Quante volte avete maledetto il vialetto che porta al garage per il quale avete provato di tutto, dal prato calpestabile con autobloccanti, al mattonato grezzo, al brecciolino, per finire al cemento o alla nuda terra, polverosa e arsa?
E quante altre volte avete sbattuto la testa contro il “coso” esterno del condizionatore? E lo spazio del già piccolo terrazzo sottratto dalla cabina della caldaia?
Per non parlare della bellezza dei tetti di tegole con i pannelli solari, più dannosi di quanto non si immagini (per la loro realizzazione si usa il cloro, un elemento pericolosissimo per l’ambiente e l’uomo) e delle famigerate pale eoliche per le quali Lucilla ha uno sconfinato amore.
Quanto ci danno fastidio tutti questi tric trac in giardino?
La modernità deve essere ciò che fa progredire l’Uomo, non renderlo schiavo o farlo regredire. La bellezza dei giardini “comuni” è un indice fortissimo del benessere economico, sociale, della ricchezza del capitale culturale di una popolazione.
Giardini brutti/brutto paesaggio=povertà economica e culturale.
E in aggiunta alla povertà economica e culturale i danni diretti o indiretti causati dalla “modernità”, che modernità non è ma tecnologismo, e anche di scarsa qualità.
La domotica. Premi il tasto verde del tuo cellulare e azioni la lavastoviglie. Ottimo, mi piacerebbe averlo. Mi piacerebbe anche una lavastoviglie, se è per questo.
Pisci nel water e ti dice se hai l’azotemia alta. Quello mi piace un po’ meno, specie se mi dà le tre cifre dei trigliceridi.
Batti le mani e si sollevano le tende. Fantastico per chi è malato o disabile.
Ma perchè tutte queste cose costano carissime e invece i condizionatori col “coso” esterno costano meno? Perchè farci rimanere indietro? Per smaltire tutti i vecchi modelli di lavatrici, frigoriferi e condizionatori ancora stipati nei magazzini delle grandi catene di elettronica.
Potremmo avere lo stesso, meno ingombrante, meno inquinante e -sono sicura- allo stesso prezzo. In un mondo in cui la manodopera non costa che qualche centesimo al giorno non credo minimamente che i prodotti elettronici abbiano costi di produzione realmente diversi. Si paga la marca, il nome, il logo, la novità, lo status-symbol.
Quante volte avete pensato alla migliore strategia per occultare un tombino, il tubo della caldaia, la grata dei vicini, o peggio, la desolante, mortificante, ammorbante, vista della città attorno a voi? Chi non vuole pararsi la vista dei dannati vicini? Ebbene, anche i dannati vicini vogliono pararsi dalla nostra vista, perchè per loro, siamo noi i “dannati vicini”.
Ci affacciamo dal terrazzo e a volte ci viene pure da piangere, ma non pensiamo che lo stesso sta accadendo, nel medesimo istante ad altre persone che stanno guardando verso di noi, per i quali siamo magari “quei poveracci che tentano di coltivarsi quattro fiori in terrazza”. Per la gente noi siamo gente. Troppo spesso si dimentica.
Ma quanto sacrifici ancora dovremo tributare all’adolescenza del nostro progresso? Ci troviamo giardini incuneati tra scale condominiali, rampe d’accesso al garage, garage, ringhiere e pareti a tutta forza. In più li dobbiamo riempire di ammennicoli essenziali alla nostra vita quotidiana.
E’ mai possibile che le città debbano davvero diventare la nostra tomba, che non possa esistere una città vivibile se non a numero chiuso come Poundbury? Non è che stiamo chiedendo le città ideali o formulando progetti utopici, credo sia nel cuore di tutti il desiderio di città, paesi e metropoli meno soffocanti e più quiete.
Che poi per arrivare al parco per farti una corsetta devi prenderti lo smog di corso Francia o guidare in mezzo al traffico, è un controsenso tra i più assurdi.
Non si auspica un ritorno indietro. Vogliamo star bene, vivere bene e anche con un po’ di comodità, quando questo non nuoccia alla nostra salute, a quella dell’ambiente e delle altre persone. Ma vogliamo che questo benessere sia per tutti e non per pochi privilegiati, e se questo può voler significare riprendere la bicicletta o l’asinello, ben vengano questi due mezzi di locomozione.
