Un paio di giorni fa, su Radio3, andava in onda un’intervista a Franco Micalizzi sulle numerose citazioni di Quentin Tarantino della sua colonna sonora di “Trinità”.
Micalizzi ha detto qualcosa del genere: “Vengo da una scuola in cui eravamo abituati a comporre musiche originali, l’unicità era ciò che ci distingueva. Ma se altri si trovano bene nell’esprimersi attraverso ciò che ho scritto io, a me fa solo piacere, tantopiù che Tarantino lo fa in modo splendido”.
Poi sono dovuta andare a fare la spesa.
Non è la prima volta che mi capita di sentire qualcosa di analogo, quando mi interrogo sulla natura della citazione: “esprimere se stessi, ma con i termini già fatti da altri in precedenza”.
Se questo è senz’altro vero per la citazione scritta, non lo è sempre per quella visiva o musicale.
Come tutti, sono affascinata dalle citazioni, dagli aforismi e dai brevi proverbi. Sono quel tipo di persona che non ricorda le date e i nomi, ma che sa a memoria interi film, battuta per battuta. Sì, sono una di quelle odiosissime persone che mentre la famiglia è riunita a vedere un film, dice la battuta un secondo prima che esca dalle labbra degli attori.
A volte rispondo frasi apparentemente sconnesse e senza senso:
“E come ci piace la pastella a lei? Normale, al dente o ben cotta?”.
“Era buona la totta?”.
“Sì, però è un caldo asciutto!”.
“Follia completa!”.
“Scusi il francese”.
“Alla grande grande”.
“È stata una giornata brutta brutta brutta”.
“A chi, al tonno?”.
“Sì, la torta la prendo, ma non riscaldata”.
“Tu sei quello che i francesi chiamano “les incompétents” “.
“Piccoli bambini negri di Shimoga più ritardati che io”.
“Stronzo inutile!”.
“Inconcepibile! Del tutto, in qualsiasi altra maniera, inconcepibile!”.
“Travalica la mia capacità di razionalizzare”.
Credo che mai come in questa epoca storica la citazione veda il suo momento d’oro. Non solo la citazione pura, quella dei tesauri o degli almanacchi, delle agende e dei calendari. Intendo proprio la citazione artistica, cha a volte diventa appropriazione di un’altra opera d’arte.
Da studentessa ho imparato a guardare la citazione come un escamotage, tollerata se ispirata alla cultura istituzionale o elevata. Solo i più ardimentosi pescavano nel magma della cultura pop.
Era pericolosa, malvista.
Solo le rock star, i registi, i grandi fotografi, erano ammirati quando riuscivano ad inserire una citazione all’interno delle loro opere. Tutto il resto del mondo era biasimato.
Oggi la citazione artistica è un elemento quasi necessario per farsi comprendere, per parlare agli altri. Le opere originali sono considerate o “visionarie” o “cerebrali”.
La mole di film che citano film che citano altri film, è una testimonianza tangibile, poiché -su tutto- il cinema si presta ad accogliere suoni, parole e immagini, e quindi citazioni provenienti dalle più disparati fonti, anche diverse, mescolandole.
La citazione non è solo un mezzo espressivo attraverso le opere altrui, ma -dopo attenta e lunga anlisi- sono arrivata a concludere che sia uno degli elementi distintivi del Postmodernismo.
Giubbini scrisse che viviamo in’epoca senza stile, come paradigma artistico, non come “classe” o “raffinatezza”.
Il Postmodern si qualifica per non possedere uno stile a margini fissi, ma proprio per il suo eclettismo, molto più ampio di quanto possa essere stato ogni eclettismo passato, grazie alle suggestioni che provengono da ogni parte del globo. Il Postmodern non è riuscito a individuare una serie di regole estetiche precise, nuove, proprie. Ma le ha mutuate dai periodi precedenti, fondendole in un modo perfettamente riconoscibile.
E allora vedete che piano piano ci stiamo arrivando: non è cosa ma come. È il modo in cui questi elementi vengono isolati, frattalizzati, incollati o fusi, su cui si basa lo standard of taste del Postmodern.
Se ne evince che l’originalità non trova facile collocazione all’interno di un insieme eterogeneo. Non si capisce cos’è e la si ignora come elemento estraneo o non pertinente.
