Non so più recuperare il filo che mi ha condotto a questo pensiero ma ricordo che mi ci ha portata un senso di sconforto, di pesantezza, di noia, di ottundimento.
Il giardino deve essere così e cosà, deve essere etico, ecologico, bio, sociale, futuristico, intanto però non devono mancare glamour, fashion, style, home and outdoor. In più deve essere bello. Sì, semplicemente bello.
E’ come chiedere ad una donna di andare a lavorare, fare le pulizie, badare i figli, impegnarsi in politica e nel sociale, essere magra e avere le tette, truccarsi, fare palestra, avere la pressione il colesterolo a posto pur facendo cake design a tutto spiano e cucinando in continuazione finger food e cupcake neo-hipster style.
Be’ ma cosa diavolo è preso a tutti? Che razza di cecità dilaga in giro? Perchè questa mania del giardino e di come deve essere?
Ho sempre considerato il giardino una specie di indicatore sociale, un po’ come le coccinelle. Un marker, insomma, come quando ti fanno le analisi del sangue.
L’attenzione, a dire il vero un po’ fatua, che viene dedicata al giardino in questo ultimissimo periodo (un annetto o giù di lì), è un sintomo di un cambiamento di idee nei confronti dell’ambiente e delle sue manifestazioni materiali. E ci tengo a precisare che ho scritto “cambiamento”, non un “miglioramento”, perchè non credo lo sia.
Del cambiamento in atto tutti siamo consapevoli: la dimuzione del reddito e dei beni a cui potevamo attingere liberamente dalla natura. Ciò non ha comportato affatto una maggiore resposabilità nel trattare l’ambiente, anzi, ha generato una corsa sfrenata all’accaparramento delle ultime risorse. Solo i pochi che erano “civilizzati” già negli anni ’80 lo sono rimasti o hanno rafforzato le loro idee e le loro azioni a favore dell’ambiente, isolate o organizzate.
La cultura non è esente da questo processo di accaparramento di beni, in questo caso i consumatori che per un motivo o per l’altro, coscientemente o meno, approdano alla vita “eco”.
Tralasciando l’orto in terrazza e analoghe mode, c’è stata un’esplosione della cultura “verde” e dei giardini.
Ma attenzione: oggi il giardino non si fa più per un senso di godimento quanto per assolversi dal peccato industriale, con tutto quello che ne deriva, il più delle volte mediocri risultati frutto di incompetenza, raffazzonaggine, consumismo inconsapevole, o per contro manie di grandezza, pretenziosità, consumo vistoso.
Il giardino domestico, familiare, soprattutto se è di nuovo impianto, ha sempre queste caratteristiche. L’ampliarsi del bacino di utenza di chi è interessato al giardino non ha portato un innalzamento di livello delle competenze, anzi, l’esatto contrario. E qui troviamo un periodo che è la discriminante, cioè la fine degli anni ’90 e l’inizio del primo decennio del 2000, in cui il livello qualitativo dei giardini ha visto un buon incremento anche in Italia, seguito da un’ampliamento delle disponibilità di piante e beni ad esse correlati, quindi un appiattimento dell’estetica borghese.
Il giardino della borghesia ricca o finto-nobile ha invece altri scopi. Ricordo con precisione di avere letto su Gardenia del restauro di una bellissima villa in Liguria, che è stata poi adibita ad albergo esclusivo. Tra gli investitori c’era il direttore di Striscia la Notizia, quindi immagino che il target fosse composto da personaggi dell’establishment televisivo dotati di un portafoglio ben gonfio.
Il giardino assolve in questo caso ad un’altra funzione, quella di produrre reddito. Reddito molto materiale, immediato: dai-prendo. La villa in questione, di cui non ricordo il nome, è diventata fonte di reddito immediato nell’arco di pochi anni.
Non parliamo quindi della redditività che sappiamo benissimo si genera in tempi lunghi, a volte lunghissimi da un’operazione culturale. Partire con un restauro di un antico giardino nel 2013, terminarlo nel 2023, quando sarà visitato da un bambino che diventerà un grande architetto di giardini, portando lustro al suo paese per decenni a venire e influenzando a sua volta generazioni di giardinieri.
Non questo genere di redditività, dunque.
Al giardino si chiede di essere ecologico, etico, storicizzato, moderno, produttivo, low-cost, recuperato, giovane, iper-tecnologico, curativo, redditizio, ricco di glamour e almeno un pochettino famoso o pubblicizzato.
Va da sè che alcune di queste cose sono incompatibili tra loro, il risultato delle aspirazioni di inserirle tutte nel progetto di un giardino non potrà che essere deludente.
