Ancora Gilles Clément

Gilles (gli do del tu) va molto di moda. L’establishment culturale giardinicolo va assolutamente pazzo per lui, lo trovano “divino”. Ne parlano, lo citano, lo accarezzano, lo blandiscono, ma non lo comprendono.

Neanche il servizio di Rosanova, seppur bellissimo (di gran lunga l’analisi più sensata del suo pensiero mai fatta nella nostra italietta giardinicola) riesce a far emergere le conseguenze  della enorme portata di quello che Clément ha scritto.

Dopo Clément il giardino  è come un personaggio di Italo Svevo o Pirandello: completamente dissolto, smaterializzato, annientato.

Cosa rimane? E’ anche la domanda che si fa Giubbini.

Rimangono la campagna e i giardini degli altri. La campagna (la foresta, gli incolti, i prati, ecc.) come “giardino planetario”; i giardini degli altri come “giardino sociale”.

Ma attenzione, Clément lascia ben viva un’altra opportunità, che non riesco a capire come non sia stata individuata:  se il minimo artificio è comunque fasullo, e l’assenza di artificio esiste solo in Natura, il massimo artificio (nel rispetto della biodinamicità e della biodiversità), non è toccato dalle tesi di Clément. La grande rappresentazione scenica rimane. L’aspetto ludico, di illusione cosciente, è più che ben desto.

Mangio sano, ma nessuno mi vieta di prendere un po’ di mescalina, ogni tanto. Una mescalina che guarda caso, non fa neanche male.

21 pensieri riguardo “Ancora Gilles Clément

  1. scusami ma il commento che ho lasciato un attimo fa è pieno di errori
    ho riguardato e corretto un po’
    potresti toglierlo e sostituirlo con questo?
    Grazie

    ciao
    certe tue dichiarazioni riescono a stupirmi e stravolgermi e non riesco a metterle in fila, per intenderci mi riferisco alla frase finale sulla mescalina, ma soprattutto e per mie mancanze letterarie non capisco questo: “Dopo Clément il giardino è come un personaggio di Italo Svevo o Pirandello: completamente dissolto, smaterializzato, annientato.”
    Che vuoi dire con questa cosa? lo so è impossibile spiegarlo o lo capisco o non lo capisco.

    Comunque non sono queste le cose importanti e nemmeno che Gilles Clément sia considerato “divino”. Io penso che lui si trovi alla fine di un ciclo e non solo lui ma anche molti di noi e in fondo a questo ciclo scopriamo la cosa più importante che è il bisogno di “wilderness”.

    Alla fine di questo viaggio nel giardino non è più tanto importante l’aspetto ludico ma la contemplazione e nel farlo ci rendiamo conto che niente è più perfetto del naturale, e allora perché mai stare a fare un giardino.

    Il discorso certo è più complesso e possiamo riparlare di wilderness in modo più preciso, ma ieri sera proprio qua nel blog di Mimma Pallavicini in una sua cronaca dalle giornate di Milis, cita una dichiarazione di un comune amico Maurizio Usai, che mi sembra emblematica proprio perché conosciamo un pochino Maurizio e il suo modo lavoro giardinicolo.
    Ecco guarda cosa dice “Imparare dalla natura. Le campagne, le montagne, gli habitat costieri sanno essere enormi, bellissimi giardini naturali, e le piante spontanee una risorsa importantissima da non sottovalutare mai. Osservare ciò che cresce spontaneamente in un luogo è di grande aiuto nella realizzazione di un nuovo giardino, e permette di inserirlo armoniosamente nel suo contesto. Comprendere e sfruttare la potenzialità delle forme e dei fogliami, prima di pensare alle fioriture, è garanzia di successo.”
    qua lo puoi leggere http://mimmapallavicini.wordpress.com/