Gradiremmo un teletrasporto efficace, inodore, insapore e non inquinante, ma intanto non potremmo lanciare sul mercato la già da tempo esistente automobile ad acqua?
Vi segnalo che da oggi sarà in libreria Come fare un orto o un giardino condiviso, una guida con consigli e informazioni per trasformare in giardino un terreno incolto e gestire insieme uno spazio aperto in cui coltivare,
incontrarsi e giocare, per i tipi di Terre di mezzo Editore.
-In libreria dal 7 maggio, Collana: I piccoli
COME FARE UN ORTO O UN GIARDINO CONDIVISO
S. Cioli, L. D’Eusebio, A. Mangoni 48 pagine – 3 euro Scheda del libro
Vuoi più aree verdi nella tua città o nel tuo paese? Desideri avere a disposizione un luogo all’aperto dove ci si possa incontrare, ma anche dove sia possibile coltivare frutta e verdura?
Se i parchetti di quartiere non bastano, *questo manuale ti insegna a trasformare un terreno incolto in un giardino incantato*. Insegna, infatti, come realizzare, con i propri vicini, uno spazio che renda protagonisti i suoi promotori: come scegliere l’area abbandonata da recuperare, quali caratteristiche deve avere, a chi chiedere i permessi, come organizzarsi
affinché il giardino o l’orto siano sostenibili nel tempo.
A differenza dei giardini pubblici tradizionali, si decide insieme quali attività fare, come disporre le piante, cosa coltivare, quali attrezzature sportive e giochi per i bambini installare. Tutto il gruppo curerà poi l’orto o
il giardino che nasce, facendolo diventare il seme di un nuovo modo di vivere, più verde e più partecipato.
Gli autori, tre architetti urbani specializzati nella progettazione partecipata di spazi pubblici, promuovono la creazione di orti e giardini condivisi con il gruppo Zappata Romana.
Per info:
Elena Acerbi
Responsabile Ufficio Stampa
Terre di mezzo Editore
345/9011715
ufficiostampa@terre.it
Via Calatafimi 10, 20122 Milano
tel. 0289409670 – fax. 0283390251 http://www.terre.it
Devo postillare questo post perchè uno dei nomi degli Autori, Andrea Mangoni, mi ha tratto in inganno. Non si tratta, come credevo di Andrea Mangoni l’amico degli animali, ma di uno specialista dell’architettura del paesaggio (credo).
Chiedo dunque scusa ad entrambi gli Andrea Mangoni coinvolti, ai lettori, all’editore e a tutti gli interessati
Non so datare con esattezza la mia fobia per i vetri. Non l’avevo da piccola nè l’ho mai avuto da ragazza. Mi è venuta in tarda età. Ho paura anche delle lame, ma molto di meno. Diciamo che non sono nè un tipo da scartavetro nè da sega elettrica. Ho anche paura del mio tagliasiepi elettrico. Sapete, come in Brivido, quando il coltello elettrico si accanisce contro il piede della cameriera?
Quando mio padre stette male fu riorganizzata la stanza da letto, il matrimoniale fu tolto e fu messo un letto singolo sotto la finestra. Noi abbiamo delle finestre di quasi tre metri. Se ero stesa sul lettino e l’anta era aperta, immaginavo che il vetro, per motivi inspiegabili, si spezzasse a metà e mi cadesse addosso, tagliandomi in due tronconi.
La ghigliottina è una cosa, ma morire vedendo le proprie budella alluvionare un letto mi fa dar di stomaco.
Insomma, per farla breve, io non ci dormo più in quel letto lì.
Ho paura anche dei pesanti vetri da acquario che avevo utilizzato per farmi i cassoni vetrati. Ne ho tanta paura che non oso toccarli per buttarli, ma impazzisco all’idea che i cani possano andarci a dare delle testate, suicidandosi con la testa fracassata in un mare di sangue.
Ho paura delle bomboniere di vetro o di cristallo, per non parlare dei mobili. Tavoli con la superficie in vetro, mensole di vetro, scaffali di vetro. Certamente si romperanno e mi aggrediranno, come il coltello di Brivido, e io finirei in salsa rosa, come l’arancia dei documentari sui terremoti e le esplosioni nucleari.
Un incubo.
Ho una stima pressocché infinita per Kengo Kuma, ma lui ha dato corpo al mio incubo peggiore (be’, oltre quello di finire in una vasca di lucertole): ha costruito una casa di vetro.