Non ci sono un modo e un come e neanche un cosa riguardo ai giardini. I giardini, in quanto espressione artistica, sono frutto di una società o di una porzione di essa. Ma quello che si tende a dimenticare è che i giardini sono frutto di un giardiniere, di un artista.
Lo scopo di un artista non è avere piante belle, sane e ben curate, e neanche quello di avere un insieme armonico e affascinante (tantissimi giardini “di livello” che conosco si fermano disgraziatamente a questo secondo stadio, quello artigianale, del “lavoro fatto bene”), ma quello di universalizzare.
E questo vale per qualsiasi forma d’arte. Quelle più belle e che consideriamo “classiche” o “immortali”, hanno questo immenso potere di suggerire, hanno un lato nascosto, che è visibile solo a chi osserva (ecco perchè l’opera d’arte è letteralmente costruita dal pubblico e anche perchè noi capiamo poco l’arte moderna, perchè è poco storicizzata).
Ciò che suggerisce varia di volta in volta, a seconda di chi osserva (e di chi esprime il proprio giudizio di osservatore: non giudicare è ciò che di peggio può accadere ad un’opera d’arte), del come del quando e del perchè. Più cose suggerisce, più l’opera d’arte sarà apprezzata e per un tempo maggiore. Perchè sarà il pubblico, nel tempo, a rimpire “il suggerimento”, con questioni sue personali o legate alla società.
Questo è universalizzare: far riconoscere l’osservatore nell’opera d’arte, farlo sentire in possesso della sua anima, nella casa che non sapeva di avere. Quando hai fatto questo, sei davvero un artista.
Da un punto di vista estetico è per questo che rigetto la brodura all’inglese, tanto perfetta, piena straripante e ipertrofica, da non lasciare posto a nessun “suggerimento”. Poi esistono altre motivazioni sociali ed economiche.
E sempre per tal motivo non mi piacciono le vecchie illustrazioni fatte con l’aerografo, o l’iper-realismo ad acrilico.
Non suggeriscono nulla, non “parlano”. E’ tutto lì, basta guardare e dire “ooooh”, dopodiché, chiuso.
Jan Mukarovsky la chiamava “inintenzionalità” dell’arte. E’ una componente che neanche l’artista sa di mettervi dentro (forse perchè è un artista?).
A me piace dire “la mia tovaglia è la tua tovaglia”. E’ una frase di On writing di Stephen King.
King in questo caso raccomandava agli aspiranti scrittori di non caricare troppo di dettagli. Nella scena del pic-nic, non descrivete la tovaglia se non è importante ai fini della storia, e anche in quel caso descrivete solo gli elementi sensibili, il resto lo deve mettere il lettore. Io devo suggerire l’idea di tovaglia, ma sarà il lettore a comporre in testa la sua tovaglia. In pratica, suggerendo l’idea di tovaglia, ho universalizzato il concetto di tovaglia, rendendolo plastico, adattabile a qualsiasi tovaglia che sta nella testa di qualunque abitante che usi tovaglie nel mondo intero.
Quanti giardini sanno far questo? Quanti giardini hanno la capacità di sussurrare pensieri mai pensati? Quanti giardini invece si mostrano tronfi e volgari nella loro riuscita? Anche giardini zen, minimali, o di indole geometrica, apparentemente solidi, “strutturati”, mancano completamente della voce? E non illudiamoci che la voce la possano mettere gli uccelli, il vento tra le fronde, o lo scroscio dell’acqua. Semmai sarebbe coprire un pesante silenzio.
Penso che stiamo chiedendo troppo all’arte, che ci appelliamo all’arte quale extrema ratio in questi tempi difficili: l’arte non dà risposte su come investire i bond, dà risposte su noi stessi, sulla nostra natura di esseri umani (se uno le sa trovare).
Al giardino, essendo fatto di terra e piante, di porzioni di paesaggio, si chiede ancor di più per evidenti motivi.
Non c’è comunicato che abbia pubblicato in questi ultimi tempi che non scriva da qualche parte “ecosostenibile” o qualcosa di analogo.
Iniziamo a trovare la Bellezza, il resto verrà.
L’essentíal est ínvísíble pour les yeuse
Antoine de Saint-Exupéry
Ti sono grata per questo articolo, è stato un piacere leggerlo. La tua frase: “quanti giardini hanno la capacità di sussurrare pensieri mai pensati?” fa veramente tanto pensare!
Bello, bello, bello!
