Ho letto, tempo addietro, da qualche parte su Facebook, che l’orto non ha “grazia”.
Non so dire se questo sia vero o no ma mi ha dato da pensare.
Per stabilirlo bisognerebbe prima definire cos’è la “grazia”. Se ci rifacciamo a Kant e al suo concetto di “grazioso” (una piccola rotondità senza importanza), per molti motivi l’orto non può avere grazia, principalmente perchè è produttivo.
Se invece con “grazia” intendiamo una generica bellezza, un senso di quiete, riposo, pace, serenità, estasi, contemplazione, libertà di pensiero…ecco, forse dovremmo ammettere che l’orto davvero non possiede quella specifica qualità estetica detta “grazia”.
Perchè?
Sarò fatta con lo stampino di latta ma credo che il nostro amico Kant avesse ragione: perchè l’orto -volenti o nolenti-si mangia. E se non si mangia è uno spreco, e lo spreco (al giorno d’oggi)rende brutta qualsiasi cosa.
Ma devo proprio dirlo: i giardini mi hanno annoiata. Soprattutto quelli strabuffanti di rose.
Basta, pietà!
I giardini che ripetono all’infinito questo fiore, trasformandosi in un’orgia di colori e profumi, non possiedono neanche loro grazia, ma solo una gran quantità di vistoso cattivo gusto. E rimaniamo coi piedi per terra e senza usare il termine “pornografia” tanto caro a Umberto Pasti. Non si tratta di un grande muro di vagine, ma semplicemente di scorretta progettazione del giardino.
Le rose, come ogni arbusto prodigo e vistoso, vanno usate con misura.
Nell’orto invece non abbiamo questi problemi. Sceglieremo gli ortaggi in base alla qualità del nostro terreno, e useremo tutte le tecniche e le astuzie che conosciamo per renderle produttive. Un orto ben tenuto, ben curato e molto produttivo sarà sicuramente bello, ma forse non grazioso. Non dovremo impazzire a rincorrere trame di luce, giochi di colori, effetti d’insieme, artifici scenici. Quello che ci occorre è l’acqua, il letame e un buon sarchiello. In effetti è più rilassante non doversi sdilinquire il cervello su risultati formali. Meno interessante, magari. Però gratificante.
Allora lasciatemi dire che a quelle feste di rose su rose preferisco un orto senza grazia. Tanto, ad essere sinceri, non ce l’hanno neanche quei giardini traboccanti di trine e merletti, gonfi di festoni colorati e imbalsamati, ripetitivi, in cui il profumo diventa una puzza di silicone, i colori una violenza schiaffata negli occhi. Giardini tanto vantati dai proprietari e tanto celebrati dalle riviste (un po’ di meno, a dire il vero, fanno meno tendenza, per fortuna, a scapito degli horti deliciarum di vip, vippesse e nobiloni assortiti).
L’orto vuole un uomo morto, si dice da noi. Perchè il lavoro è duro ogni giorno, e non si può mai abbandonare, pena triplicare il tempo di lavoro per recuperare.
Eppure più che un giardino segreto vorrei un orticello, e magari non tanto “ello”. Un bell’orto grande, con la vite sui muri, le vasche per l’acqua piovana, tanti ortaggi diversi, alberi da frutta in varietà e i filari di fiori da taglio: rose, dalie, gladioli, gigli. E qualche stranezza agli angoli, come il rabarbaro per le torte. Mai mangiata una torta al rabarbaro. E dimenticavo: i piccoli frutti, lamponi, mirtilli, non possono mancare non tanto per la loro bontà, ma per i loro colori insoliti, che in un pie o in un crumble danno un tocco da conoscitore.
Ieri ho ammazzato una pianta di pomodori che tentava di scappare. Non ho rimorsi.
Basta fate un “Orto dei Colori” e ottieni produzione, grazia e tanta tanta fatica.
