Tu mi uccidi (Rhyncospermum jasminoides)


Dopo mesi, ieri sono uscita per il semplice desiderio di camminare. Avevo la testa finalmente mia, libera da anni di mental inception, consapevole e anche allegra di quel poco.
Forse ingenua, ma non me ne importava poi molto.
Ho ripreso a osservare le cose, le cose belle, brutte, normali, comuni, banali che ci circondano. Quest’anno le fioriture sono tutte fuori orbita, chi ha fiorito prima, chi dopo, chi insieme. Rose e glicini da noi non si vedono facilmente, il glicine è andato da un bel po’ quando arrivano le rose. Ma quest’anno sta correndo come un pazzo e fa tutto insieme, perché sa che dopo non ci sarà più acqua.
Il colore dei tigli, di un verde lucido, quasi pornografico, assediante. E i rosa. I semplici rosa di piante banali, petuniette e gerani sui balconi, due spighe di Lamium a bordo strada, i convolvoli e le mille ‘Queen Elizabeth’ di ogni paesino d’Italia. Dico grazie ogni volta che vedo il rosa: ho sempre la sensazione che sia l’ultima volta, perché la bellezza non può essere contemplata troppo a lungo.
Sono i giorni del Rhyncospermum. Alcuni sono così fioriti da formare masse di bianco sparato, senza intercalare di verde. A ridosso di ringhiere e casette, e nelle aiole comunali su Corso Garibaldi. Tanto che non si può dire quanto. Troppo, a dire il vero, ma ieri non m’importava, assetata com’ero di riprendermi i miei pensieri, il mio modo di guardare il piccolo mondo di fuori.
Durerà poco, lo so, e poi tutto diverrà una poltigia marroncina dall’odore di marcio. Ma ieri ogni pianta di Rhyncospermum mi ha riempito il cure di quella sensazione di amicizia che solo le piante e gli animali sono in grado di darci. Quel “ti voglio bene” alla rinfusa, praticato su ogni passante, brutto, bello, scortese o gentile, ognuno con i propri pensieri, senza richiesta di un grazie o di convenevoli.
Dietro queste masse di fiori dal profumo così intenso e dolce da diventare tanfo, c’erano cose normali. Una pensilina per l’autobus, una casetta con il lampioncino acceso, un brutto muro di cemento, la ringhiera della casa della tua amica delle elementari, che non vedi da trent’anni.
Ma chissà, una di queste volte dietro queste masse di fiori bianchi potrebbe esserci qualche altra cosa: la via nascosta per il mondo delle Fate, o potrebbe spalancarsi un paesaggio di colline e sole al tramonto, la prateria del Kansas o un varco per entrare nel passato.
Il Rhyncospermum ha molti poteri (come tutte le piante).

Giardini fiabeschi tutti italiani (su Houzz)


Credo che il mio primo incontro con le fiabe, dopo le poesie e le ninne nanne di mia madre, siano stati “I Quindici”. Il volume sulle fiabe e racconti conteneva dei brevi estratti di fiabe di tutto il mondo, ma soprattutto italiane. I disegni mi piacevano molto e alcuni li ricordo molto bene, come quelli della fiaba di Cirimbriscola. Nella mia mente è chiarissimo il ricordo del castello di Rapolina, che era esattamente al di là del campo di erbe/broccoli/fave della casa di Stefanaconi. Lo vedevo come adesso vedo il monitor del PC.
Nello scegliere queste foto mi sono lasciata un po’ trasportare dai miei ricordi e dalle mie letture, lo ammetto.
A tal porposito, se vi dovesse capitare tra le mani Donna di spade di Giuseppe Pederiali, prendetelo.
E se vi va, a porpsito dell’ultima foto, potete dare un’occhiata al trsto di una mia conferenza sulla soglia in giardino.

Come in un libro di fiabe (su Houzz)

Il mio articolo sui giardini incantati -su Houzz

“Tu! dov’è la donna?”
“È volata via!”
“Ho chiesto dov’è!”
“Quant’è vero Iddio, è volata via!”