Sai che non sono un granchè nell’argomentare, ma devo dire che questo articolo esprime in pieno il mio pensiero.
Sono proprio nauseato da chi intende il giardino come tu dici:
“frutto di incompetenza, raffazzonaggine, consumismo inconsapevole, o per contro manie di grandezza, pretenziosità, consumo vistoso”
Un giardino prima ancora di avere piante o architetture preziose o meno, deve parlare al cuore e se non parla il risultato è un giardino usa e getta inutile come come un fazzolettino usato.
da una parte mi fa piacere che finalmente il fare giardino stia diventando una moda, forse piano piano ci avvicineremo al modello inglese dove il gardening è sport nazionale, anche se la vedo dura surclassare il calcio, dall’altra mi fa tanta rabbia che chi si avvicina al giardino e desidera crearne uno, il più delle volte senza capire niente o quasi, non riesca ancora ad affidarsi pienamente a chi ne sa un po’ di più e spesso consiglia pazienza e buon senso!
Per quanto riguarda Villa La Pergola, ho avuto il piacere di essere invitata all’inaugurazione, i proprietari, sono amici di vecchia data di una mia cara amica, e so per certo che sono grandi appassionati! Hanno creato sì un giardino a completamento e cornice di una struttura ricettiva di lusso, ma lo hanno anche salvato, assieme alla villa, da una terribile speculazione immobiliare. Con buon senso, amore e cultura lo hanno restaurato rispettando l’antico disegno e a detta degli stessi proprietari non basterà una vita per ripagare le spese effettuate!
se hai voglia dai un’occhiata qua..
http://aboutgarden.wordpress.com/2012/05/15/giardino-di-villa-della-pergola/
Non considero l’Inghilterra nè un modello, nè un podello positivo. L’unica cosa di positivo, riguardo ai giardini, è il carattere indagatore e curioso. Ma è proprio nell’imitazione del modello inglese che in Italia nascono delle schifezze.
Non metto in dubbio la passione di chi ha dato via al reaturo della “Pergola”, ma non incontra comunque il mio plauso. La struttura non sarebbe dovuta essere adibita ad albergo di lusso (un mondo che concepisce il lusso è sbagliato tout court), ma luogo libero per essere visitato, museo, o altra struttura dedicata alla cultura, una biblioteca, magari. Mi dispiace, sono severa, e sembrerò una stronza, ma non me ne frega niente: chi compie queste operazioni di recupero, soprattutto a fini economici, deve farlo in modo tale che nessuno possa dire “pio”. Tra l’altro il giardino è viziato da numerosissimi difetti estetici che anche un neofita se ne accorgerebbe. Il pensiero che qui siano entrati in gioco degli “appassionati”, mi fa rabbrividire.
ma noooo…. allora
non dico che il giardino inglese debba essere modello d igiardino, anzi, il nostro clima è così lontano per non parlare delle nostre belle piante mediterranee. Io intendevo dire solo che per loro il giardinaggio viene quasi prima di tutto e a questo dovremo avvicinarci.
Per quanto riguarda la Pergola, è un giardino fruibile su richiesta e la sua manutenzione credo assai costosa che una struttura pubblica certo non potrebbe accollarsi, conosciamo i tanti tristi esempi… Poteva fare una brutta fine, i proprietari abitano proprio nella stessa collina e il pensiero che tutto potesse trasformarsi in miniappartamenti e il giardino venisse cancellato, ha mosso il loro interesse al recupero non certo a fini economici. Davvero credo che il recupero sia stato onerosissimo non certo ripagabile con una struttura alberghiera. Ho avuto la fortuna di visitare il giardino circa una decina di anni fa e riversava in un triste stato di abbandono, anche se talmente affascinante! Mi piacerebbe sapere quali sono i punti critici che hai riscontrato.
Be’, non voglio fare il processo a questo giardino, ma non mi piace, è confuso, grossolano, banale, con un sacco di luoghi (estetici) comuni, da cartolina, da imbonimento turistico-paesaggistico. Non mi piace che sia propagandato come struttura di lusso. Il lusso non può più esistere: il vero lusso è il tempo e il talento con cui nasci e che affini nell’arco della vita. Il lusso legato al consumo e al danaro è un concetto che non ha speranze di esistere in un mondo positivo, equo, che sia in grado di sostenersi nel tempo.
Che il giardino contenga un’opera di salvataggio del paesaggio, bene. Non capisco perchè farci l’albergo di lusso dentro, però. perchè non una bella struttura ricettiva più abbordabile, meno esclusiva?
a questa domanda non ho risposta… immagino tu intenda gestione del genere National Trust o FAI nazionale! Chissà, magari in futuro.