I giochi di luce e di colori li gusti senz’altro perchè in orto si va al mattino presto o al pomeriggio tardo ed è proprio in quelle ore lì che il sole gioca con i riflessi delle taccole o sulle rotondità dei pomodori, per non parlare delle cavolaie che leggiadre si posano sui broccoli o le dorifore juventine che punteggiano le piante di patate sormontate dai loro bellissimi fiori a stella viola.
Per non parlare della grandissima gioia del pasteggio luculliano che fanno le zanzare tigre sull’ortolano che chino sul suo panchetto pilucca le malerbe per dar vigore alle verdure agognate.
Dalla parte delle malerbe…. e qualche volta me le mangio anche
Determinate malerbe le ho pure seminate! Son malato, vero?
malato? fatti guardare, tira fuori la lingua, fai vedere gli occhi…uhmmmmm hai un colorito verdino…
Per esperienza so che un giardino di rose in piena fioritura è totalmente privo di grazia. L’orto di casa nostra penso ti piacerebbe: rigoglioso e ribelle, con i piccoli frutti e il carciofo prepotente, il melograno, le bordurine di nasturzi e tageti. Disordinato, perché pieno di erbacce che nessuno estirpa mai.
Ma l’orto mi infastidisce. E’ la propaggine del frigo (per questo le verdure sono a chilometro zero) en plein air .
L’orto è ingabbiato più che protetto; è l’espressione proterva dell’istinto di domare, produrre, consumare; è maschilista, perché non si sa come ma ogni anno puntuale ti rinchiude a lavare, tagliare, cucinare, mettere in conserva, affogare lumachine grosse come spilli e forbicine riottose, anziché stare a spiluzzicare pisellini e lamponi telefonando a un’amica e chiacchierando a vuoto.
L’orto sta alla natura come l’automobile con cui attraversi boschi e valli scoprendo paesaggi che altrimenti non vedresti mai.
L’orto ti fa credere autarchico e non è vero niente.
Mi lasci sempre di stucco. E sei troppo intelligente per me, e a volte non ti capisco. Non che voglia difendere l’orto a tutti i costi: è più difficile di un giardino e più gestuale che poetico (absit iniuria verbis, ad alcuni piace così e il mondo è meno brutto perchè è vario), però perchè non è vero che ti fa sentire autarchico? C’è gente che risparmia moltissimo con l’orto, e che vende anche agli amici, facendoci pure un piccolo guadagno. Insomma, l’orto è sempre esistito, da quando l’uomo è diventato stanziale (e in questo caso non ricordo chi disse che l’orto nasce prima del giardino, comunque, un tipo famoso, Jakob, Zangheri, uno di questi qui). Il valore storico è innegabile. E anche la gratificazione.
La grazia magari è opinabile, per quanto, come ho detto, al giardino romantico preferisca un orto spettinato.
be’, però io preferirei fare la maglia, cucinare torte e salsa di mele, affettare zucchine per farle sottaceto piuttosto che stare al cellulare a parlare con un’amica. L’amica la invito per il tè, se è vicina, se è lontana la invito a passare l’estate con me.
Il retaggio storico in sé non è un valore; ma non mi sento così pervicacemente “contro” l’orto. L’orto è un piacere, talvolta una necessità, comunque un bel gioco. E ti fa sentire autarchico, certo, seguace nel Nuovo Millennio di Seymour e Fukuoka. Anche quando ti costa un occhio della testa, fra piantini, semini d’antan acquistati a caro prezzo, concimi e trattamenti e vecchi innaffiatoi bucati che però hanno charme. Ma l’autarchia è altro. L’orto vuole tempo e lavoro, e il tempo non ce l’abbiamo più. E se non sei padrone del tuo tempo, non sei autarchico.