Non sfidate la mia anima nerd

Appunti per il nuovo libro

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La principessa smarrita:
naturalmente la cassiera è una principessa. Lo vedete? Basta guardarle il viso: il colorito pallido, come la pelle delle mandorle cotte. Le labbra disegnate, leggere, sorridenti, non sono di questa terra. I capelli del colore della paglia lavata dalla pioggia e dal sole, sottili come bave di ragno. Le dita piccole, da fata, veloci, quasi evanescenti, e il corpo minuto, pronto a trasformarsi in giunco. Gli occhi a volte grigi, a volte azzurri, verdi, osservano con distacco. Neanche lei sa perchè: ha la nitida sensazione di non appartenere a questa terra, di essere fuori posto, ma non ricorda. Non ricorda di essere la figlia di una Fata regina, e di essere stata perduta e poi trovata dagli umani, e allevata come tale. Non conosce i suoi poteri, non ancora. Una piccola, quasi invisibile verruca accanto alle labbra: un segno che cresce con gli anni, come cresce la sua convinzione di essere umana. Forse dimenticherà del tutto, forse ricorderà. Nel suo regno ancora la cercano.

I trenta gatti di stoffa:
i trenta terribili fratelli in patchwork provenzale. Di giorno rimangono immobili nella loro cesta accanto al letto, e di notte razziano i paesi e i villaggi agli ordini del loro feroce capitano Miao-Sì. Si dice siano stati cuciti con i capelli della Zia Strega, dopo che divennero bianchi, e che la prima cosa che fecero appena presa vita, fu di accecarla, per evitare che li scucisse. Sono fortemente gregari, instancabili predatori e possono inseguire la preda giorno e notte, se necessario, visto che il tempo nel mondo delle Fate scorre differentemente rispetto al nostro. Non di rado si uniscono ad altre bande di mercenari, lasciando dietro di sè una scia di sangue e cadaveri. Il loro olfatto è potente, ma ancora di più l’udito, che li guida nella caccia. Possono essere molto pazienti e rimanere immobili per ore in agguato. Il loro unico punto debole è la variopinta livrea che li rende ben visibili.

Il manichino di bronzo:
è un automa dalle sembianze di un donnone imperioso ma dozzinale, costruito con placche di bronzo che gli danno l’aspetto di un organismo semovente. Ha una gonna a pieghe e un cappello sformato in testa, un paio di occhiali e tira continuamente su col naso. Si aggira nelle biblioteche, con passo pesante e stridio metallico. È in grado di compiere un’unica operazione: quando le viene posto sotto mano un libro inizia a declamarlo e enumerarne gli infiniti pregi. Essendo molto versatile, a dispetto delle sue sembianze farraginose, è in grado di discettare su qualsiai libro le venga posto sotto il naso. Non ha alcuna utilità nella storia e probabilmente rimarrà solo tra gli appunti.

Il cane del professore Tux:
un vecchio cane nero, senza arte nè parte, grosso come un mastino, bavoso come un secchio di lumache allo spurgo. È al servizio dei Magritti: osserva e ricorda tutto quello che gli accade intorno. Spia dagli occhi rossi e spietati. È inavvicinabile, solo il professore Tux riesce a domarlo con biscotti e carezze. Porta un collare di metallo borchiato e quando caccia si serve di un branco di bracchi selvatici, tra cui mantiene l’ordine con ferocia. Quando attacca lo fa per uccidere.

La porticina segreta:
ogni racconto fantastico ha almeno un passaggio segreto: per varcarli bisogna ingrandirsi, rimpicciolirsi, mangiare foglie di primula o diventare invisibili. Le porticine segrete stanno spesso nei tronchi dei grandi alberi, e sono fatte di legno contorto e bitorzoluto, con un bel pomello centrale. Ma sembra un po’ scontato. Occorrerà trovare qualcosa di più originale.

