Per fare un tavolo ci vuole il legno…

Dice la canzoncina: “Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero”.
Bene, anche per fare un giardino ci vuole un albero, e che non sia un albero qualunque.
Il giardiniere, quello di un certo livello, quello che si distingue dalla massa, si riconosce subito da che alberi usa.
Perché poi l’albero? Ma è semplice, perché l’albero è molto grande, occupa più spazio,il suo posizionamento corretto implica una pianificazione attenta e consapevole, una scelta adeguata dell’esemplare, (che non sia né troppo grande né troppo minuto), il suo sviluppo elegante chiarisce che siamo di fronte ad un giardiniere-osservatore costante, che conosce i metodi di potatura corretti, che lascia mano libera alla natura senza sfociare nell’anarchia, che sa amministrare la wilderness con sapienza e abilità, che ci pensa sopra due volte prima di potare o meno la farnia ;P .

Un giardiniere così è uno che non solo conosce le piante da fiore, che sono piccole creature “traslocabili” rispetto ad un albero, ma tratta le piante da giardino più difficili, più imprevedibili, più faticose da imbrigliare con i tagli, più complesse da salvaguardare dagli agenti atmosferici, dai parassiti, dalle avversità in genere e -non ultime- da leggi comunali poco opportune e spesse volte scritte da burocrati dell’epoca paleozotica.

Un giardiniere raffinato scarterà per prime le Thuja e i cipressi, aborrirà il cipresso di Lawson, e se non abita in zone veramente rigide, in linea generale non sceglierà mai una conifera, piuttosto un albero da frutto.
Al Sud un bellissimo albero che è facile vedere nei giardini, arrivatoci di certo non per merito dei proprietari, è la Radermachera sinica,

Je suis, je suis, je suis...

un albero di una raffinatezza inenarrabile, con grandi fiori bianchi che compaiono in età adulta. Per la sua lentezza nel crescere e la sua delicatezza, la Radermachera è diventata tipica pianta da interni, regalata con la coccarda rossa in occasione di compleanni e feste familiari. Poi, dopo anni, ci si accorge che sta benissimo anche fuori e la si pianta in un angoletto, “tanto morirà il prossimo inverno”. Invece no, e la grazia soavissima della Radermachera si trova spesso faccia a faccia con anonimi condomini e orribili villette bifamiliari in cemento armato. Tale è la lieve bellezza dell’albero, che persino gli scempi caseggiati contemporanei ne risultano alleggeriti.

Un albero molto di moda dove gli inverni sono rigidi è l’acero, con le sue sfavillanti colorazioni autunnali.

Acer shirasawanum 'Aureum', tratto da un sito che sicuramente s'incazza se sa che gli ho fregato la foto

Ho sempre avuto un grande affetto per gli aceri, per il loro essere alberi che rimandano ad un immaginario ipernutrito da cliché televisivi di una vita “country”, comoda, ricca di tutte le gioie della famiglia e del relax della campagna, una vita traboccante di sciroppo d’acero e di frittelline dolci, torta di mele e crumble di prugne. Ma l’ormai pedissequo favore collectible riservato a quest’albero me lo rende meno familiare, meno attraente e sempre meno desiderabile. Tanto più che non posso permettermelo, perché qui fa troppo caldo. Come disse la volpe: l’uva è acerba.
He loves pancakes!

Altrettanto amato dell’acero, ma molto meno diffuso e collezionato, è il Liquidambar (altro gioiello prezioso negato a chi vive al caldo).

Gloria d'autunno

Un albero che andrebbe invece cancellato dai giardini è il Prunus serrulata ‘Amanogawa’, che quando è fiorito sembra una sorta di opera concettuale postdadaista. E’ molto diffuso da noi, dove i Prunus non da frutto sono quasi sconosciuti, quindi figuriamoci altrove.

Altolà, chivalà, parola d'ordine!

Un albero di cui diremo senz’altro che il suo proprietario ha un gusto non comune è lo Styrax japonicus, sempre più diffuso ed apprezzato tra chi vuole distinguersi. Trovargli una buona collocazione non è affatto facile, perché è un albero che ama un’ombra umida e un terreno piuttosto acido. Non è molto grande e non vuole vento freddo sul dorso, ma ha una disposizione naturalmente elegante dei rami e un portamento aperto, oltre che una fioritura bianca spettacolare. E’ una creatura da bordo acquatico, o da boschetto umido, insomma, un albero che chiede un certo tipo di ambientazione che 1) uno si ritrova naturalmente a casa sua, per pura combinazione 2) o che per ricostruirla occorrono mezzi e tempo che possiede solo chi ha un largo patrimonio da alienare in beni superflui come il giardino.

Buttatevi per terra e chiedete pietà

8 pensieri riguardo “Per fare un tavolo ci vuole il legno…

  1. si ha l’impressione che quando un oggetto ( in questo caso una pianta) ce l’hanno tutti allora è il momento per abbandonarlo, a prescindere da un suo valore oggettivo.
    Il prossimo sarà l’acero ? e poi, l’ulivo al nord?
    Lidia, conosci già il prossimo oggetto del desiderio collettivo?

    I liquidambar delle mie parti hanno un portamento molto più colonnare e meno maestoso. Quello della foto è bellissimo…

  2. ma un melo un pero un fico un pesco un ciliegio un prugno un prugnolo un azzeruolo un giuggiolo un cako un castagno un nespolo gli farà proprio così schifo a sti gran signori giardinieri?
    ovviamente non una di quelle scemate decorative, ma una pianta vera, seria, utile, ignorante, fuorimoda.
    con tutta la mia raffinata dialettica mi sento di lanciare un sintetico manifesto: “l’estetica? ma che vada accagare!”