Mentre ciò che già risiede nell’immaginario collettivo, vuoi per la sua grande potenza espressiva che per la sua età, assolve meglio alla funzione “copia e incolla”.
Conclusione: ringrazio tutti coloro, dotti e professori, a cui ho posto questa domanda e che mi hanno risposto in modo superficiale e disattento. Ringrazio la mia autonomia di pensiero e la capacità di attendere l’input giusto, e -ovviamente- il signor Trinità.
ciao, provo a risponderti in parte per quello che riguarda la musica. Sono solo una pianista amatoriale, ma ho avuto il piacere di parlare molto con il mio maestro che è un signore che ha vissuto per tutta la vita col suo mestiere di musicista, compositore, arrangiatore e ,infine , insegnante.
Quando si scrive un brano musicale (mi limito a brani pop o per piccole orchestre, non musica aulica), è abbastanza normale ispirarsi a brani molto famosi , ma si elabora in maniera personale. Così nasce un brano che l’ascoltatore percepisce familiare e piacevole ma senza essere un plagio.L’ascoltatore non deve capire da dove arriva l’ispirazione! Poi l’arrangiamento musicale , personale e diverso, riesce a creare un’atmosfera contemporanea e originale, per cui non ci si accorge del prestito a meno che non si sia molto attenti.
Un esempio è “4-3-43” di Lucio Dalla che lui dichiarò essere una tarantella a cui aveva modificato il ritmo, Ci sono altri casi che prendono in prestito note di brani classici ma in maniera abbastanza occulta e più o meno “pulita”. Il brano “La voce del silenzio” , cantata da Ranieri(1968) , ricopia paro paro le prime note del preludio Bwv 871 di Bach.
“All by my self”, cantato da Celine Dion inizia con una citazione di Rachmaninov (concerto n.2), però è sempre un gran bell’inizio!
Invece a mio avviso è cosa diversa la mancanza di creatività dei nostri cantanti italici di mezza età : Ligabue, Giovanotti, Nannini, per citarne qualcuno.
Mi pare che scrivano canzoni senza averne voglia, senza avere un granchè da dire, oppure più onestamente riprendono vecchie canzoni e le riarrangiano. Sarebbe meglio per loro prendersi una lunga vacanza e aspettare di avere ancora l’ispirazione piuttosto che pubblicare robe insulse.
Ciao Milli, vedo che oggi l’insonnia ha colpito anche te.
Io sono un’analfabeta musicale, e a dire il vero non mi piace “Trinità” nè lo spaghetti western, e solo occasionalmente ho sentito qualche brano delle colonne sonore di Micalizzi e company.
in realtà il caso descritto non è una legittima ispirazione o una modifica di ciò che già c’è, assorbendolo e contestualizzandolo in uno stile personale.
la citazione musicale di Tarantino è precisa: sono le note di Micalizzi che lui ripropone tal quali nei suoi film, per suggerire l’atmosfera che quelle note hanno descritto.
Quindi non ci si ispira, e neanche si copia, ma si ripropone, tal quali, note, immagini, ecc prodotte da altre persone.
Un film densissimo di citazioni è Shrek. Fiona fa il salto di Trinity per atterrare dei nemici, ma la Trinity di Matrix è un’altra copia di Trinità. Vi assicuro, non se ne esce.
Baudrillard la chiamava “simulazione”.
Su questi Ligabue, Giovanotti, Nannini, non ho niente da dire, è possibile che abbiano qualche merito musicale, ma vorrei che qualcuno me lo spiegasse, perché -da analfabeta musicale- non ne riconosco alcuno.
Ad ogni modo è triste che critici cinematografici e professori di filosofia annaspino in questi concetti. Baudrillard, in fondo, è roba di sessant’anni fa. Il tempo per leggerlo c’era.
Io sono piuttosto piuttosto analfabeta di cinema ( e ho una pessima memoria per le battute). In effetti queste citazioni pullulano, sembra un gioco tra gli autori del film e gli spettatori . Sembra che una gara a chi ne conosce/ri-conosce di più, con conseguente autocompiacimento . È anche divertente, entro un certo limite.
Ma probabilmente non c’entra nulla con la creatività in senso stretto.
Volevo scrivere: sembra una gara..
( maledetti errori)