Il grande gelso e la gallina:
il gelso e la gallina stanno sempre insieme perchè fanno parte di un vecchio orto con un pollaio. La gallina è l’unica compagnia del gelso e chiacchierano smodatamente. La gallina, che ha le zampe, si può spostare, e siccome il pollaio non è isolato, può agevolmente uscire e avere notizie su quel che accade nei dintorni, che poi racconta al gelso, anche se solitamente arricchisce il racconto con sue invenzioni personali. Il gelso è nel fiore degli anni e nel pieno del suo vigore, con rami slanciati e una chioma regolare e nitida, e ama molto sentirsi fare dei complimenti.

Brunella
:
la cavallina Brunella è una giovane cavalla dal manto scuro, color cioccolato, e la criniera appena più bionda. Se fosse una donna sarebbe bellissima, elegante e flessuosa. I suoi occhi sono grandi e intensi, il suo nitrito potente e può dissolvere un incantesimo. Vive dal fattore sopra la collina, è attenta e vigile, e mentre bruca ascolta i rumori intorno. È piccola, e a un certo punto della storia dovrà condurre gli eroi in groppa, a tutta velocità.

La pietra-gatto:
è una pietra nera, piccola, di forma oblunga, dagli angoli lisci e smussati, di un nero opaco ma non sgualcito come l’ardesia. Più lucido, come il diopside stellato. A tratti un’onda di pelo la anima, e un forte miagolio la scuote, ma poi si ritrasforma immediatamante in pietra. Alla fine della storia sarà consegnata a chi l’ha attesa tanto a lungo.

Gli uccelli, le gazze, i piccoli mammiferi e altre creature:
sono in genere presenze positive, possono risolvere una situazione, dare un consiglio, indicare la strada, offrire rifugio e confondere le tracce.

Viaggio in Inghilterra

strada di campagna inghilterraInghilterra, rorida e fresca. Profumata e tenera. Bocciolo di rosa, carnicina, verde e azzurro opaco.

Grigio in duecentocinquantasei sfumature. Dal bianco lattiginoso del cielo mattutino al cenerino smeraldato dei prati in inverno, coperti di brina ghiaccia che stride sotto i passi. Ocra grigiastro quello della pietra del Cotswold, più bluastro quella di York. Continua a leggere “Viaggio in Inghilterra”

La prateria dietro casa

Pubblico oggi due video che ho filmato il 3 scorso. Da tempo mi frullano pensieri sul brandello di campagna dietro casa mia, e così, visto che ormai si tende ad evitare la scrittura e a dire tutto con i video, ho lasciato fluire i pensieri senza far caso all’effetto “oratorio” o poetico. Questo è in effetti proprio il mio modo di parlare, un po’ a balzelloni e quasi distratto.
Ho fatto due riprese da 20 minuti ciascuna (il massimo consentito dalla mia fotocamera).
Sono lunghi lo so, e sono qualitativamente pessimi, ma avevo bisogno di parlare e dire la mia.
Se vi va, ascoltateli e commentateli.

Il sambuco, dal “Flauto Magico” a Harry Potter

http://artscape.us/andersens-tales-1900/elder-tree-mother-06.jpg
http://artscape.us/andersens-tales-1900/elder-tree-mother-06.jpg
La tradizione germanica ci ha consegnato un’idea molto suggestiva e inquietante della pianta del sambuco.
In germania si chiama Holunder (simile nella fonia all’inglese “elder”) poichè sacro ad una fata del folklore tedesco, Holda o Hulda, raffiguarnte una giovane donna con la chioma dorata che abitava proprio nei sambuchi vicini a rivi, corsi d’acqua, pozze, fonti. Ma anche altri esseri fatati, come coboldi, vivevano nel midollo del sambuco.

