideologie (ad esempio il montaggio serrato di Hutshing e Scalia che in JFK è sufficiente a provare allo spettatore l’esistenza di un complotto).

La frammentazione a questo punto è una procedura necessaria: è IL processo di produzione culturale. Stop.
La citazione e ciò che deriva da questo processo sono “scarto” e “materia prima” al contempo.
È una delle ragioni per le quali oggi sono le “performance” a creare arte e non più il quadro esposto al museo.

Greenberg e Derrida hanno ampiamente analizzato il problema.

Che poi il citazionismo si sia infiltrato in ogni piega dell’offerta culturale è un procedimento di involuzione non differente dalla metafora del maglione color ceruleo.

 

Il giardino in “Æon Flux” – “Æon Flux” garden

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È oggi

21ottobre2015

American sniper, forse era meglio che al cinema non ci andavo

È dal 1991 che vado al cinema senza informarmi sul film in proiezione. Dal trailer o dalle varie pubblicità mi faccio un elenco mentale dei titoli che mi piacerebbe vedere, e se li portano ai cinemini di qui, ci vado. Scientemente non leggo mai neanche mezza recensione, neanche i nomi degli attori e dei registi.
“Sembra promettente” mi basta.

Non sapevo chi fosse Chris Kyle, né che American Sniper fosse un film di Clint Eastwood. A saperlo, credo che non ci sarei proprio andata, ieri, al cinema.
A metà del primo tempo lo stomaco era sceso giù all’altezza del colon trasverso, e se non fossi stata in compagnia avrei abbandonato la sala. Alla fine del film stomaco e intestino erano una massa unica che stritolava il fegato con schizzi di bile che mi rigurgitava nell’esofago. Confesso di essere rimasta fino alla fine soltanto per poter stracciare questa paccottiglia culturale che dal primo all’ultimo minuto di proiezione non è altro che propaganda bellica anti-Islam e campagna elettorale anticipata a favore del futuro candidato del partito repubblicano.

Che Clint Eastwood fosse in quella zona lì non è un mistero, e a quanto mi dicono, Sergio Leone neanche gli rivolgeva la parola negli ultimi tempi. Molti attori hanno fatto propaganda elettorale, dall’una e dall’altra parte, ma quando ci si mette uno come Eastwood, che il suo lavoro lo sa fare bene, la cosa si fa più indigesta.
Ognuno sviluppa il suo talento secondo il proprio giudizio, e non è questo un argomento di critica.

Lo shock che mi ha dato questo film è la totale assenza di critica nei confronti dell’esistenza di un fatto come la guerra. Ecco, sarò del tutto sincera: chi va in guerra e dopo non ritorna pazzo o malato, per me è pazzo in partenza.
Anzi, con la metafora utilizzata dallo stesso film, “è un lupo”, cioè uno che con la violenza e la prevaricazione sottomette chi non ha forza o mezzi sufficienti per difendersi (le “percore”), che abbisogna di guida e protezione (“il cane da pastore”).
Se a qualcuno scappa da ridere, a me no.

Questo tizio qui, questo Chris Kyle, è tornato dalla guerra in Iraq dicendo di aver abbattuto 255 persone, su cui solo 160 “accreditati” (chissà che punteggio alto a Splinter Cell!).
Nel film, tratto dalla sua autobiografia, lo psichiatra gli chiede:- Ma senta, lei, non è che si sente un tantinello strano dopo aver fatto fuori 160 tizi? Chessò, un filino in colpa? Un piccolo senso di rimorso in fondo a quel blocco di minerali che ha al posto del cuore?
Kyle, bel bello, risponde di essere pronto a rispondere di ognuno di quei “bersagli abbattuti” davanti al Signore. Che è il Signor “Dio”, quello cattolico (o protestante, a scelta), con certo Allah, che è chiaramente un dio abusivo.
A questo punto della conversazione ho tanto sperato che il capo Kyle sia finito davanti a un dio diverso dal suo, magari Manitù o Zoroastro, e perchè no, Zhul. Se ha avuto la fortuna di beccarsi il dio cattolico, siamo sicuri che sarà stato promosso a pieni voti alle sfere celesti più elevate.

La domanda a questo punto mi sorge spontanea: ma vogliamo mettere Totò Riina contro questo qui? Riina ci fa la figura del dilettante allo sbaraglio. No, perchè, signori, mi dico: questo li ha guardati tutti e 160 (o 255) e li ha impallinati per bene, uno per uno.
La prima vittima della sua lunga lunga lunga carriera? Un ragazzino, armato di granata, ovviamente. Ma dico, sei “La Leggenda”, il cecchino più letale della storia degli states, e non gli puoi sparare a una gamba, a un braccio, alla spalla? No, in pieno petto, per la miseria. Senza rimorso e avanti così, capo Kyle: beccati venti medaglie, un best seller e un film che ti consegna alla storia della cultura di massa, firmato dal pistolero dagli occhi di ghiaccio, che anche lui ne ha fatti fuori tanti, sul set.