Forse il suo marchio di fabbrica, la famosa Glass House. QUI trovate un articolo esauriente.
La Glass House è certamente suggestiva, soprattutto di notte (di giorno, a dirla tutta, non è poi un granché…) e se uno non ha la fobia del vetro l’annullamento del confine tra l’edificio e l’acqua (e di notte, la luce), è qualcosa di surreale, di magico, di ineguagliabile. Bellissimo, magnifico, eccezionale!Dov'è l'uscita?
Pare che il pavimento sia fatto di uno speciale vetro lamellare. Lamellare? ma siamo pazzi? Io ho paura del vetro e questo ci aggiunge anche le lamelle? Mi immagino sprofondare nel pavimento con tutte quelle lamelle di vetro che si conficcano dentro le mie carni grasse e mollicce, roteando impazzite come dischi di seghe circolari.
Ma voi pensate che una persona pesante si possa sedere su una di quelle sedie? Dico, e va bene che ci hanno fatto un albergo, e non so quanto costi a notte, ma io uscirei da lì con i capelli bianchi. Dovrebbero pagarmi loro.
Preferisco stare in acquaDico, non è meglio stare fuori, nell’acqua? magari è pure riscaldata. A proposito, come avranno fatto per il riscaldamento? e d’estate, questa casa non diventa una serra? Io faccio un salutino da fuori, col costume da bagno, eh?
Ma poi non è possibile, ma veramente, tutto di vetro, pure il bagno!
Lavabo in vetro, ripiani in vetro, dico, il water non si vede, ma magari è di vetro pure quello. E poi la gente che ti guarda da fuori mentre sei concentrato sulle parole crociate e il sudoku? Un po’ di discrezione, insomma.
Magari c’è uno che dal salone o dalla “zona relax” (eeeeh, che relax!) ti vede attraverso le vetrate mentre ti fai la doccia. Ed è un albergo! C’è gente che paga per farsi vedere con le brache calate e il sudoku sulle ginocchia!
E’ un miracolo che non abbia messo anche le poltrone di vetro.
Molto, molto suggestiva, e a parte gli scherzi originale, innovativa, così elegantemente inserita nel luogo dove sta che sembra esserci nata dentro.
La sospensione sull’acqua, poi, è uno dei miei elementi preferiti dell’architettura contemporanea (un elemento che ci hanno portato sempre loro, i giapponesi). Una lezione di stile, di preziosità delle forme. Ci suderei freddo, probabilmente avrei un attacco isterico, non riuscirei a muovermi, ma a Cesare quel che è di Cesare.
Purtroppo però è di vetro. E nessuno racconta cosa successe davvero a Cenerentola quando andò al ballo con le scarpette di cristallo. C’è un’intera puntata di E.R. sui problemi che ebbe Cenerentola quella sera.
Stasera sono stanca ed è da giorni che imploro l’onnipotente per una buona notizia. La buona notizia arriva sempre quando meno te l’aspetti: una amica di Milano telefona per dire che il mio libro è stato citato sulle pagine culturali del “Corriere della Sera”. Non è vero, penso, sulle prime.
Poi controllo in rete ed è la verità. Grazie alla signora Lamarque, che porta il nome di un famoso evoluzionista, per questa recensione “di sbieco”, perchè più che di me parla delle violette di Goethe.
Questa cosa di Goethe e le violette ha fatto andar di matto l’establishment, anche Erena.
Il sito avvisa che la riproduzione è riservata, e se dovesse essere necessario rimuoverò il testo dell’articolo, ma vogliamo negare ad una non-più-ragazza che vive in Calabria, lontana da tutti i centri luminosi della galassia, il piacere di dimostrare che con le sue manone da contadina ha prodotto qualcosa che piace ancora a distanza di anni, e che viene apprezzato da una testata nazionale?
I blogger vanno in delirio per queste cose, ma qui non si tratta solo di “pubblicità” o di avere il rank più alto questo mese.
Si tratta di potersi finalmente pacificare, di sciogliere i propri dubbi sulla qualità di quello che si è scritto, e di lasciarsi commuovere dal fatto che qualcuno ha capito la fatica e lo sforzo che ti sono costati quel libro da nulla: sì, quel piccolo libretto con i vasi di gigli in copertina.
Grazie per questo mattone di autostima che mi avete regalato.