Sembra che questo personaggio mitologico sia riconducibile alla Fraü Holle dei fratelli Grimm, e più indietro ancora, ad un non chiaramente identificato personaggio femminile della fertilità, della morte e della rinascita. Difatti Fraü Holle/Hulda/Holda è di volta in volta rappresentata come una donna molto brutta (come la Befana, simbolo dell’anno vecchio, morente), o come una giovane donna di aspetto quasi mariano, simbolo di fertilità e di godimento dei frutti del lavoro nei campi.
Quando accade questa dicotomia nelle raffigurazioni di un personaggio, si può a ben diritto pensare che l’origine sia molto antica, di sicuro pre-ellenica e di provenienza non “italica”, quasi certamente medio-orientale. Ogni folklore ha poi rivestito questo personaggio con le sembianze che gli erano più congeniali. Il fatto poi che il culto si sia sviluppato in Germania ha fatto sì che alla figura venisse associato l’enorme compagine di fate e folletti della tradizione medievale mitteleuropea.

Frau Holle in un'illustrazione di Rien Poortvliet
Frau Holle in un’illustrazione di Rien Poortvliet

Riguardo ad una ricostruzione sulla mitologia di Hulda, ho trovato un bel sito, AFW blog, su cui ci sono informazioni molto interessanti che vi consiglio di leggere.

Il sambuco era sacro e non si osava sradicarlo, se si voleva raccogliere del legno si doveva chiedere in prestito e poi riportarlo, o eseguire un piccolo rito di preghiere. Questo è un punto che ritorna per numerose piante magiche.
Mi sembra importante segnalare che le virtù del sambuco venivano contate fino a sette: germogli per le nevralgie, foglie per la cute, fiori per una tisana, bacche per i polmoni, corteccia per l’intestino e gli occhi, radice per la diuresi, midollo antinfiammatorio.
Sette è un numero magico, lunare, poichè in quattro cicli di sette giorni si divide il mese lunare. Pianta lunare, pianta femminile, dunque. Forse per questo Brian Froud interpreta lo spirito del sambuco come una vecchia strega dallo sguardo malevolo.

medorra artwork
medorra artwork

Giuseppe Pitrè diceva che bacchette di sambuco hanno il potere di uccidere i serpenti. Il sambuco era molto usato nelle cerimonie e i riti di festeggiamento di Santa Rosalia.

HP y las reliqiuas de la muerte+magic eleder wandLa bacchetta di sambuco più nota è senza dubbio quella di Harry Potter e i doni della Morte, ricevuta dal primo fratello.

Da un sito specializzato su Harry Potter cito:

Sambuco:
Legno molto raro che dà bacchette potentissime, difficili da dominare e che difficilmente si legano ad un padrone se questi non è superiore a loro in quanto a magia.
Molti fabbricanti non lavorano questo legno perché è difficile venderlo poiché richiede un possessore davvero unico e speciale; quando la rara accoppiata riesce bene si è in presenza di un proprietario dal destino speciale.
Spesso chi possiede questa bacchetta è molto affine a chi ne possiede una di Sorbo
.

La storia dei tre fratelli:

Uno screen grab del video, in cui la Morte dona la bacchetta di sambuco al primo fratello:
magic elder wand_harry potter e i doni della morte

Nel calendario arboreo celtico il sambuco rappresenta il tredicesimo mese lunare, che si conclude nei giorni del solstizio d’inverno (il nostro Natale), probabilmente perchè il sambuco conserva i frutti fino all’inverno. Il numero 13 è sempre stato ambiguo, poichè simboleggia la morte ma anche la resurrezione, un rito di passaggio, di rigenerazione. Nella tradizione cristiana infatti il sambuco presiedeva ai riti di morte. Sul capo del morto veniva posta una corona di fiori, foglie, frutti, anche solo di rami di sambuco, a seconda della stagione.
In Inghilterra ha valenza negativa: bruciare sambuco significa portarsi il diavolo in casa (ecco l’avversione anglosassone per il numero 13…). Si sconsigliava di fare culle di legno di sambuco poichè gli gnomi che vi albergavano avrebbero dato fastidio al neonato.
In alcuni racconti il sambuco non è un albero in cui vive una fata, ma una fata stessa trasformata in albero.