Beccati un sacco di candidature all’Oscar, perché all’America è piaciuta la tua storia, che li riporta alla verginità di “paese migliore del mondo”, perché in questo film sciatto, scadente, apatico e maschilista, vale la versione romanzata della Storia, quella in cui è Osama Bin Laden (comproprietario con Bush della ditta “Arbusto”, quella a cui appartiene l’oleodotto scavato con la scusa della guerra) ad avere fatto crollare le Torri Gemelle. In questa versione della Storia non troverete le finestre delle Torri esplodere in sincro, in questa versione della Storia l’United 93 non è stato abbattuto da un missile.

Ustica è solo un’isoletta turistica.

Mai nessun film sulla guerra (a parte i vecchi in bianco e nero) è stato così totalmente acritico. I film sul Vietnam ci avevano lasciato un’idea di una gioventù schiantata, annientata dai ricordi delle atrocità inflitte e subite.
Anche i pochi film sulla Guerra nel Golfo avevano come tema centrale il problema etico che comporta qualunque conflitto bellico, e se vogliamo, si interrogavano sulla natura dell’uomo.
Questo no.

Se gli states danno così tante candidature a un film così infimo, come qualità e contenuti, è perchè lo considerano un buon film, ma anche perché torna alla loro cara causa, che è quella di rilegittimarsi di fronte al mondo, riaffermare il loro strapotere, generare consensi nelle piccole menti guerrafondaie della loro civiltà borghese e ignorante, ribadire il “sacrosanto” diritto del cittadino di possedere un’arma in casa, gettare discredito e infamia sull’Islam (confronto a questo film le vignette di Charlie Hebdo sono scherzetti da matricole), e sostenere l’idea, malamente ripresa da un certo tipo di cultura latina, che dice “Si vis pacem, para bellum”.
Loro hanno eliminato la prima parte della frase.
Perché loro la stanno già preparando da tempo, una bella guerra, perchè se qualcuno ancora crede che la “Primavera Araba” non sia una mossa strategica per posizionare pedine all’interno del continente africano e in Medio Oriente, si desti dal suo bel sogno.
Perché se qualcuno è convinto che la crisi in Crimea non ne sia una diretta conseguenza, e un tentativo di attacco alla Russia, si riaddormenti, perché non ne vale la pena che stia sveglio.

ma mille volte meglio!
ma mille volte meglio!

Arrietty, la maturità disincantata

arrietty_Di Arrietty mi hanno detto: “Bello, ma niente di che”.
Forse è vero, dopo Totoro e La città dei sogni tutto quello che è uscito dalle mani di Miyazaki ci potrebbe sembrare “niente di che”.

SPOILER Continua a leggere “Arrietty, la maturità disincantata”

Star Trek “Into darkness”, il cerchiobottismo di J.J. Abrams

star trek la ricerca di spock locandinaCome forse qualcuno si sarà accorto, è da qualche venerdì che Rai4 manda i film di Star Trek.
Questa settimana abbiamo visto La ricerca di Spock, un film fatto con pochi mezzi, pochi effetti, pochissima computer grafica (all’epoca costava meno uno scenario in studio con cactus e neve finti) e una troupe di attori i cui disastri noi trekkies conosciamo bene.
Kirk sempre spavaldo ma sempre all’altezza, un Sulu che ipoteticamente avrebbe potuto fare l’attore se avesse saputo recitare, uno Spock già decrepito allora (oggi credo che lo muovano con i fili: non scherzo, guardatevi certi episodi di Fringe), un McCoy sempre più bisbetico, una attempata Uhura come action-chick, Chekov con un sempiterno sorriso da Gianni Morandi. Per non parlare del doppiaggio, sempre un po’ sballato con cast diversi di volta in volta.
L’andazzo è quello, lo sappiamo. Ma li abbiamo sempre amati, sempre sopportati, ne siamo sempre stati dipendenti.

Star-Trek-Into-Darkness-Benedict-CumberbatchCerto che vedere venerdì un film con attori scadenti che interpretano alla perfezione personaggi ammirevoli, e poi passare al sabato e vedere Into darkness, è un bel passo.
Into darkness neanche è arrivato nella sale, qui. Nonostante promettesse di essere un blockbuster di fantascienza tridimensionale, i proprietari dei cinemini di zona hanno annusato che di biglietti non avrebbero stampati tanti. Abbiamo avuto i Puffi, Dianosaus’Age, Red 2, ma ci hanno fatto saltare anche La grande bellezza e To the wonder.
Che dovevo fare? ho prenotato il cd e l’ho visto ieri.