    Questa dichiarazione di Maurizio che in un certo senso ammette la superiorità del naturale sul costruito mi è sembrata una novità proprio per il modo che di lui conosco di fare il giardino. Questa dichiarazione insieme a certe cose che hai scritto tu del tipo che preferisci passeggiare con i tuoi cani sulla spiaggia e il tuo preferire questo a fare il giardino (sempre che non abbia capito male) e poi la vicinanza con il lavoro di Gabriella Buccioli del Casoncello e queste cose che hai scritto su Gilles Clement, di cui non ho letto niente e conosco solo per quello che sui di lui ho legiucchiato qua e là; ecco tutte queste cose mi fan pensare che in fondo se proprio vogliamo percorre fino in fondo questi pensieri arriviamo alla conclusione che fare il giardino è faticoso e inutile e è meglio contemplare praterie, boschi, brughiere e tutto il resto, preferibilmente al mattino presto o al tramonto. Magari ogni tanto anche i giardini degli altri.
    (uhè ma non è per dire che io sono più avanti, ma a queste conclusioni ci ero già giunto da tempo altrocchè bagigi)

  2. Mea culpa: non ho letto Gilles 🙂

    …dai miei occhiali il giardino è sempre figlio-frutto di una relazione. Gli attori in primis siamo noi giardinieri, la nostra volontà d’espressione e la meravigliosa capacità di risposta-proposta dei vegetali. Che si coltivi attraverso visioni oniriche o attraverso minimalismi scientifici il mondo verde reagisce, fa e fa anche a prescindere da noi e da tutto il nostro agire e rimuginare. …Una cosa ho imparato/provato come giardiniere: dolce è sostare in pancia al tumulto verde 🙂

  3. Io sto giungendo alla conclusione che il giardino non è a priori una perdita di tempo. Quanto più si è in grado di trasmettere qualcosa, tanto più ha un senso far giardino. Nel piatto della bilancia ci sto mettendo l’utilità, dico l’utilità verso gli altri. In questo senso approvo l’idea dell’orto della Signora Obama, che più per sfamare la sua famiglia, ha senso in ciò che potrà simboleggiare. Insomma se hai tempo, più tempo che denaro, meglio far qualcosa di buono in questa vita. Si rischia l’appiattimento? Non meno dell’illusione di soddisfare i propri capricci.

  4. però è qua che ti voglio, allora sulla cdg ho segnalato quel programma in tv a geo&geo, quello sulla Isabella Dalla Ragione?
    lo hai visto? in certo senso è un’altro tassello a questo discorso qua della “fine del giardino”, della impossibilità del giardino, della inutilità del giardino, del “che il giardino chi ha rotto le scatole”.
    be insomma sto programma e le cose che diceva la Isabella erano all’insegna della frugalità, della sopravvivenza, della povertà delle zone dell’appennino, della necessità di salvare una certa naturalità, del preservare delle varietà di piante, del non fare trattamenti con pesticidi o simile.
    ecco ora un tipo interviene nella discussione segnalando un programma della bbc sul giardini, ecco a me mi incuriosisce terribilmente com’è che una persona, in risposta a una segnalazione a quel programma lì risponda con un programma sui giardini inglesi, che sono la cosa più lontanamente lontana lontanissimo da un frutteto di conservazione e salvazione di varietà di frutta. ecco me lo spieghi tu com’è sta cosa.

  5. Grazie a tutti per i commenti, è molto gratificante poter contare su qualche persona che sai andrà a leggere ciò che scrivi.
    Per me è molto importante sapere che siete lì.

    Ora rispondo alle difficilissime domande di trem, che mi hanno richiesto molto tempo:

    non capisco questo: “Dopo Clément il giardino è come un personaggio di Italo Svevo o Pirandello: completamente dissolto, smaterializzato, annientato.”

    Svevo e Pirandello in Italia hanno portato ad una dissoluzione dei personaggi dei romanzi e delle opere teatrali (nel caso di Pirandello), per come erano storicamente intese (Moliére o Manzoni, ad es.). Il fatto che essi stessi non sapessero chi fossero, comportava da parte del lettore un intervento quasi drammaturgico, di lettura attiva, non ascolto passivo. Il personaggio non è un “carattere” fisso, ma è interpretabile, mutevole, speculare al lettore.

    Comunque non sono queste le cose importanti e nemmeno che Gilles Clément sia considerato “divino”.

    A dire il vero scherzavo: l’ironia mi piace quando scrivo.