Tornando alla germania, il flauto magico era un bastoncino di sambuco privato del midollo, che doveva essere tagliato in un luogo dove non si udisse mai il canto del gallo, poichè il suono sarebbe diventato roco.
Nell’opera di Mozart, il flauto dato a Tamino per sconfiggere la malasorte, è d’oro, non di sambuco. Ma la celeberrima aria che tutti ricordiamo si intitola Der Holle Rache, cioè “la vendetta di Holle”. Che Holle sia proprio la Regina della Notte?

flauto magico luzzati
In conclusione un video di Patricia Petibon, secondo me la migliore interprete della Regina della Notte.

Il rintocco di campanula

Gump pié di Spino, Gump Honeythorn
Gump pié di Spino, Gump Honeythorn

C’è qualcuno tra voi che ricorda Legend, di Ridley Scott? Chi come me è rimasto letteralmente incantato da quell’atmosfera magica, sospesa, tra citazioni favolistiche e folklore irlandese? Chi ha amato sconfinatamente Lily e la sua cuffietta medievale, la sua danza con l’abito malvagio? E come dimenticare Gump Piè di Spino, il folletto sboccato dagli occhi di fanciullo?
Ricordate il piccolo enigma posto a Jack (Jack, come il Jack-in-the-Green)?

What looks like a bell, but does not ring, Yet it makes the angels sing?

La risposta, se non avete visto il film, non è semplice, poichè attinge ad una vecchia leggenda folkloristica della zona anglofona. Si dice, infatti, che le campanule portino sfortuna, che siano il fiore dei morti, poichè sentirle suonare è segno che la propria vita è al termine. E’ una tradizione che accomuna tutti i fiori con corolle lunghe e tubolari, le cui origini sono evidentemente molto antiche e un po’ disperse nella mitologia nordica.
Non è infatti casuale che le fate postmoderne e photoscioppate siano raffigurate immerse in un prato di campanule.

bluebell-fairy-1

Le “campanule” di cui parla l’indovinello non sono le campanule nostrane, come la Campanula rapunculus, quella -credo- a cui Rapolina/Raperonzolo deve il suo nome. Non è il genus Campanula, cioè.
In Inghilterra le chiamano “bluebells”, e sono una presenza tipica nei boschi inglesi in primavera. Molti giardinieri le considerano fastidiose e invasive. Spesso sono disprezzate, viste come erbacce fastidiose e scontate, perniciose e “brutte”. Un po’ come noi consideriamo l’Oxsalis pes-caprae, che dall’inverno alla primavera tinge di giallo evidenziatore le nostre campagne.

Endymion non-scripta

Le “bluebells” dell’indovinello sono delle bulbose che hanno subito svariati spostamenti tassonomici. Attualmente dovrebbero essere collocate nel genere Endymion e nella specie non-scripta. Anteriormente erano catalogate nel genere Scilla. Ad ogni modo non mi sorprenderebbe sapere che hanno fatto qualche altro salto tassonomico: a quanto pare questi fiorellini hanno creato un po’ di problemi ai botanici.
Anche Tolkien, in una lettera al figlio Christopher, scrisse che il termine “bluebell” era molto più evocativo di “harebell”.

2nd-Bluebell-woods

Sogno di un giorno di fine aprile

A volte mi viene da sognare.
Sogno che Siderno sia una bella cittadina pulita, ordinata, con poco traffico, con tante casette col giardino davanti e negozi con insegne pubblicitarie in legno verniciato.
Di più di più mi viene da sognare soprattutto di più quando osservo il colore degli alberi in questo tumulto di verdi primaverili.
Il sogno che faccio in questo periodo riguarda la via Carrera, una vecchia e strettissima strada che anticamente era fuori dai confini del paese e serviva solo ai carri merci, mentre oggi è stata per metà ampliata e resa uno stradone a otto corsie che segna i confini del circuito viario di Siderno.
Quel che rimane della via Carrera è un viottolo che tra nuovi casermoni e vecchie mura è fiancheggiato da vecchie querce.