Volete la verità? A me non è dispiaciuto: già meglio del catastrofico primo episodio. A parte considerazioni specialistiche, di cui non sono capace, posso dire tre cose:
1) ci stiamo pian piano abituando a questi nuovi personaggi (e abituare non significa amare), che stanno trovando una loro dimensione caratteriale anche un po’ bislacca e giovanile. Siamo lontani dal mito di Kirk, e le ferite riportate dal primo film non sono ancora guarite, ma si accende un barlume di speranza,
2) vorrei sapere, vorrei proprio sapere, se ai giovani piace questo Star Trek. No, perchè visto che è stato fatto per loro, se non gli piace, non si potrebbe archiviare questa avventura abramesca e chiudere la faccenda lasciandoci in pace a piangere su Veridiano 7?
3) Abrams ha giocato su due fronti: quello dello zoccolo duro e quello giovanile. Non penso di SPOILERARE, dato che ormai chi doveva vedersi il film se l’è già visto, ma tirare fuori un vecchio cattivo, una vecchia fiamma e invertire la scena della morte nel nucleo di curvatura, sono cose che un pubblico giovane non capirebbe, ergo, erano dirette a noi.

E poi c’è molto extratesto. E questo non aiuta un film ad essere duraturo, memorabile. L’extratesto è il contesto al di fuori del testo. Per esempio la nave dell’ammiraglio Marcus cade su Alcatraz: una chiara allusione al flop della la serie Alcatraz prodotta dallo stesso Abrams. Il lancio da una nave all’altra: un rimando al primo reboot, come anche numerosi dialoghi col capitano Pike. E poi extratesto che rimanda alla vecchia serie, ai vecchi film, ai vecchi personaggi, ecc.
Questo non aiuta, non aiuta. Non a-iu-ta.
Il film deve essere una storia originale. Dopo aver mutato la linea temporale, Abrams si è tenuto molte strade aperte, ma citare la vecchia serie non aiuterà la nuova a salpare.

Una cosa ha fatto Star Trek: è diventato leggendario.
Per gli amanti di Star Trek non basta “un buon film”, ci vuole una leggenda.

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Sculture da fuoco (15 settembre ad Ameno- Novara)

Sculture da fuoco il documentario realizzato da Emilio Tremolada con Andrea Salvetti, che documenta la performance all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, sarà proiettato fuori concorso al Festival Corto e Fieno, il 15 settembre ad Ameno (Novara)

Corto e Fieno, Andrea Salvetti, Sculture da Fuoco
Andrea Salvetti. Sculture da fuoco. Film di Emilio Tremolada

Lanterna Verde: niente paura, ma niente fede

Ti spiezzo in due
Ti spiezzo in due
Da tempo mi macinava in testa questo pensiero. Qualche settimana fa hanno passato in tivvù Lanterna Verde, un film su un supereroe della DC Comics.
Per diventare una Lanterna Verde, una sorta di corpo di polizia intergalattico, c’è un requisito importante. Ma proprio importante, nel senso che se non hai quello non potrai mai essere una Lanterna.
Non devi avere paura.
Perciò, quando l’anello di Swaaami Brachamutanda o come-cavolo-si-chiama, sceglie il belloccio americano di turno, tutte le Lanterne vanno in subbuglio dicendo che la razza umana è una razza di fifoni.
E metà del film ce lo passiamo così, a sentire il belloccio (?) di turno che tenta di vincere la sua paura. Naturalmente l’altra metà è stata occupata sonnecchiando.
Ora, considerazioni specialistiche a parte, è evidente che Lanterna Verde celebra il valore “americano” dell’assenza della paura, non già di quel sentimento indefinibile che è la paura controllata dalla ragione.

Non sono d’accordo. Come si può essere d’accordo? Forse la razza umana non sarà adatta a fare da Lanterna, anche se queste Lanterne sembrano dei birrai ubriachi immersi nel fosforo.

I valori che contraddistinguono noi europei sono più elevati, non già l’assenza di paura -che non sinonimo di coraggio (per aspera ad astra)- ma il controllo della paura, e soprattutto la fede. La fede in qualcosa di ben più grande di un misero deuccio venerato da un terzo della popolazione di un pianetino in un angolo remoto della nostra galassia. La fede nella capacità dell’universo di evolversi adeguatamente.

Per me Lanterna Verde esce sconfitta in partenza, non c’è assenza di paura che possa compensare la presenza della fede.