    Io penso che lui si trovi alla fine di un ciclo[…]

    E’ vero, e come dici tu, non solo lui. E’ la fine di un ciclo in cui ci accorgiamo banalmente che le risorse della terra sono esaurite e che impiegarne tante per costruire un giardino non va più bene.
    Ma attenzione, c’è una non trascurabile componente di oscillazione del gusto (letto Gillo Dorfles?)che fa diventare questa necessità una moda (molto elitaria).
    La citazione di Maurizio è appunto emblematica del mutato gusto dell’élite culturale giardinicola. La moda è cambiata, non ontologicamente, ma formalmente, come sempre fa e sempre farà. E chi ha occhi lo vede o ne prende atto, pur preferendo magari un giardino più ricco di preziosismi.
    Il paesaggio naturale, per come la vedo io, non è dunque “superiore” in maniera assoluta, ma lo è relativamente, ora, nunc, adesso, perchè è raro, come è raro il giardino “povero” o non contaminato. E’ proprio dell’élite culturale artistica desiderare ciò che è raro.
    Non c’è niente di stravolgente, nulla di nuovo, niente che non sia già stato detto più volte.

    Riguardo alla mescalina è semplice il concetto: puoi andare in giro per praterie e boschi, al tramonto o all’alba, quando preferisci. Però è umano e non illecito desiderare un po’ di fiaba e di illusione: un giardino la può dare, ed in maniera completa e totale, una fullimerscion in un mondo “altro” dal reale (ecco dunque la mescalina che non fa male).
    Se vuoi sapere la verità, da quel che ho letto e visto su Rosanova, secondo me neanche Clément si è reso conto che dal punto di vista filosofico non c’è assoluto bisogno che i suoi giardini siano falsamente naturali con uno spunto di modernismo in mezzo, che poi non vuol dire nulla. Solo che lo pretendono le sabbie mobili del commercio: perciò ho detto che “ce fa” (un po’, però)

    (uhè ma non è per dire che io sono più avanti, ma a queste conclusioni ci ero già giunto da tempo altrocchè bagigi)

    Beato te!

  6. Riguardo a Geo&Geo, per come la vedo io è veramente semplice.
    E’ tipico di questi programmi contenitore attrarre una vasta fascia di pubblico, ecco perchè accanto ad un bel documentario troviamo la ricetta dei fichi secchi al cioccolato o della tisana della nonna.
    Con una faccia fanno l’inchino a chi ha un certo tipo di cultura, e con l’altra si genuflettono ad altre fasce di pubblico.

  7. no siamo alla fine di un ciclo personale non universale, che le terrà non abbia più risorse che mi importa!

    no aspetta la replica è più complicatas e mi prendo anchio più tempo

    riguardo a geoegeo, guarda che non era il soggetto geoegeo, ma la storia di Isabella Dalla Ragione, di come condiscono il programma non mi importa, scelgo io cosa guardare e a cosa dedicare attenzione.
    ti chiedevo se lo avevi visto
    e ti chiedevo, giusto per annegare una mia curiosità, come mai in un post sul forum cdg dove segnalavo il programma, un frequentatore del forum ha ritenuto opportuno segnalare il sito della bbc con i filmati sui giardini inglesi che appunto sono l’esatto opposto della conservazione delle varietà di mele sull’appennino. Ecco è questo che fa che mi chiedo: ma perchè se segnalo quella cosa lì uno pensa che ci sia affinità con il giardino inglese e risponde segnalando le filmine della bbc.
    Perchè si ritrova così bellamente fuoristrada?

    1. E certo, che ti importa a te che la terra sta per implodere, tanto sei già con un piede nella fossa.
      Io non ci tengo alla vita, ma immagino che per altre persone con prole non sia la stessa cosa.

      io non so se Clément sia alla fine di un suo ciclo, forse è entrato in andropausa. So di certo che se prima era noto, ora è famoso. Non so cos’abbia prodotto nei suoi anni di carriera PRIMA di diventare giardiniere planetario.
      Tu sei più nell’establishment dell’arte contemporanea, la comprendi meglio, quindi non so che dirti.

      Che siamo alla fine di un ciclo estetico però è senz’altro vero, e che da questo gli arbitri dell’eleganza traggano spunto per muovere i loro passi, è vero anche quello.