La vecchia parte della via Carrera

Sogno che in passato, un sindaco di buon cuore e dotato di intraprendenza naturalistica, un sindaco col panciotto amante delle passeggiate in campagna con cane e bastone, vista la bellezza della via Carrera, avrebbe acquisito per il comune le due fasce che le corrono ai lati, preservandole dalla speculazione edilizia.
Sogno che questo sindaco, grazie alle sue conoscenze botaniche, decidesse di piantare degli alberi a ridosso della stradella, in modo che le chiome si congiungessero in alto, formando una volta verde.
Sogno alberi profumati, come le robinie e le mimose, oltre che degli aranci piantati qua e là, non troppo fitti. Questo sindaco col panciotto avrà anche pensato di mischiare alle querce preesistenti, allora giovani, qualche albero da fiore, come dei Prunus avium, e magari, magari, forse…sarebbe stato troppo soverchio ed abbondante un Prunus x subhirtella ‘Pendula Rosea’?

Il 'bianco viale delle delizie'

La via Carrera sarebbe potuta essere simile al Bianco Viale delle Delizie di Anna dai Capelli Rossi, piantato da un eccentrico coltivatore ai fianchi dei suoi possedimenti. Non chiediamo al nostro buon sindaco un’altrettanto grande sforzo di fantasia, ma immaginiamo che il risultato sarebbe potuto essere simile.

Dorothy Perkins

Le vecchie case avrebbero avuto glicini e rose rampicanti morbide e flessuose, come la ‘Dorothy Perkins’, caprifogli rosa e Philadelphus profumati. Qualcuno -scocciato da tutto questo tripudio di romanticherie- avrebbe piantato invece passiflore a fiore grande, che nel tempo sarebbero diventate enormi e fioritissime.
I contadini, ai margini degli orti, avrebbero piantato siepi di pisello odoroso in tutte le varietà di colore allora disponibili, e il camminare per la via Carrera in primavera sarebbe stato come veleggiare in un sogno.

La via Carrera in una notte stellata

Naturalmente la bellezza porta sempre con sè la magia, e una volta piantati alberi che dessero rifugio agli animali e cibo agli uccelli, sarebbero arrivate anche le fate. Fate con piccole lanterne che danzano tra i prati nelle radure delle piantate, che trovano rifugio nei tronchi più grossi degli ulivi secolari, e che volteggiano tutta la notte confondendosi con le lucciole.

Cosa sarebbe bastato? Un sindaco intraprendente.

Architetture e paesaggi in Labyrinth di Jim Henson. Matrici del gusto di un cult movie

Labyrinth (Dove tutto è possibile, recita il sottotitolo italiano) è un cult-movie per gli amanti del fantasy e per gli illustratori. Possiamo dire che tutto il resto delle persone non lo conosce affatto.
Ma come diceva Santayana, non importa a quanta gente piaccia una cosa, ma quanto piace a coloro a cui piace. Il che è una grande stronzata. Scusi senor Santayana.

Labirynth comunque non è un filmucolo passato alla storia con dubbi meriti, per puro ghiribizzo del caso. E’ invece un film ricchissimo di suggestioni, con una forte caratterizzazione estetica, in cui citazioni, fonti e rimandi sono vari e diversificati e nascono evidentemente da un gusto colto e raffinato, arguto, sottile. La matrice del gusto è molto strutturata e complessa.
Per questo è un cult-movie presso noi illustratori, anche per quelli che non hanno inclinazione al fantasy.
Farne una critica compiuta non è affatto semplice, ho raccolto in questo articolo i fotogrammi che ritenevo di maggior interesse, ma il lettore mi scuserà se ho tralasciato qualcosa.