L’orto non ti insegna l’empatia con la natura, ti insegna a governarla, a sfruttarla a tuo piacere (più che per la sopravvivenza, ormai). Sfrutti il terreno, le piante di zucchine, lo sciame d’api che passava sul tuo fico, le due galline comprate al mercato, e poi, equanime, il negro che ti viene a tagliare il prato due volte all’anno, per arrotondare. Mica tutti, ovvio. Ma insita nell’orto c’è un’escalation di potere che mi inquieta. E’ -ora, non so nei secoli dei secoli- solo una nuova forma di consumismo.
Però detta così mi suona come la trombonata dell’ecologista assatanato. Forse è solo che le verdure non mi piacciono. E non mi piace cucinare, non mi importa cosa mangio, potrei vivere benissimo con una consegna a domicilio di hamburger Mcdonald, da mangiare freddi, in piedi, in compagnia delle mie chiassosissime e sgraziate rose che pollonano dove diavolo pare a loro e sono francamente immangiabili.
Siamo dannatamente borghesi. Non c’è niente da fare. L’orto non è giudicabile dal borghese. I vostri giudizi, nonostante l’impegno cadono sempre nell’aspetto estetico, come nell’ultimo capoverso dell’articolo. Per fare l’orto, bisogna farlo giusto. Fai la cosa giusta, diceva mio suocero. Il resto non esiste. Siamo noi borghesi kitschmensch che facciamo il bello per il bello, ma non riusciamo ne a capire da dove viene il bello, tanto meno a crearne di nuovo. Le nostre aiuole di rose sono copie di copie di copie. Preoccupati di fare bene il lavoro. Se sei contadino avrai un bell’orto, se sei un artista avrai un bel giardino.
Ciao Lidia,
riguardo agli orti ti volevo segnalare l’ultimo numero di Lotus http://www.editorialelotus.it/web/item.php?id=190 a mio parere molto interessante. Prova a vedere.
Alessandro (http://alessandrogabbianelli.blogspot.it/)
Accidenti, sembra interessante. Ma costerà un occhio. Tu sei abbonato in quanto architetto del paesaggio?
In effetti non è proprio economica come rivista, costa 27 euro, però puoi acquistare la versione in pdf e si risparmia un po’. Io non sono abbonato, ma acquisto sempre la versione cartacea in libreria, fortunatamente si tratta solo di 4 numeri all’anno.
L’orto non c’entra nulla con l’amore per la natura. E’ come dire che il pollaio è compatibile con l’amore per le galline. E’ la stessa roba: nel primo tagli l’insalata che hai tanto amorevolmente cresciuta, nel secondo tiri il collo alla tua gallina preferita. Pio pio pio
Questo non vuol dire che non si debba avere l’orto e magari anche il pollaio (magari solo per le uova). Il maiale, no, vi prego….
Se abitassi in campagna, con un bel pezzetto di terra, probabilmente me lo farei, piccolino magari, avrei senz’altro il frutteto, ma soprattutto avrei un bel giardino con grandi alberi, dove i miei figli avrebbero potuto arrampicarsi e cespugli dove avrebbero potuto nascondersi. Come ho passato la mia infanzia io. Le rose sì. Quanto mi piacevano da bambina! Mi piacevano i fiori, non li coltivavo, li guardavo, li annusavo e basta. Mi piacevano soprattutto l’erba dei campi e le violette nei fossi.
Odio i giardini ordinati, quelli perfettini, con il loro pratino rasato, la bordurina, i cespugli tutti ben potati. Amo il casino e il disordine, le foglie non raccolte, le piante bizzarre, le erbacce… l’ombra.
Qualcuno mi esorta a mettere qualche verdurina nel mio giardinetto di città, perchè fa così fico. Li mando a… quel paese sguaiatamente. Gli orti di città! Km O dicono. Si certo, più O di così si muore. Insalatina targata Esso, broccoletto varietà Shell (esiste ancora?), pisello affumicato al gasolio. E poi i grandi guerriglieri del verde vanno a insegnare ai bambini come si dissoda un bel prato di papaveri e di malve, uno di quei rari naturali in città (riserva indiana), per piantarci le patate e i fagioli per poi raccogliere e mangiare sano. Ossessione per il cibo. Paura della natura. Moda modaiola. Secondo loro così da piccoli imparano l’amore per il verde.