      Riguardo a GEO&GEO: non ho visto il programma, ero a lavoro. Tra l’altro ieri sono pure arrivati dei miei parenti con bimbo piccolo e frignone al seguito: anche fossi stata a casa non avrei avuto modo.
      Sul perchè è stato segnalato un programma bbc te lo spiego per e-mail.

    2. e certo, che te frega a te che sei già con un piede nella fossa?
      Certo gran bella coerenza interessarsi delle mele antiche poi fregartene delle risorse planetarie. Mo’ te la faccio io una domanda: ma allora ‘sta roba delle mele è solo facciata?

      COMUNQUE! Il programma non l’ho visto: lavoravo, e tra l’altro c’ho parenti con bimbo piagnone, pure fossi stata a casa cos’avrei capito.
      Il perchè è stato segnalato un programma bbc te lo spiego per e-mail

  8. allora con sta faccenda che ci ho il piede nella fossa e ci ho ottoceno anni mi ha stufato, perchè continui a ripeterlo? tu mi sei da poco dietro, non sei mica più un imberbe fiorellino, sei una pallosa nonnetta che scatarra e scaccola su degli antediluviani divanetti inglesi campagnoli.
    il da te citato Gillo Dorfles, lo vedo spesso in giro anche da solo, con i suoi forse 99 anni, è più giovane di te e di me, è sempre elegante e non barbottoso come te e me, quindi glissa sull’età, che con i tuoi mobiletti da mercatone in stile oldammerica non hai il diritto di dare del vecchio agli altri.

    poi…”Io penso che lui si trovi alla fine di un ciclo[…]

    E’ vero, e come dici tu, non solo lui. E’ la fine di un ciclo in cui ci accorgiamo banalmente che le risorse della terra sono esaurite e che impiegarne tante per costruire un giardino non va più bene.
    Ma attenzione, c’è una non trascurabile componente di oscillazione del gusto (letto Gillo Dorfles?)che fa diventare questa necessità una moda (molto elitaria).
    La citazione di Maurizio è appunto emblematica del mutato gusto dell’élite culturale giardinicola. La moda è cambiata, non ontologicamente, ma formalmente, come sempre fa e sempre farà. E chi ha occhi lo vede o ne prende atto, pur preferendo magari un giardino più ricco di preziosismi.”

    riporti sempre al tutto, al mondo, al totale, alle risorse esaurite e alle mode, machissenefrega! la fine del ciclo è un percorso individuale. Per me, per Gilles, per Mauri, è la fine di un ciclo personale, la fine di un percorso creativo che esula dai destini del mondo, è innanzitutto il percorso del singolo e forse è così anche per te senza che ti pari dietro il mondo senza risorse, le cose si fanno pima di tutto per se stessi, se servono agli altri bene, ma non è il bene degli altri il fine essenziale.

    1. Ahaaaaa!!!!Lo sapevo che il tasto dell’età era quello debole. Dio che bello riuscire a farti incazzare un po’. Brava Conni.

      …ma che fine e fine di una ciclo individuale? ma tu pensi che il mondo smette di ruotare senza te, me, Gilles Clément o Maurizio Usai?
      Il mondo se ne frega di noi, siamo noi che facciamo parte del mondo. Non ha la mia simpatia chi crede che il mondo sia in funzione della sua peristalsi.
      Chi crede di essere alla fine di un ciclo personale è solo ala, fine di un ciclo epocale, solo che è tanto coglione o ignorante, o presuntuoso da non saperlo o capirlo.
      E come disse Voltaire ( a parte la celebre frase “Grazie a Dio sono ateo”), “Una bvita non vale niente e niente vale una vita”.
      Dato che a me non credi, ferma Gillo Dorfles la prossima volta che lo vedi a passeggio con gilè e papillon, e fattelo spiegare da lui.

  9. dentiera!!??
    figurati se ci ho la dentiera, sono mica un proletario che va a farsi la dentiera in Slovenia per risparmiare, io cioh gli impianti con i pernomonconi d’oro, i soldi io me li spendo in ponti d’oro da mettere in bocca, il mio dentista è il più caro dittalia.