scena iniziale labirynth
La scena iniziale, che a tradimento ha fatto immaginare a tutti di trovarsi in un mondo fatato del tipo Legend o The Princess Bride, è solo un inganno. Sarah “gioca alle fate”. La scelta del paesaggio è sottilissima. Un paesaggio più selvatico non sarebbe poi potuto passare per un parco cittadino, uno più caratterizzato architettonicamente non sarebbe passato per un mondo fantasy.
Occorre molto occhio per fare scherzetti del genere.
La scena è molto simile a quella iniziale di Alice, ma meno decorata, più “classica” (o meglio “neoclassica”…). Un prato verde e leggere pendenze, un ponte di pietra, un lago, un cigno: elementi classici delle fiabe, senza tempo. Eidos. O se vogliamo clichè.

Suonano le 7
campanile labirynth
e veniamo a scoprire che ci troviamo “quando” nel 1986, e da subito, anche “dove”, perchè la torre dell’orologio, costruzione tipica di ogni città americana, ha le fattezze caratteristiche di quelli del New England, come d’altra parte anche il paesino in cui Sarah corre. Le architetture sono neo-vittoriane e neo-georgiane. In veste più antica ed austera le abbiamo viste mille volte nei quadri di Edward Hopper e nei film di Hitchcock, come Gli uccelli o Psyco.
paese labirynth

pesino labirynth

paese labirynth

Gli interni della casa di Sarah sono molto eleganti, ben al di sopra di una normale “famiglia americana”, seppur benestante. C’è gusto, anche se la decorazione non manca, non è mai soverchia o pacchiana. L’elemento più distinguibile è l’arco d’entrata, di tipo ellittico, molto usato durante il periodo Liberty. L’arredo lascia vedere con chiarezza elementi elaborati nei muri (una mensoliera incassata con volta a platte-bande, delle sedie in stile Shakers tinte di scuro.
interno casa di sarah

La carta da parati è di colore non comune (un verde salvia piuttosto spento) con disegni tipici dell’Arts & Crafts di William Morris e John Ruskin.
carta da parati casa di sarah

L’arco ribassato, stile Liberty, di grande profondità dovuta allo spessore dei muri, è tipico delle case del New England che imitavano lo stile europeo fin de siécle. Anche qui notate i parati in stile Liberty.
arco ribassato

La cameretta di Sarah invece indulge al country, la coperta patchwork ne è l’esempio migliore.
sarah's room
Lo scaffale e le pareti affollate sembrano quelle dei racconti illustrati di Boscodirovo, di Jill Barklem, che ama disegnare scaffali stipati di cianfrusaglie e oggetti di ogni genere.
Alla parete si vede già un poster di Escher, dentro cui Sarah finirà alla fine del film. Un prodromo.

Cambiando scena arriviamo all’esterno del Labirinto.
esterno del labirinto
Il paesaggio è quasi cimiteriale, con tozze steli che rimandano agli storicismi ottocenteschi (per capirci, tra gli altri, la mania di avere i “reperti” egizi in giardino)

Hoggle

L’architettura è di un gotico muscolare, pesante, non manierato. Non rozzo, ma semplice, razionale, quasi rivisitato da un le Corbusier nel suo più felice periodo brutalista.
In alcuni punti il brutalismo è più evidente:
mano che indica
In altri punti invece la visione d’insieme potrebbe essere un bozzetto per il disegno del castello della Bella e la Bestia.
esterno del labirinto
I fiori sono radi, tutti bianchi, al massimo con una accennata sfumatura rosata. Questo per contrastare con il colore di fondo del muro e per essere il più visibili possibile. Sono radi, mai in gruppi, per non essere sdolcinati e romantici, e per avere un aspetto “medievale”. Insomma, un paesaggio che sembra uscito dalle tele di un Johmn Everett Millais che volesse dipingere il giardino di Ginevra.