Ho intervistato tutta una serie di personaggi che vivono con le piante e per le piante (nessun mistico o esaltato, per carità) e sapete quando e dove è nata questa attrazione per i vegetali? Quasi a tutti è nata quando erano piccoli, mentre oziavano in giardino, anche pubblico.
Non so, non mi avete convinta. Volevo un chiarimento e mi state confondendo. Il valore storico non è un valore in sè? Abbattiamo il Duomo di Milano, brutto come…come…come non so neanche io dire cosa. la Torre di Pisa? un tubo stortignaccolo in mezzo al nulla.
Una litografia di Warhol, ma sì, bruciamola.
A parte questa contestazione però non ci ho veramente capito una cippa. da noi l’orto si fa, eccome che si fa. Non ce l’hanno solo i borghesucci del centro, o quelli che come me vivono nei quartieri residenziali dove le famiglie litigano dalla mattina alla sera, i bambini sono i più cafoni del globo terracqueo e le signore ti fermano per rimproverarti che le rose escono fuori dal perimetro della recinzione.
cacchio, ma dentro le stradelle ci sono palazzoni con dietro orti di duemila metri quadri, piantati a pomodori, melanzane e basilico. hanno i pozzi, le plantule evidentemente le comprano all’ingrosso, e hanno un sacco di tempo per zappare. la mattina escono con le ruspe a fare i lavori, e poi al pomeriggio zappano.
così è la vita dell’orto, qua. Mica nessuno conosce gli habanero.
Lidia, l’hai spiegato tu il concetto: quelli coltivano il loro orticello di duemila metri quadri e poi vanno fuori con le ruspe.
Non nego il valore dell’orto, ma scherziamo! Che famo? Annamo in giro a cavare raperonzoli e a far cicoria e bruscandoli? Ma l’orto è un’altra cosa. Come il pollaio.
Una volta mi arrivava a casa “Vita in campagna” della Edagricole. Era tutta sull’orto e il frutteto e poi c’era una parte dedicata all’allevamento degli animali. Ricordo che in un numero c’era tutta la descrizione di come ammazzare un coniglio in cinque o sei modi diversi. Avrei dovuto scandalizzarmi? Non mangio forse la carne io? Il coniglio e l’agnello no, mi fanno pena…. in verità non mi piacciono. Ma dire che l’orto è una manifestazione (quasi ideologica) educativa dell’amore per la natura non direi proprio. Non lo è neanche il giardino, per lo meno certi giardini. Anche quella è una forma di schiavitù perpetuata ai danni di forme viventi, costrette a vivere in tempi, forme e associazioni che mai avrebbero scelto. Però nel giardino, in certi giardini, hai la possibilità di una comunicazione tra noi e loro, come ce l’hai con il tuo cane o il tuo gatto o qualche fortunata gallina. O come con l’Oco/oca di Jude. Nell’orto che fai? vai a sdraiarti per terra a “revare”? Vai a vedere quanto è bella l’insalata? E’ il paradiso perduto? Lo è senz’altro per un morto di fame. Penso che appartengano a due categorie diverse, l’orto e il giardino. Uno è utile e cristiano, l’altro è pagano. La panza piena e il sogno. Non è certo il sogno il giardinetto arredato come fosse il tinello di casa da mostrare agli altri come stato symbol. E’ un’altra cosa.
Sai come dovrebbe essere l’orto felice da far fare ai bambini? Quello in cui vivono tutte le tue belle verdurine: le semini, le nutri, le annaffi, le fai crescere e poi le lasci fiorire e poi ancora morire di morte naturale. Capirebbero che non appaiono improvvisamente al supermercato in vaschette di plastica e le mangerebbero con rispetto. Forse.
