Qualche settimana fa mi è capitato di dover scrivere un articolo sulla “città lineare”, un’idea di assetto urbanistico verso la quale si stanno indirizzando molti sindaci della Locride.
La Locride ha una struttura di viabilità a pettine. C’è la grossa arteria (in stato di avanzata sclerosi, veramente) della statale 106, la cosiddetta “strada della morte”, alla quale si congiungono, come i denti di un pettine, le stradine che con spasimi, curve e convulsioni, scendono dalle colline al mare.
Il mio articolo era molto composto, suonava così:
Nel tempo recente lo sviluppo territoriale della Locride si sta spostando sempre più sul litorale, attraendo flussi economici e turistici, lasciando in disparte le città subcollinari e pedemontane dove è difficile arrivare a causa di una rete viaria insufficiente e in cattivo stato di manutenzione.
Secondo lo studioso Salvatore Futia, autore del volume “I poli urbani in Calabria”, attualmente in ristampa, è un’idea attuabile sul territorio locrideo, in cui la rete della viabilità è a pettine. Si potrebbe quindi congiungere via tram il Porto delle Grazie di Roccella con l’Ospedale di Locri, passando per Gioiosa e Siderno. L’idea, che fu teorizzata nel 1962 da Arturo Soria y Mata, che pubblicò il suo scritto la “Ciudad Lineal” che voleva essere un’alternativa alla città compatta di modello tradizionale, creata attorno ad un nucleo centrale.
L’accento è posto sulle infrastrutture meccanizzate di trasporto (in primo luogo la ferrovia) che diventano “matrici” dell’insediamento urbano. Il modello insediativo utilizza basse densità capaci di assicurare buona qualità ambientale ed igiene edilizia controllata. Lungo questi percorsi ci dovrebbero essere dei “nodi di distribuzione”, le cosiddette “città puntuali”. Nel nostro caso, appunto, Locri, Siderno, Gioiosa, Roccella. La base delle comunicazioni è via tram, esattamente come proposto nel modello del professore Futia, attraverso i quali tutti i punti nodali del nostro sistema viario e turistico dovrebbero essere raggiunti dalle linee ferrate. I tempi sono maturi, sostiene l’autore, ma la domanda sorge spontanea: e i centri collinari, che fine farebbero?
Ribadisco: e i centri collinari, che sono la sola cosa bella che abbiamo? Gerace, Canolo, Riace, Stignano, Bova, Palizzi, che in un concorso di bellezza ridurrebbero in polpette i tanto decantati borghi toscani, dove li lasceremo?
Quegli iloti dei sindaci della Locride, sostenuti dalla malleveria surrettizia degli assessori all’Urbanistica, di cui il più intelligente e colto è appena in grado di scrivere il proprio nome per esteso, stanno avviandosi su una strada pericolosissima per la Calabria. Vogliono convogliare il traffico economico sulla litoranea, lasciando fuori dai vari POR e finanziamenti europei i borghi collinari, che sono quelli che ne avrebbero di maggior bisogno.
Bravi.
E se fosse come per la pista ciclabile di Siderno? Vale a dire che certi borghi sono così come sono, proprio perché per un bel periodo lo sviluppo economico si è dimenticato di loro e, per tale motivo, sono rimasti chiusi e ben conservati come in una soffitta, alla quale acceder ogni tanto e rmanerne ogni volta sorpresi. A chi incontro in questi posti, mi dico spesso di suggerirgli di starsene zitti, per non lasciarsi travolgere dalla macchina dello sviluppo interessato.
Anche io ho pensato spesso a questo fatto: se una cosa la lasci stare, si conserva e “rimane bella, intatta”.
Ma purtroppo l’economia moderna non lo consente più.
Se non sostenuti da una viabilità migliorata, da incentivi statali ed europei, i bei borghi calabresi si trasformeranno rapidamente (come in parte è già successo) in una sorta di creatura ambigua, metà antica e metà moderna. Un vecchio nucleo di case antiche, fatiscenti, che al più possono essere di bell’esercizio per uno studente di pittura che voglia ritrarli, contornato da un esercito di casermoni in calcestruzzo.
E allora addio Calabria.
Qui c’era solo una speranza: che venissero i tedeschi a comprarsi le case. Se il governo locale avesse sostenuto l’impresa, la Locride sarebbe potuta diventare un po’ come la zona dei Laghi, in cui tedeschi e Inglesi hanno fatto tra i più bei giardini d’Italia a fine Ottocento e inizio Novecento.
A proposito di viabilità di Gioiosa, ho trovato su La Stampa questo interessante articolo relativo alla galleria Limina.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/419532/