All’interno textures indefinite e ancora muscolarismo, con il muro che si rastrema, per dare un’idea di maggiore solidità.
labirinto
Nei muri del labirinto i conci sono visibili, un accenno neomaya?
labirynth

labirinto

Cambio di scena: cambia anche il materiale con cui è composto il labirinto, stavolta si tratta di siepi.
labirynth
Rimangono le steli di tipo egizio, ma qui sono più che altro un escamotage ottico per “ancorare” l’occhio alla base.

labirynth
Scena molto complessa da analizzare. Il labirinto è di tipo “tradizionale”, cioè cinquecentesco-seicentesco, di chiara ispirazione francese e “versaillesiana”, ma se fate attenzione le alte sentinelle di pietra sembrano il Soldatino di stagno (1838) o lo Schiaccianoci (1816). Siamo già nel periodo del revival degli stili storici e nell’Eclettismo Ottocentesco. In Inghilterra una scena così composita potrebbe (forse) ricordare The Lilac Fairy Book di Andrew Lang, ma qui in Italia ricorderebbe certamente I quindici e qualche divagazione Luzzatiana su Italo Calvino.
Ma a ben guardare l’altra figura femminile a sinistra dimostra chiaramente delle influenze contemporanee, certamente di Moore e Modigliani. Eppure non stona affatto, anche in virtù del fatto che il materiale e il colore è identico alle statue dei soldati con colbacco.

Qualche maschera
maschere labirynth

maschere labyrinth

maschere labirynth
che più che far pensare ai costumi veneziani rimanda alla barocca fantasia di William Shakespeare e alle caricature di Leonardo. Brian Froud, santone internazionale dell’illustrazione, guru delle fate e degli gnomi, ha qui certamente messo una delle parti più belle della sua magica matita, e le grottesche deformazioni dei nasi e dei visi diventano quasi zoomorfismo, andando a toccare i momenti più delicati e al contempo terrorizzanti di Arthur Rackham e dei Racconti di Mamma Oca. Come vedete anche qui la matrice del gusto è Arts & Crafts, Liberty, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento.
maschera david Bowie

Sarah ha un vestito da principessa delle fiabe come ce lo siamo sempre immaginato tutte da piccole, cioè con le maniche a sbuffo dell’Ottocento e la crinolina. Mentre all’inizio del film aveva un vestito di tipo medievale, più “Marion Zimmer Bradley”. Una diversa visione della fiaba di fate si è alternata nel film.
sarah labirynth
Il decoro nei capelli è vettoriale, alla Victor Horta. Ancora Liberty.
sarah labyrinth ball

La città di Goblin non è come ce l’aspetteremmo, immersa in una foresta, con case sugli alberi come in Tolkien o in Dragonlance (mi scusi Professore per quest’accostamento profano), ma è un borgo medievale, di tipo centro-europeo, di campagna. Insomma, per farla breve, un paese come quello dei Quattro musicanti di Brema. Ci sono finanche galline.
città di Goblin
Le figure scolpite sul pozzo (cuore di ogni paese medievale) sono di carattere gotico, francofono.
città di goblin
Nella sua interezza la Città di Goblin sembra un diorama di un presepe. C’è un sacco di Hans Christian Andersen e di Fratelli Grimm, qui dentro.
città di Goblin, piazza

La parte finale è quella più semplice da spiegare ed è anche quella che più facilmente viene compresa anche da chi ha poche conoscenze d’arte, essendo le stampe surreali di Escher molto diffuse anche negli studi medici e nelle salette d’attesa dei politicanti.
labyrinth escher

La conclusione di questo articolo mostruosamente lungo è che Labyrinth è guidato da un’estetica Liberty e romantica, filtrata attraverso il personalissimo segno del genio pittorico di Brian Froud, che con questo film realizza un vero e proprio piccolo capolavoro, in cui ogni scena si risolve in una raffinata illustrazione tridimensionale.