  10. Si bene bravi… comunque della intenzionalità della mia affermazione non avete capito una beneamata mazza nessuno dei due.
    Io sono nel bel mezzo di un processo personale di elaborazione stilistica, altro che cambio di rotta, fine di un ciclo. Non ammetto alcuna “superiorità” del naturale rispetto al costruito, né ho smesso di pensare che un giardino sia un’opera complessa che prima di tutto scaturisce da un sentimento empatico nei confronti del luogo in cui sorge, e delle persone che quel luogo vivono, e solo successivamente nei confronti di tutto il resto. E’ anche per questo motivo che continuo a fare, senza distinzioni di impegno, giardini minuscoli a risorse rasoterra, e giardini anche molto grandi pieni delle risorse che vituperate tanto. Continuate pure a demolire… a me pare tanto più divertente costruire.

  11. Hai ragione Maurizio interpretare i pensieri e i percorsi altrui è sempre pericoloso soprattutto quando lo si fa’ con le parole sbagliate come ho fatto io.
    Quindi nessun ripensamento, nessun cambiamento di rotta, nessuna fine di un ciclo ma un naturale “processo personale di elaborazione stilistica”.
    E poi anche qua “…né ho smesso di pensare che un giardino sia un’opera complessa che prima di tutto scaturisce da un sentimento empatico nei confronti del luogo in cui sorge, e delle persone che quel luogo vivono, e solo successivamente nei confronti di tutto il resto.”, benissimo è la conferma di quanto ho notato, una tua maggiore attenzione a quanto c’è attorno e quindi al naturale.
    Bene aspetto di vedere i frutti di questa tuo percorso stilistico.
    Personalmente non demolisco un bel niente, solo a parole cerco di demolire quello che trovo sciocco stupido, brutto, inutile, ma solo a parole e poi si sà che quello che dico io non è così autorevole, quindi sai bene che demolisco ben poco.
    Invece sono convito della superiorità del naturale sul costruito ma anche qua vale poco la mia convinzione perchè non sono un costruttore o perlomeno quello che costruisco è così immateriale che almeno ho la consolazione che non avrò distrutto niente con il mio “creare”.

  12. Scusa se rispondo con tanto ritardo, ma ho avuto una settimana molto piena.
    La colpa di questa errata interpretazione è naturalmente di Trem, che evidentemente ha fatto una cattiva citazione o ha combinato qualche altro guaio.
    Per quanto riguarda il problema filosofico del bello naturale neanche io credo che sia tout court superiore a quello artificiale: ho semplicemente sottolineato come per molti oggi lo sia o lo stia diventando a causa dei problemi ecologici avvertiti con maggiore urgenza di cento, centocinquant’anni fa.
    Sappiamo che sei nel bel mezzo di un processo creativo, ma anche gli altri hanno questa facoltà, e non necessariamente due processi creativi devono approdare alle medesime conclusioni.

    1. Ciao Lidia,
      scusami per il ritardo con cui rispondo ma anche io sono presissimo in questo periodo.
      Non ho mai pensato di essere l’unico ad avere un processo creativo in corso, solo mi disturba non poco vedere completamente travisato (e successivamente discusso) il mio pensiero per una lettura superficiale e fuori contesto di quattro righe scritte sul fondo di un foglio, ultimo punto di una serie di dieci, dedicati al modo con cui fare “di necessità virtù” per giardini in climi mediterranei. A qualcuno è sembrato un manifesto, ma non lo è, si è voluto leggere a tutti i costi un messaggio che non esiste.

      Ho trovato moltissimi spunti interessanti sia in questo blog che sul tuo libro, l’ideale sarebbe che un giorno ci incontrassimo o ne potessimo parlare direttamente, mi piacerebbe molto sapere la tua opinione su una serie di cose che mi frullano per la testa da un po’. Sai benissimo che condivido molti dei tuoi intenti critici, anche se ho una visione del giardino e del giardinare legata a temi molto diversi da quelli del tuo riflettere.
      Però ogni tanto, leggendo, mi chiedo…. “e quindi?”… esiste uno sbocco, una potenzialità costruttiva concreta?