Ciao Lidia, sono Stefania,un’amica di Emilio Tremolada.
Ogni tanto leggo cosa scrivi sul tuo blog, molto interessante e stimolante ciò che esprimi, ed il tuo stile rappresenta perfettamente il tuo pensiero, e per questo leggo con grande piacere.
vorrei continuare il tuo discorso sul frutto dell’artista, anche quando si tratta di giardino.
cos’è l’arte? per Argan è realtà pura e ne deduce che l’arte è il modello del fare secondo libere scelte.. ma, secondo i periodo storici, la funzione cambia.
cito Argan, perchè è stato uno dei pochi critici e storici dell’arte che hanno guardato al design e all’architettura e al progetto del paesaggio come a qualcosa di analogo o, diciamo, di equiparabile alla scultura e alla pittura.
e poi sosteneva che il critico deve formare un sodalizio operativo con l’artista e che la funzione della critica entrasse direttamente nel farsi dell’opera d’arte
un po’ come fai tu..
grazie per il tuo articolo, mi fermo qui, perchè non vorrei occupare troppo nello spazio dei commenti, ma di cose da dire ce ne sarebbero moltissime.
ciao
Ciao Stefania (ma sei la stefania della risposta più giù?).
E’ una vita che non mi sento con Trem, a dire il vero non so che cosa stia combinando adesso. Mi fa piacere che ti abbia segnalato il mio blog e che tu abbia trovato tempo e voglia per una risposta un po’ lunghetta.
Mi piacerebbe avere altre tue impressioni, di spazio ce n’è tantissimo, ho tanti giga liberi!
Per me l’arte non risponde a questa definizione, la vedo troppo vincolante, seppur citi la libera scelta. Io credo che l’arte sia qualcosa di fondamentalmente indefinibile, e che la sua funzione sia ancora un mistero per l’uomo. Nel momento in cui troveremo una risposta, sarà perchè l’arte ha cessato la sua vita. e se c’è qualcosa per cui meritiamo di essere slavati, è per la nostra arte.
La convinzione che mi sono formata in questi anni è che l’arte sia un mezzo, per l’Uomo, per entrare in contatto con la propria interiorità, per sentirsi “a casa”. Un mezzo per trovare la felicità.
Ciao Lidia,
eccomi, sono stata a Siracusa, a proposito di arte, verde, degrado e bellezza.
non sono io la Stefania di più giù..
grazie per l’accoglienza sul tuo blog, scriverò ancora con piacere
(ti saluto il Trem, che sta combinando dei video..)
aspetto con ansia, allora. Grazie di salutarmi il Trem
bello.. un giardino deve comunicare perché la natura comunica in varie lingue, importante che sia buona e positiva! ciaoo
mah, mo, mi, bah.
Alla fine il giardino è architettura e per quanto possa aver cuore, deve saper stare in piedi. Credo solo così possa durare nel tempo e farsi arte. Penso che il problema del giardino borghese sia dovuto ad uno sfasamento tra ciò che è e quello che vuole essere. Non riesce ad essere autentico, deve imitare, modificarsi incessantemente e freneticamente.
il giardino è architettura? e da qui…. il disastro, almeno in Italia. Tenete lontani gli architetti dal giardino! L’architettura è un attrezzo che può servire ma considerarla la strada per arrivare a un giardino è il peccato originale del ‘paesaggismo’ qui da noi.
Ciao Vivaio Millefoglie/Filippo, grazie del commento soprattutto perchè viene da uno che sta dentro alla “carne” del giardinaggio. Dunque secondo te l’archtettura è nemica del giardino…mumble, però in Italia? Quindi in altri paesi la disciplina si è sviluppata secondo te in maniera positiva rispetto alla creazione dei giardini? Se è così non è un demerito dell’architettura in sè, ma degli atenei che la insegnano in Italia. Di sicuro ho una visione idealizzata dell’architetto, non tanto come ideale del “renaissance man” (un po’ massonico) americano, ma come persona dal poliforme ingegno. Bisogna dire che la massa dei laureati è poco più che un dozzinale costruttore di case, ma non credo che l’architettura, come arte o scienza, sia nemica del giardino.
Quindi secondo te il giardino deve essere fatto dal giardiniere? invece io credo sia proprio questo il “peccato originale” con cui si parte.
Forse un Architetto-Giardiniere salverebbe capre e cavoli.
In qualsiasi specializzazione se non si riesce ad essere permeabili si rischiano grandi errori.