L’uomo che concepisce solo l’orto ha una visione utilitaristica della terra e non si sconvolge se proprio su quella arriva la ruspa e sopra ci fa un bel palazzone. Quello allevato in un giardino sarebbe disperato se sulla sua infanzia e sui suoi sogni ci facessero su un bel centro commerciale.
Ovviamente tutto questo mio blaterare è diretto alla ormai non nuova moda dell’orto a tutti i costi. Nei balconcini, nei giardinetti pubblici, magari dentro le bottiglie di plastica, i vasi di vetro della marmellata, i barattoli della conserva di pomodoro da 5 Kl (e chi se magna più tutta quella pasta?), nelle aiuole sparti traffico della città (ha ha ha), sui cigli delle strade… che mondo fantastico! Altra fola tremenda e modaiola è il riciclo, confondendo quello naturale che c’era in campagna una volta, con l’uso di oggetti spesso comperati nuovi apposta. Che senso ha riciclare una bottiglia di plastica per impiccarvi una pianta di insalata? Che non la sbatti via comunque dopo 6 mesi? La gente non ha più il senso del lusso, confondendo il lusso con il denaro.
Orti in città e giardini pubblici cementificati con pochissimi alberi accuratamente scapitozzati.
Entro di soppiatto solo per dire: un giardino di rose non ha grazia, per forza. Ad un giardino di rose non si chiede di avere grazia.
Alla Rosa, eventualmente, sì.
Ad un giardino di aquilegie, di felci, o di digitali, si può chiedere di avere grazia (levità, delicatezza, fragilità…)
Ma ad un giardino di rose, no! Lì tutte insieme, pigiate, debordanti, oscenamente gonfie di petali, olezzanti come un boudoir ottocentesco, si chiede loro di essere sordide ed ammalianti meretrici.
I mughetti sono buoni per May, ma alla Olenska vanno le rose.
“alcune… facevano venire un voglia pazza di morderle e d’ingoiarle…”
E il cavolo allora? Lo lasciamo a quell’invertebrato di Newland?
Chi è l’invertebrato di Newland…scusate l’ignorans…
Ma io non voglio mica dire che se uno coltiva l’orto ha più amore per la natura e se fa il giardino (di rose o senza rose)invece no!
A dire il vero temo che nè orto nè giardino abbiano davvero molto a che fare con la natura naturans, con la natura non plasmata dall’uomo, la natura primaria, quella che ci illudiamo siano i boschi piantati dalla Forestale, o i residui di campagna.
Orto e giardino hanno a che fare con la nostra idea di natura con il noumeno il pensiero pensato della natura.
Insomma, in parole terra terra, non è che uno dice: mi piace il pollaio e poi gli tira il collo alle galline. Dovrebbe dire: mi piace la carne di pollo e perciò ho il pollaio.
E’ vero che l’orto è una mania, ma dimmi oggi cosa non lo è. Non che sia una giustificazione, ma laddove l’offerta commerciale si infila nelle pieghe di ogni possibile richiesta, tutto diventa maniacale, virale, commerciale, modaiolo. la decrescita felice, l’andar per boschi. Persino andare a vivere come gli amish, senza tv, acqua calda e cacando in una buca della terra.
Ci hanno fatto pure un film mille anni fa, Mosquito Coast.
allora, cosa non è di moda, vi chiedo.
Infatti, ma cos’è sta storia dell’orto come moda. Un corno!, è un giudizio borghese da chi l’orto lo guarda da fuori. L’orto va fatto vissuto da dentro per capirlo. Per capire che la grazia non è una qualità richiesta da appiccicare sopra. Non è valutabile in questi termini e se lo fai sei fuori strada. Ma quale ‘cristiano’, l’orto esiste da quando siamo stanziali come primo rapporto tra noi e la natura. E’ il progenitore del giardino, che in termini di pensiero ne è l’evoluzione.