      Scusami se non sono chiarissimo nellos crivere, ma sono a lavoro dalle 6 di stamattina, e il cervello va a singhiozzo…

  13. Io apprezzo molto la chiarezza, per quanto rude debba essere, e spero che vorrai essere almeno così chiaro, se non di più, con me e su di me, ora e in futuro.
    Apertamente confesso di non sapere da dove provenga quella frase. Non ho letto i tuoi 10 punti sul giardino mediterraneo. Per quanto dovresti essere perfettamente al corrente che chi produce cultura è sempre soggetto a cattiva interpretazione di ciò che scrive/dice/fa, anche da persone molto, molto dotte, ti posso assicurare che non si è voluto leggere proprio un bel niente a tutti i costi. Non è il mio modo di praticare la cultura e mi dichiaro fortemente delusa per il fatto che tu lo pensi, soprattutto visto che non ci conosciamo certo da due giorni.
    Non produco questa forma di cultura per ripicca, come mi pare che alcuni siano stati indotti a pensare, ma perchè ci credo, e più leggo, m’informo e penso con la mia testa, più mi convinco.
    Anche a me han detto delle sciocchezze: tipo che nel mio libro ci siano errori tecnici (come se il giardinaggio fosse una funzione trigonometrica: io ho parlato delle mie piante). O anche che ho delle tendenze di “velato populismo”.
    Per quanto dotte siano queste persone, posso dire che hanno capito poco o nulla di quel che ho scritto, o che comunque gli è sfuggito il senso del mio libro.
    Quindi, se sbagliano loro, credo che possiamo permetterci di sbagliare anche noi, povere galline chioccianti.

    E’ evidente che a tutti si irritano quando i propri pensieri sono travisati, solo che è bello poter contare su amici, ma magari non dico tali, ma pure colleghi sinceri, che ti danno la possibilità di difendere le tue idee, su cui magari hai passato tanti anni e in cui riponi speranze e orgoglio.
    E su questo credo di non dover aggiungere alcuna spiegazione (solo ogni tanto devo farmi un Plasil).

    Per quanto riguarda la risposta, posso dire, anche io molto chiaramente, che non è compito mio darla, semmai tuo e di tutti coloro che praticano la creazione dei giardini.
    Il mio compito, da teorica, è sollevare questioni e animare pensieri. Sebbene possa avere perfettamente in testa il “giardino del futuro” (e ne ho in testa svariate centinaia) è solo la società, che al suo mutare, muta il gusto e lo stile del giardino. Ergo: non ci sarà nessun nuovo modo di fare giardino finchè non cambierà la società, checchè ne dica io o altri. Tra l’altro mi sentirei non meno che una falsa profetessa se iniziassi a dire “fate così, fate colà”, tanto più che molti sforzi dei paesaggisti contemporanei hanno sortito ottimi risultati, a cui perarltro le riviste “nobili” in Italia non dedicano poco o nessuno spazio.
    Se io avessi avuto -come hanno avuto altri- la possibilità di studiare, crearmi un’esperienza, viaggiare, vedere altri giardini, frequentare l’ambiente, avere contati, oooooh, ma dove sarei! Non certo qui a raccogliere i pezzi della mia vita! E certo non mi sarebbe bastato il giardino tradizionale.

  14. chiedo scusa per aver equivocato il pensiero di Maurizio Usai,
    è tutta colpa mia, che leggendo sul blog di Mimma Pallavicini questo virgolettato attribuito a Maurizio

    “Imparare dalla natura. Le campagne, le montagne, gli habitat costieri sanno essere enormi, bellissimi giardini naturali, e le piante spontanee una risorsa importantissima da non sottovalutare mai. Osservare ciò che cresce spontaneamente in un luogo è di grande aiuto nella realizzazione di un nuovo giardino, e permette di inserirlo armoniosamente nel suo contesto. Comprendere e sfruttare la potenzialità delle forme e dei fogliami, prima di pensare alle fioriture, è garanzia di successo.”

    ho erroneamente frainteso una sua maggiore attenzione al naturale, che invece mi sembra di capire dai suoi interventi, smentisce per una chiara predilezione dell’artificiale sul naturale. Prendo atto, grazie.

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