Il birraio ubriaco
Il birraio ubriaco

Nuovo trailer di “Star Trek into Darkness” – sottotitolato

Star Trek, into darkness

Il casinista è lui: J.J. Abrams.

Il grande casinista
Il grande casinista

Ricco, giovane, un po’ racchio. Probabilmente considerato un nerd al tempo delle scuole medie, si è preso una bella rivincita diventando regista e produttore dalla fama di genio e di assoluta originalità.

J.J. non aveva certo bisogno di Star Trek per divertirsi o arricchirsi, o aumentare smodatamente la sua fama: credo sia stata la Paramount ad andarselo a cercare.
E perchè? J.J. l’ha sempre detto che Star Trek non gli piaceva, che non è mai stato un fan.
Ecco, proprio per questo: se devi sventrare un pollo non lo dai certo in mano ad un vegano.

In sintesi quello che ha fatto J.J. con Star Trek XI (dico 11) Il futuro ha inizio è stato quello che in gergo i tecnici chiamano “reboot”.
Per fare un reboot di un mito è meglio se lo fai fare a qualcuno a cui di questo mito non frega molto, ma che sa a menadito come funzionano i botteghini e le regole del mercato.
E poi, chi meglio di J.J. sa stravolgere il tempo, schiaffeggiarti con la trama, confonderti, bendarti, farti fare le giravolte e poi mostrarti un coniglio che esce fuori da un cilindro come se fosse il primo coniglio nato sulla terra?
Lo ha fatto in Lost, in Fringe, lo sta facendo con Star Trek e lo farà con gli attesi sequel di altri film come Cloverfield.

Sa che la prima cosa è dare un tantino di informazioni, ma appena un tantino, ogni tot, in modo da tenere desta l’attenzione: ecco una serie di articoli sulla testata del fan club italiano (se volete deliziatevi coi commenti).

Poi la locandina in stile postatomico che tanto piace oggi, con la data di uscita come fosse una profezia Maya:
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Le tette
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La love story in subplot
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Le belle tutine
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Azione frenetica
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Un cattivo che viene da un telefilm di successo
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E poi la vera innovazione che mi sembra introdotta con questo dodicesimo episodio: un contorno di scenografia ipo-tecnologica, cioè realistica. Già in Enterprise, con vari errori, si era tentato di dare un’aria da sottomarino all’Enterprise NX-01, ma il risultato non poteva che essere visivamente più moderno della vecchia serie con il capitano Kirk.

Il trailer mostra una Londra con uno skyline alla Norman Foster, un attacco a una coppia di torri (…ancora?) e una minaccia che viene dall’interno (suggestione ventilata anche in TNG). Insomma, un plot da film d’azione, alla Mission Impossible.

Altro dettaglio che mi sembra poter anticipare con una certa presunzione di certezza è il sopravanzamento di Chris Pine (lo vogliamo chiamare Jim Kirk? qualcuno è uscito fuori di testa o sono io?), rispetto all’ottima prestazione di Coso, nel ruolo di Spock.
Questo manifesto mi sembra rivelatore: Chris Pine davanti a Coso, come se volesse chiaramente dire: ehi, bello, sono io il mito qui, togliti dalle scatole: tu e Zoe mi avete fatto sin troppa concorrenza nel primo reboot, ora la baracca la guido io, tu mettiti dietro e seguimi.
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La domanda non è :”ma J.J. spera davvero che ci affezioniamo a Chris Pine al punto di considerarlo JIM KIRK?”

questa faccetta dovrebbe essere Jim Kirk?
questa faccetta dovrebbe essere Jim Kirk?

Non c’è nessuna domanda. Star Trek, il futuro ha inizio e Star Trek, into darkness, non sono destinati a noi, ma a quelli che sono nati nel 2000, ai nativi digitali, a quelli che di William Shatner non sanno neanche chi sia e scrivono Pikard con la “k” se mai ci arrivano a scoprire chi sia.

Chiaro: andremo a vederlo anche noi dello zoccolo duro. Forse al terzo, quarto, quinto episodio, ci scocceremo, ne salteremo qualcuno. Pazienza, J.J. sa che per uno di noi perso, ne quadagna 10 di nuovi. E alla fine chi si ricorda più il Batman di Michael Keaton? Tutti hanno in mente Christian Bale e Christopher Nolan.

Mi ripeto: hai voluto scombinare le carte? Occhei, fallo, mi sta bene. Ma devi darmi altri miti a cui attaccarmi, non quattro ragazzini che giocano a salvare il mondo.

Spock-Charlie's Angels
Spock-Charlie’s Angels