  3. Milli, no, non conosco il prossimo oggetto di desiderio collettivo. Tutto quello che è difficile avere diventa passione maniacale, non solo nel giardinaggio.
    Sono pochi i giardinieri che non si fanno influenzare dalle mode e che riescono a trovare bellezza in alberi pur belli, ma ormai deteriorati esteticamente, come lo Schinus, la robinia, l’Ailanthus.
    E poi esistono giardinieri e giardinieri, perlomeno per come vedo io le cose. C’è una sorta di settarismo nel giardinaggio: c’è la setta dei tropicalisti, dei rodofili, dei cottagisti, dei nonnogiardinicoli, dei bonsaioli, dei nippomaniaci, etc. Ogni gruppo matura un suo oggetto del desiderio. E poi c’è da considerare che data la lentezza con cui gli alberi si sviluppano, le mode sono a decorso decisamente più lento rispetto, che ne so, a quelle dell’abbigliamento o della lettura. Prevederle con precisione è difficile.

    Riguardo alla questione degli alberi da frutta. L’estetica vada a cagare, va bene, ma per il mio personale modo di vedere questo aspetto del giardino, credo che il recupero delle antiche varietà di frutti (come anche le antiche varietà da fiore, quelle dimenticate o perdute: esistono ancora i cacciatori di piante, ma non vanno nelle Idie, bensì nei “giardini poveri” dei paeselli) si configuri come l’atteggiamento estetico attualmente più raffinato, proprio perchè rinnega il valore estetico e adotta la funzione pratica.
    La linea generale del mondo dell’arte (della bellezza) contemporaneo è proprio questa: rinnegare l’arte(cioè la funzione estetica a vantaggio di quella pratica, in buona sostanza il recupero dei principi dei ceti non culturalmente dominanti). Così sta (zoppicando) tentando di fare Gilles Clément, ovviamente in contraddizione con la sua attività di produttore di arte.

    Capisco che ciò che dici, Trem, che è un vero e sincero mandare a quel paese mode, stili, idee, e rivalutare pensieri attivi, azioni, eredità. Seppur non volendo, incidentalmente o no, questo è comunque l’atteggiamento estetico più raffinato, del quale la quasi capillare diffusione del Malus ‘Golden Hornet’ è l’esempio più rappresentativo e più commerciale.

    1. ok siamo sostanzialmente d’accordo, però in questa tua frase, mi sa che manca una virgola o un “e” un “ma” un qualcosa insomma, nel senso che non riesco mica a capirla rispetto a quanto dici prima.
      “Seppur non volendo, incidentalmente o no, questo è comunque l’atteggiamento estetico più raffinato, del quale la quasi capillare diffusione del Malus ‘Golden Hornet’ è l’esempio più rappresentativo e più commerciale.”

      In opposizione a quel melo lì, propongo la pera volpina, ha i frutti disposti più o meno a grappolo come il melo suddetto, sono marroncini invece che gialli, meno decorativi ma più buoni cotti con vino e altre spezie, oltre a avere una interessante funzione intestinale e ben risolvere certi problemi di stitichezza specie dei giardinieri che così si potranno felicemente mandare accagare mode e velleità e prunus serrula.

      1. A me la frase sembrava corretta, ma la rispiego in altri termini: oggi in Italia nel giardinaggio le élite culturali non sono più le élite politiche o economiche: c’è chi considera che il praticare giardinaggio debba comprendere dei valori etici. Ovviamente da questo si sviluppa una moda, che i suoi iniziatori vogliano o no.

        Il recupero delle antiche piante da frutta significa non dimenticare che può esistere un modo di produrre differente da quello di oggi, più differenziato e più adattabile alle condizioni pedologiche e climatiche di una determinata zona, oltre che alle necessità alimentari di chi coltivava direttamente le piante. Significa, quindi, non dimenticare che un tempo il fabbisogno alimentare di una famiglia era soddisfatto per lo più in proprio.
        Tuttavia questo, una volta portato all’attenzione pubblica, origina proseliti soprattutto da parte di chi è sensibile alla questione. Proseliti che a volte non sono sufficientemente motivati e sono solo puti atteggiamenti formalistici, una moda, dunque.

        La pera ‘Volpina’, ad esempio, con la sua controparte ‘Volpona’, è finita su Gardenia dello scorso mese. Ancora due paginette, tanto per chiarire che non si rubi troppo spazio ai giardini dei marchesi Guicciardini e alle composizioni con peperoncini e protee.

        Del recupero degli antichi frutti, dunque, la diffusione dei meli da frutto decorativo, come il ‘Golden Hornet’ è l’episodio più rappresentativo.

    1. Sì, esattamente, con buona pace di Giubbini e Anna Porrati.
      Ma questa è la tendenza contemporanea, non è mica sempre stato così, eh!
      COMUNQUE! Per essere precisi, la funzione estetica raccoglie anche valori delle altre funzioni (morale, etica, politica, scientifica, tecnologica, pratica, psicologica, etc.), per cui le altre funzioni entrano di pieno diritto a costituire il valore estetico di qualcosa (qualunque cosa). Dunque non si potrebbe dire “vada a cagare l’estetica” poiché in essa è compreso tutto l’oggetto del nostro giudizio.

      Per contro c’è chi sostiene che non esista nulla privo di una qualche funzione estetica, opinione sulla quale devo ancora ragionare, aiutandomi con Mikarovski e Kant.

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