Come il dermatologo che ti cura il neo e non vede che ti si sta staccando un braccio perchè l’ortopedia non è il suo mestiere.
Il problema degli ultimi anni, in ogni campo, è proprio la visione generale che manca, sul lavoro, nell’ambiente, nella politica e in mille altri campi
Bellissimo post, Lidia.
Il tuo post mi sembra troppo ideologico. Nel senso che tende a confermare una tua idea di base che abbraccia politica, modus vivendi, critica sociale. Il lusso è sempre esistito e in passato riservato a quei pochi che costruivano i giardini. Lascia stare che questo non è giusto, lo penso anche io, ma non è ignorabile.
Sono troppo poco esperta di giardini per fare una critica sistematica, ho visto e letto poco. Due cose recentemente ho sentito da Giubbini che mi sono molto piaciute.
La prima è che il suo nuovo libro si intitola “Storie di giardini” e non “Storia del giardino” proprio perché la sua disposizione nel giudicare un giardino è di quello che vede quando c’è dentro, cercando anche di non essere troppo ancorato a quello che già sa, altrimenti succede che non vedi le cose giuste perché hai già la tua idea in testa e pieghi la realtà.
La seconda è che nel creare il proprio giardino bisogna capire il modello a cui ci stiamo ispirando. L’idea interessante è proprio questa: il modello c’è sempre, magari non l’abbiamo capito, ma noi stiamo rincorrendo un modello (arte come imitazione, sono secoli che se ne parla).
Collegandomi a questo vorrei aggiungere che l’arte non sono solo le cattedrali (i grandi complessi giardinicoli affidati agli architetti che fanno, infatti, la storia del giardino) o l’olio su tela (i medio/piccoli giardini privati affidati al paesaggista che crea un’opera indipendente dai gusti del proprietario che compra un oggetto bello).
Esiste l’arte minore, quella che nell’Argan stava in due pagine con 20/30 nomi per secolo, ed esiste l’arte spontanea, diversa dall’arte inconsapevole.
Molti di noi fanno appunto arte spontanea nel giardino, decidono a quale compito deve assolvere il proprio e seguono un modello: noi siamo quelli che vanno a comprare una tela e una scatola di pennelli in cartoleria perché gli viene voglia di dipingere. E’ molto probabile che il risultato non abbia grande valore artistico. Il peccato industriale, sinceramente, non ce lo vedo.
Ma non siamo quelli che appendono le scarpe sopra un muretto di forati con un vaso di Carpobrotus edulis: quella è arte inconsapevole e per renderla fruibile agli altri qualcuno la deve raccogliere e mostrare.
Non sono sicura di aver capito, ma ti spiego sinteticamente ciò che volevo comunicare. Il giardino, per via della “crisi ambientale” è chiamato oggi a rispondere a compiti che forse (sottolineo) non gli competono. Ciò che ne risulta è un dimenticarsi del valore creativo e originale che si imprime sull’opera d’arte (perlomeno così com’è intesa oggi).
Riguardo alla tua complessa risposta mi vengono in mente molte cose. Ad esempio, Giubbini non avrebbe avuto l’ardire di intitolare il suo libro “Storia del giardino (o dei giardini)” essendo questo una collazione di suoi scritti sciolti e senza l’intento di formare un insieme cronologico coordinato.
Il modello. Bi, ba, bo. Non so. Non credo molto nei modelli, appunto per questo auspico un ritorno alla creatività originale (che non deve certo risolversi in mera volontà di stupire). Certo, tutti abbiamo un ideale, direi, non un modello. Un modello è per i meno abili, i più pigri.
Il “peccato industiale” è il disvalore con cui i giornali e le riviste tendono a venderci la loro ideologia “ecosostenibile”(che poi è tutto meno che questo).
Il lusso. Il lusso è tante cose. Per me lusso in estetica è l’applicazione e la materializzazione di un talento che gli altri non hanno, non un’esternazione di potere d’acquisto.
Poi può darsi che cambi idea, per me la ricerca sul giardino non si ferma mai, è una sorta di timbro che mi hanno stampato sulle chiappe. Quindi anche il cambiare idea fa parte del mio essere, i post del blog mi valgono anche come appunti di pensiero, di crescita. Dovresti leggere i primissimi: per me contengono ancora dei pensieri che non ho superato.
Grazie della attenzione con cui hai letto il post, mi fa un grande piacere che qualcuno ci si applichi con metodo e che trovi qualcosa da rispondermi, anzichè mettere un “mi piace” che lascia il tempo che trova.
Torna spesso!