L’orto e la ruspa sono assimilabili in Veneto. Il contadino veneto ha perlopiù il senso degli affari, più che della terra. La gestione della terra in Veneto è stata portata dai Veneziani, che però erano dei mercanti, fondamentalmente degli affaristi. Queste origini fanno del contadino veneto un ‘uomo d’affari’ col culto del mediatore, che non pensa un’attimo per trasformare l’orto in palazzo, passando prima per la casa dei propri figli. L’orto resiste e non è borghese. Ci facciamo la roba e ce la magnamo, come buona pratica di vita più pagana che cristiana.
Bah, come al solito i vostri discorsi sono troppo profondi per uno come me che semina le coste colorate perchè gli piacciono i colori, ne raccoglie due o tre volte e lascia andare a seme le piante per godere del cespuglione arruffato e profumato che ne viene fuori.
Si, la mia passione per l’orto è nata da bambino, quando aiutavo mia nonna con i suoi pomodori che lei coltivava rigorosamente per la vendita.
Per me l’orto non è fonte primaria di alimentazione, ma il piacere di raccogliere una manciata di zucchini verdi e una di gialli (si, metto anche quelli gialli perchè amo i colori), salire in casa e prepararli per cena è un lusso e un sapore a cui rinuncerei solo se mi fosse tolta la libertà personale.
Il profumo di una lattuga appena colta a cui togli tutte le lumachine che se la stanno mangiando ha un profumo che la plasticosa lattuga del supermercato non avrebbe nemmeno se la profumassero artificialmente.
Devo dire che i finti pseudo-orti da rivista patinata li trovo comunque patetici.
Già grazie, ma tu sai cucinare!
Io trovo che la grazia può essere o non essere in qualsiasi posto. Delle volte vicino al bidone della spazzatura qua sotto nascono 2 o 3 spontanee che si mischiano tra loro e con i residui di spazzatura con molta grazia.
Non credo poi che se a uno piacciono le piante e gli piaccia circondarsene voglia dire che “le ama”, allora si potrebbe dire che un pedofilo “ama” i bambini, uno stupratore le donne ecc ecc
Io le mie piante non le amo, speriamo che non se ne accorgano mai !
Qua entriamo in una visione un po’ più personale e misticheggiante della natura, del bello in genere. La bellezza che descrivi tu non trovo sia “grazia” (la “grazia” la stai applicando tu, motu tuo)se, come io credo, si possono applicare ai concetti di bello e bellezza le norme che applichiamo al ragionamento. Trovo piuttosto che in questo caso si debba più propriamente usare la parole “stupore”. Le piante nate vicino al cassonetto producono non grazia, ma stupore. Lo stupore, quello sì, è un concetto religioso, cristiano, ma io ritengo che entri a pieno titolo -privato del suo aspetto religioso- nel pantheon degli elemeneti che compongono la bellezza.
Per ora ne ho identificati due: lo stupor e il sentirsi a casa.
Ale, non ho mai detto che l’orto sia borghese. La pratica dell’orto in città nei giardinetti e sui balconi è spesso dettata dalla moda ed è una pratica che io detesto. Io, ma siccome io sono io, lo sostengo, non potrei fare diversamente. Ho anche detto che se abitassi in campagna, molto probabilmente me lo farei. Certo che prima nasce l’orto e poi il giardino, ma sarà vero? Se il giardino fosse nato per un bisogno spirituale, potrebbe essere nato prima lui e poi magari le donne, rotte di far la raccolta, si inventano anche l’orto, sapendolo già fare attraverso la pratica del giardinaggio. Mica lo so. Alcinoo aveva un orto – frutteto – giardino. I Greci avevano un luogo “creato” dove passeggiare ragionando. I Romani crearono dei giardini megalattici e una passione stravagante per i fiori. La frutta era in giardino e anche le erbe profumate. E l’orto? L’orto era un servizio molto importante, più importante del bagno che non avevano in casa, ma in piazza… i primi orti romani erano coltivati sotto casa dalle donne, gli uomini andavano fuori l’abitato, nelle parcelle assegnate loro dal “comune”, a coltivare il grano e l’orzo.