Goethe era un molto miope, non credo spargesse violette in maniera precisa. Gettava i semi a spaglio dove riusciva ad avere un po' di visuale
Gentilmente
Le violette milanesi e Goethe seminatore
Spontanee
Che belle le violette spontanee, quelle piccole, appartate, che nessuno nota. Che tra i prati di Milano sia per caso passato, un po’ di tempo fa, a piedi o in volo come uno Chagall, Johann Wolfgang Goethe? Perché se non è una leggenda, e pare non lo sia, lui passeggiava (due secoli prima dei guerrilla gardeners) spargendo qua e là semi di violetta che si teneva sempre in tasca per abbellire un po’ il mondo; l’ ho sospettato in questi giorni di così tante improvvise violette nei prati milanesi.
Intendo le violette spontanee, quelle piccole, appartate, che nessuno nota benché ci diano tutti i giorni un po’ di profumo, non le coloratissime viole del pensiero che riempiono sgargiantemente le aiuole (che bella parola, con tutte e cinque le vocali e solo una consonante, la «u» però latita un po’ ) delle rotonde e dei giardini.
Mi si affacciano mille domande: i semi di quali viole spargeva Goethe? E la gente lo vedeva o seminava di nascosto? Seminava soltanto o anche innaffiava? E aveva tanti semi a disposizione perché una delle sue fidanzate (poi moglie) era fioraia? (No, Christiane Vulpius la chiamavano la Fioraia ma lavorava in una fabbrica di fiori artificiali, peccato). E i semi li teneva in tasca sparsi o in bustine? Aveva un taschino apposito o se ne andavano qua e là indisciplinati tra pezzetti di carta e monetine? Spargeva solo semi di viole o anche di altri fiori? Mi sa che qualche seme se l’ era procurato qui da noi in Italia, durante il suo lungo viaggio, magari nella sua adorata Napoli («Neapel ist ein Paradies»).
Questa abitudine di Goethe la conferma anche Lidia Zitara in un suo bel libro di un paio d’ anni fa, «Giardiniere per diletto», ( bello consigliare anche i libri non ultimissimi usciti, quelli che, sempre incalzati dai nuovi, temi rischino l’ eliminazione) che insegna a coltivare un po’ spettinatamente, infatti la natura di suo è spettinata, non mette le viole in fila per due, una gialla una blu una gialla una blu. Del resto anche l’ uomo non è da meno: intorno alle violette, in ordine sparso, non in fila, semina lattine, cartacce, mozziconi, vassoietti di polistirolo, bucce d’ arancia, pacchetti di sigarette, che bestie che siamo, anzi no, si è mai vista una bestia maleducata? A proposito di bestie, il Parlamento europeo – ci aggiorna la benemerita Lav – sta percorrendo tutto l’ iter per ottenere che gli strazianti viaggi per il macello non superino le otto ore. Anche, anzi soprattutto i non-vegetariani dovrebbero firmare per fare ponti d’ oro a quei poveretti di cui leccandosi i baffi ogni giorno si nutrono. Un po’ di gratitudine per tanta squisitezza.
Limno per Forte MargheraLimno, collettivo di ricerca che indaga i temi della natura e delle nature, è attualmente impegnato in un progetto editoriale sul complesso di Forte Marghera, Venezia.
La pubblicazione, prodotta da Ca’ Foscari, studia il concetto di stratificazione – floristica, faunistica, architettonica, paesaggistica – ed è articolata in contributi testuali, immagini e mappe.
Una parte della pubblicazione conterrà una selezione di testi inviati liberamente, selezionati in base alla loro vicinanza con Limno e con le tematiche che affronta. L’invito, che si rivolge a professionisti e appassionati, è oggetto di questa call for entries.
"Quando guardiamo il cielo di notte ci soffermiamo ad ammirare le stelle a caso senza seguire uno schema.. lasciamo che la nostra fantasia si perda in questo immenso soffitto brulicante di luci... una stella grande.. qualcuna piccola.. un'altra azzurra ed una rossa! Luci lontane che forse ora non esistono neanche più.. eppure sono lì le guardiamo ogni sera quando le nuvole ce lo permettono.. luci che continuano a brillare .. a vivere.. che continuano a farci sognare! Questo BLOG vuole essere uno spazio semplice, senza pretese, uno spazio dove antichi sorrisi e sguardi continuano a brillare come stelle... semplicemente continuano a vivere nell'immenso cielo della rete." (Domenico Nardozza)