La storia che avvalla la mia teoria sul Cristianesimo ammazza giardini è proprio storia: quella degli anni bui dell’ultimo impero, quando tutti quei luoghi furono cancellati, i grandi alberi segati, i fiori strappati, perchè in loro era rimasta l’anima degli dei pagani. Furono proprio i monaci invece a conservare nei loro orti chiusi certe piante ornamentali con la scusa che contenevano certi principi utili per curarsi. Così si sono conservate certe varietà arcaiche di rose. La natura da bella e benefica era diventata malefica e ostile. Bisogna scavalcare l’anno mille e di un pochetto, per ritrovare i giardini e poter manifestare una certa empatia per le piante senza essere bruciate nelle piazze. Ma non sto qui a rifarvi la storia dei giardini… comunque quella paura e quella indifferenza là è rimasta e si è anche insediata nel nostro DNA. Ora non credo che a tutti gli amanti dei giardini sia rimasto uno straccio di quell’empatia antica e quelli dell’orto no, anche perchè i giardini sono stati simbolo di troppe altre cose. Ma se il giardino, per te è rimasto quel luogo sacro dove coltivare le tue piante preferite, non importa in quale stile o forma, non importa se brutto o bello, ma luogo dove andare a consolarti, a pregare laicamente, a fantasticare, a rigenerarti, allora sì, dentro ti è ancora rimasta uno straccetto di quell’arcaica empatia. Il giardino è come una chiesa. Per questo mi danno così fastidio le riviste di giardinaggio che ti insegnano gli schemini, le combinazioni e le tendenze. La moda.
L’orto no, è una dispensa, anche molto bella a volte, ma dove tutto ha un fine, uno scopo, un utile, anche il fiore, che è da taglio. Ma Nik mi insegna il contrario.
Dopo ciò, niente di male coltivare l’orto, ma non confondiamolo con il giardino, è una storia completamente diversa.
E i contadini? I contadini, non solo i veneti, considerano da sempre la terra, gli animali e le piante”robba”. Proprietà, come un qualsiasi altro oggetto. Non tutti, certo.
Dici che sto peggiorando?
Più di così? direi che è difficile. arhr ahr arhr(sghignazzata)
Lucil, tu che sei un’amatrice di Clément, a differenza di me che nun o’ support chiù, è in libreria “Breve storia del giardino”. E il caro Gilles (sai, gli do del tu, soprattutto quando siamo soli soletti…)lo schiaffa pure sulla quarta di copertina che è nato prima l’orto della gallina, no, dell’uovo, cioè del pollaio, del Pollaiolo, del pollastrello, del polpastrello, del pipistrello, del menestrello, del…cervello?quale cervello? Comunque ammazzate quanto costa ‘sto libretto, 14 euro e mezzo, ‘tacci loro!
No, amore mio, sei sempre meraviglioso!
Il libro lo già lessi. So qual’è la sua tioria. Per isso il garden è la terra. Bello è il pezzo degli aborigeni. In quel libro c’è un zacco de robetta preziosa e poi io godo come ‘na bestia quando uno mi parla malissimo degli architetti che si vogliono sostituire ai giardinieri.
E’ proprio necessario catalogare tutto? Grazioso, utile, selvaggio, curato, di moda, kitsch, raffinato, incolto, ecc.
Non è meglio lasciarsi trascinare dall’emozione?
Ricordo anni fa (la TV era ancora in bianco e nero) un intervista ad un pittore sempliciotto che nei suoi quadri ci metteva l’anima e la visione delle sue opere dava forti emozioni. C’erano fior fiore di esperti di pittura e critici d’arte che pontificavano sulle sue opere e lui guardandoli con stupita compassione diceva loro: “boh, a me piace e non ci ho proprio messo dentro tutti quei significati che gli date voi!”.
Ricordo anche un articolo di un militare che lontano da casa in una delle missioni di “pace” o di guerra, fuori dalla tenda aveva fatto un giardinetto in una cassetta di munizioni. Cosa c’è di più grazioso?
Nicola, scusa se ti rispondo con toni da maestrina, ma solo perché mi dai occasione di mettere in campo un argomento che mi interessa. Per la verità non credo che si tratti di catalogare l’orto o il giardino e di schiaffargli significati e interpretazioni che può benissimo non avere o che non cambiano la sostanza di ciò che è per ciascuno di noi. Ma esiste una scienza -un po’ di nicchia, molto negletta- che si chiama etnobotanica e sta a metà fra l’antropologia e lo studio delle piante. Si occupa in pratica di capire quale percezione ha l’uomo delle piante e come la sua cultura influenzi questa percezione e i suoi comportamenti. Di solito si occupa di argomenti -come dire, un po’ folcloristici?- come il rapporto fra uomo ed erbe officinali (ovvio, pensa appunto a che fine facevano le streghe solo perché conoscevano le erbe, o ai monaci e ai loro orticelli mistici…), ma io credo che sarebbe molto interessante utilizzarla per capire il rapporto contemporaneo fra uomo e giardino, orto, paesaggio. Spazzando un po’ il campo da quella fuorviante idea di “grazia” che rimanda tutto a un’analisi estetica, accomuna il giardino o loro che sia all’arte. Che sono cose che non c’entrano niente, anche se invece è uno dei chiodi di Lidia. Sto leggendo un bel saggio di un tal Cooper, Una filosofia del giardino, che non è chissà che ma ha l’indubbio merito di ipotizzare una filosofia del giardino che non lo accomuna né all’arte né alla natura. E dunque gli dà una dignità a se stante. Da questo punto di vista, giardino ed orto forse sono più vicini, anche se forse rispondono a comportamenti opposti.
Alla fine, non si tratta di capire il giardino (l’orto), ma chi lo fa.
Non è uno dei miei chiodi. Disgraziatamente non ci sono chiodi culturali nel mio cervello adesso, altrimenti sarei più produttiva.
E’ una questione di impostazione diversa. A me non interessa un fischio di sapere chi è chi non è che fa il giardino o l’orto, o la pesca d’altura, o il birdwatching, se non come classe economica, sociale, culturale.
Dell’individuo me ne sbatto le palle.
Io parto dal lato opposto: conoscendo il giardino, arrivo a capire chi è che lo fa. E’ molto più semplice, preciso, diretto, essenziale, meno fuorviante e meno insidioso.
In genere io e Jude ci incontriamo a metà strada.
Me pare un concerto di musica contemporanea, dove ogni strumento va per conto suo e apparentemente non divide l’armonia con l’altro. Va bene così: il concerto viene fuori comunque
ma cosa, la discussione, l’orto o entrambi?
La discussione
No, non credo. E’ un argomento difficile, non ancora chiaro a teste ben più colte e sagge di noi, quindi figurarsi se non facciamo dispersione.
Basta però fare un po’ di somme: io che ho un’impostazione illuministico-settecentesca dico no, l’orto non ha grazia.
Nik, impostazione romantica ottocentesca, dice sì, l’orto ha grazia e più è buono.
Jude non considera importante che l’orto abbia grazia o meno, ma cercare di capire che utilità può avere l’orto in famiglia e nella società moderna, e di che comportamenti rivela dell’uomo e della sua “umanità” (non come pietas, ma come caratteristica dell’uomo). E questa è la cosa più difficile.
Tu invece neghi tout court grazia all’orto e anche utilità nella maggior parte dei casi, e -magari è una mia impressione- anche del senso di etica.
Koki invece rivolta come una zolla tutto ciò e risponde che la grazia non c’entra niente e che l’orto è utile e quello basta e avanza anche un bel po’.
Infine Maurizio dice che la grazia non è una caratteristica precipua dei giardini, ma dei fiori.
A me non sembra tanto stonato: ognuno ha la sua idea, ci divertiamo a esporla perchè siamo dei logorroici rompipalle.